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FreaKraut – 1. FAUST

di Marco Tagliabue

1 gennaio 2014

 

Non doveva essere un posticino tanto tranquillo la Germania a cavallo fra i sessanta ed i settanta, e non soltanto per le questioni prettamente musicali che stiamo indagando in queste pagine. “Una mattina ci svegliammo e trovammo Wumme completamente circondata da poliziotti in assetto da guerra, con cani e mezzi blindati ovunque. Io mi ritrovai con un fucile puntato alla testa e l’ordine di non muovere un dito. All’inizio pensai ad uno scherzo, ma quelli avevano l’aria di fare maledettamente sul serio. Era davvero terrificante. Sembrava di essere in un brutto film dal quale non potevi fuggire”. Così Jean-Hervé Peron, bassista e membro fondatore dei Faust, ricorda i giorni spensierati trascorsi in magica armonia fra arte e natura nella comune di Wumme, il vecchio edificio scolastico che la Polydor aveva messo a disposizione del gruppo per assecondarne la fervida creatività. Non si è mai fatta abbastanza luce, del resto, sulle presunte connivenze fra Uwe Nettelbeck -creatore, produttore e manager dei Faust- con le cellule terroristiche del movimento Baader-Meinhof che, proprio in quei giorni, stavano cominciando ad esportare in tutta Europa il loro tragico modello. “Non c’è dubbio –è ancora Peron a parlare- che vi erano rapporti fra Uwe e gli uomini della Raf (Red Army Faction). Mi ricordo vagamente di certi strani personaggi che non avevano nulla a che fare con la musica. Andavano e venivano con la massima tranquillità, come se avessero legami ben precisi con qualcuno di noi”. In ogni caso, nella loro tragica messa in scena, i solerti tutori dell’ordine che avevano rotto il magico equilibrio di quel mattino a Wumme non erano poi andati così lontani dalla realtà, perché i Faust sono davvero il braccio armato del krautrock: il gruppo più estremo, più eversivo, più corrosivo, più anarcoide, più incontrollato ed incontrollabile.

Dei veri e propri terroristi sonori, insomma, sui quali ancora oggi aleggia un folto alone di mistero: poco o nulla è trapelato per anni sulle loro origini e sui loro particolari biografici. Di valore incommensurabile –invece- ciò che hanno raccontato i loro dischi ad intere generazioni di musicisti e di semplici appassionati. A quelli, almeno, che hanno saputo scavare così in profondità per vincere i numerosi ostracismi che -almeno fino alla metà degli anni novanta, all’epoca del glorioso ritorno sulle scene- hanno avvolto e fomentato una delle realtà più luminose e misconosciute della musica rock. Fra le teorie che circondano la nascita del gruppo sembra ormai aver preso piede quella che vuole i Faust una sorta di creazione a tavolino di Uwe Nettelbeck, giornalista/editore incaricato dalla Polydor di scovare una band underground che potesse rivaleggiare con gli astri nascenti del krautrock per tappare una vistosa falla nel catalogo della label. E pare proprio che questo McLaren ante-litteram si sia subito dimostrato all’altezza del compito affidatogli, confezionando su due piedi la band, ideando per il debutto una delle creazioni grafiche più celebri della storia del rock (la confezione in vinile trasparente con la busta –altrettanto trasparente- sulla quale è impressa la radiografia di una mano, irraggiungibile feticcio per schiere di collezionisti) ed ottenendone la pubblicazione –favore rimasto unico per una band non di estrazione colta- nella prestigiosa collana Deutsche Gramophon, normalmente dedita alla musica classica. Il tutto, naturalmente, in una manciata di giorni e senza alcuno sforzo apparente. “La storia dei Faust è fondamentalmente la storia di due piccoli gruppi tedeschi di stanza ad Amburgo, di un uomo –Uwe Nettelbeck- e di una situazione sociale, l’Europa del 1968. C’era un nucleo di persone che produceva musica per cineasti underground come Helmut Costa e Hans Hemminghaus. Un giorno arrivò Uwe e, insieme ad Helmut Costa, disse che stava cercando un nuovo gruppo per qualcosa di nuovo sulla scena musicale. Helmut, che era un mio vicino, ci mise in contatto con Uwe. Uwe ascoltò un nostro demo ma, a suo parere, ci voleva più ritmo e ci volevano più tastiere, così contattammo un altro gruppo dicendo che avevamo bisogno di un batterista. In questo modo fondammo i Faust. Rudolf Sosna, Gunther Wusthoff ed io eravamo nella  prima band, Werner Diermaier, Joachim Irmler e Arnulf Meifert nell’altro gruppo. Ci chiudemmo in uno studio per mezza giornata e reincidemmo il nostro demo. Uwe disse ‘E’ perfetto’ e lo consegnò alla Polydor”  E poi saranno gli anni di Wumme, celebrati proprio allo scoccare del nuovo millennio dal cofanetto antologico The Wumme Years 1970-1973. Ricorda ancora Peron: “Eravamo come in un monastero. Stavamo per mesi senza televisione o radio e solo Joachim ascoltava altra musica. Non era facile vivere sempre insieme, con chi si amava e con chi si odiava, senza la possibilità di andarsene. Ma quando eravamo fuori non vedevamo l’ora di tornare a Wumme”. E ancora: “Werner passava la maggior parte del proprio tempo a letto, come del resto facevano quasi tutti gli altri… Ma andava bene così  perché i fili dei microfoni salivano dallo studio di registrazione al piano terra su per le scale fino alle camere… Spesso registravamo proprio a letto, sdraiati, con le cuffie in testa…”

Faust, noto anche come Faust Clear per la celebre confezione, esce finalmente nel 1971 con un sottotitolo –che aggiungiamo noi e certo non sarebbe guastato- come l’immaginazione al potere. E’ un’opera composta da tre movimenti, non osiamo definirli canzoni, all’insegna dell’improvvisazione e di un caos controllato, un azzardato ma riuscito connubio fra certi collage zappiani, Captain Beefheart, i Velvet Underground ed il teatro di Brecht, le allucinazioni di Stockhausen, il melodramma di Wagner. Why Don’t You Eat Carrots? apre l’album fra dirompenti effetti elettronici ed i frammenti nascosti (adesso si direbbero campionamenti…) di Satisfaction e All You Need Is Love a chiudere fin dall’inizio i conti con la tradizione. Poi uno strano insieme di dissertazioni pianistiche, fanfare circensi, fiati di estrazione jazz, dialoghi, canti stralunati e recitazioni surreali mentre, sullo sfondo, impazza una chitarra elettrica ed il synth rigurgita le proprie nefandezze. La successiva Meadow Meal prosegue all’incirca sugli stessi binari con un morbido arpeggio chitarristico dal quale si staglia perfino un tentativo di canto. Poi un’apertura strumentale di impalcatura progressive con la chitarra in primo piano, mentre gli scrosci di un temporale introducono la chiusa affidata ad un organo di chiesa ed alla sua lugubre preghiera. Qualche indicazione maggiore la fornisce allora Miss Fortune, ritmica serrata all’inizio, con tastiere e chitarre che si rincorrono in vaste dilatazioni psichedeliche. Poi tutto si ferma e le distorsioni di una chitarra ritornano dall’aldilà creando una zona d’ombra dove una voce stolta si può esercitare fra violenti percussionismi. E’ il preludio ad una nuova esplosione strumentale dominata dagli svolazzi del synth, mentre voci sconnesse ritornano a parlare su brevi divagazioni pianistiche. Il finale degenera con un synth impazzito prima che qualche attimo di silenzio introduca un morbido arpeggio di chitarra sul quale due voci, a canali alternati, recitano una fiaba medievale che inizia con “Are We Supposed To Be Or Not To Be” e termina con “Nobody Knows If It Really Happened”. Due frasi che, senza scomodare tesi di Laurea, racchiudono lo spirito e la magia del disco: una musica che, forse, ci è solamente sembrato di ascoltare e che, riaperti gli occhi, non sappiamo se collocare nella dimensione del sogno o nella realtà. Come, del resto, la nostra stessa vita: l’apparenza, spesso, inganna.

Il disco passa quasi inosservato in Germania mentre ha qualche riscontro commerciale in Gran Bretagna per merito del solito John Peel, che lo programma spesso nelle sue trasmissioni radiofoniche. Sotto la pressione della casa discografica, che spinge per un prodotto più accessibile, i Faust pubblicano nel 1972 So Far, che attenua l’impeto dissacratorio del primo album in una dimensione più compiuta e più vicina alla forma canzone. Già, per la prima volta si può parlare di canzoni e di un album che ha marchiato a fuoco tre decadi di rock alternativo. Dall’iniziale It’s A Rainy Day, Sunshine Girl, battito secco e metronomico, una chitarra sgraziata in sottofondo quale strana ossatura, la melodia cupa e glaciale del canto e le aperture geometriche per tastiere, armonica a bocca e sax, passando attraverso On The Way To Abamae, forse il massimo punto lirico toccato dai Faust, con organo pinkfloydiano, arpeggio acustico e tocchi di flauto e la successiva No Harm, che parte come una parodia di Atom Heart Mother, con una partitura sinfonica dominata da organo e chitarra, per trasformarsi in un funky scatenato con una frase demenziale ripetuta all’infinito da voci sempre più folli “Daddy, take a banana, tomorrow is sunday”.  E che dire della title-track, un rock in tempo medio giocato sul dialogo a distanza fra chitarra e fiati con svolazzi elettronici in sottofondo, o delle radiazioni elettroniche dell’assalto al calore bianco di Mamie Is Blue o, ancora, del divertissment finale affidato al jazz da teatrino di avanspettacolo di …In The Spirit? Pagine di testo per generazioni di più o meno folli sperimentatori…

Dopo la pubblicazione di So Far ed alcune importanti collaborazioni fra le quali quella con il violinista Tony Conrad, che frutta il celebre Outside The Dream Syndicate, costituito da due lunghe composizioni nelle quali i nostri forniscono un tappeto ipnotico e percussivo alle elucubrazioni strumentali del maestro, i Faust rompono definitivamente con la Polydor e si accasano presso la nascente Virgin, che aveva già furbescamente orientato le proprie antenne verso il rock teutonico grazie alla distribuzione in Terra d’Albione delle produzioni targate OHR. “Uwe quella volta volle fare qualcosa di diverso, così disse ‘Vi diamo questi nastri per niente, nessun anticipo, ma voi –allo stesso modo- pubblicherete il disco per niente’. Volevamo garantire che non ci avremmo guadagnato niente, così vendemmo il disco al prezzo più basso possibile: vendemmo The Faust Tapes al costo di un singolo, 49 pence”. Potenza del marketing, The Faust Tapes, prima uscita dei Faust in casa Virgin, brucia in poche settimane la tiratura iniziale di 100.000 copie anche se, c’è da scommetterlo, un buon 90% di quegli incauti acquirenti non va oltre la prima facciata e, forse, nemmeno riesce a ultimarne l’ascolto… Peccato, perché The Faust Tapes, costituito da 26 più o meno lunghi frammenti legati in un’unica composizione di tre quarti d’ora circa, li avrebbe edotti sui successivi vent’anni di musica rock: new wave, post rock, industrial, dub, ambient, no wave, free jazz, folk apocalittico, isolazionismo…tutto e più di tutto sembra albergare, indisturbato, fra questi solchi in attesa del più o meno prossimo germoglio. L’essenza, o meglio la summa, dell’arte faustiana.

Sul finire dell’anno (non lo abbiamo ancora detto, è il 1973) esce Faust IV, il nuovo disco ufficiale del gruppo che, sull’onda del buon riscontro commerciale dei Tapes, riesce a vendere quasi altrettanto bene. Merito soprattutto, questa volta, dei suoni più levigati e più vicini alla forma canzone mai prodotti dai Faust, in un lavoro sicuramente valido ma privo di quell’inventiva rivoluzionaria che aveva scosso le produzioni precedenti. Certo non si direbbe, comunque, dall’ascolto dell’iniziale Krautrock, grande classico della band e del rock tutto. Una sorta di Hallogallo (Neu!) che vira verso la claustrofobia pura: questa volta i corrieri cosmici sembrano andare verso l’inferno. Il lato più cupo, malato ed angosciante del krautrock: un vortice psichico, un trip lisergico che sconfina in overdose, una lunga ed ossessionante cavalcata elettronica –costruita sul concetto di reiterazione- in cui il sintetizzatore esala i propri miasmi vorticosi in una irrefrenabile discesa agli inferi. Suscita allora non poco stupore, se non addirittura sgomento, passare subito dopo a The Sad Skinhead, reggae rock semi demenziale, o alla successiva –pur splendida- Jennifer, che si sviluppa da cupe linee di basso e finisce fra fasci di rumore ma, in mezzo, cela la ballata più solare che abbiano mai inciso i Faust. C’è ancora spazio per Just A Second, una sorta di ripresa di Krautrock che sfocia in abrasioni elettroniche, per le digressioni progressive un po’ datate di Picnic On A Frozen River, Deuxieme Tableaux e per le divagazioni folk –altrettanto datate- di Gyggy Smile. Strano per un gruppo che non si è mai guardato alle spalle… Chiude l’album l’organo chiesastico sfregiato da un’improvvisa distorsione di chitarra di Lauft…Heisst Das Es Lauft Oder Es Kommt Bald…Lauft e It’s A Bit Of Pain, morbida ballata disturbata da frequenze elettroniche. Anche i Faust, in fondo, dovevano pur mangiare…  

Ma, evidentemente, il pane non è tutto o, forse, quel poco non è ancora abbastanza perché, subito dopo IV, il gruppo abbozza un paio di tour e poi  sembra letteralmente scomparire nel nulla. Tutto ciò che trapela sono le numerose collaborazioni e le registrazioni personali dei vari membri, ma per i Faust sembra iniziato un lunghissimo letargo interrotto soltanto dalla pubblicazione di registrazioni postume o dalle ristampe del catalogo originale.  Tocca prima a Munich And Elsewhere, contenente il materiale che avrebbe dovuto comporre il successore di Faust IV, edito nel 1986 e ripubblicato con l’aggiunta dell’ep Faust Party Three, contenente altre registrazioni d’epoca, con il titolo di 71 Minutes Of Faust. Poi la reunion dei primi anni novanta, sotto l’egida di Jim O’Rourke, che conduce ai due volumi di Concerts, contenenti materiale live del 1990/1991, ed al ritorno in pompa magna con il primo album originale dai tempi di IV, il violento ed incompromissorio Rien (1995), davvero all’altezza dei tempi migliori, cui faranno seguito, un gradino più sotto, You Know Faust (1997) e Ravvivando (1999) più l’opera Faust Wakes Nosferatu. E’ proprio di questi giorni, infine, la notizia della (ennesima) ripubblicazione di Outside The Dream Syndicate in edizione de-luxe e del nuovissimo Derbe Respect Alder, split con la nota posse alt-hiphop statunitense dei Dalek, in cui i nostri si reinventano per l’ennesima volta trovando un inaspettato punto di convergenza fra due esperienze apparentemente così diverse. Ma questa è già storia di domani. E, per i Faust, non è certo una novità…

da LFTS n.70

Frattaglie di (puro) vinile…10

di Marco Tagliabue

31 luglio 2010

Disintegration…A venti (più uno, per la verità) anni dalla sua pubblicazione, riedizione “deluxe” dell’ultimo capolavoro dei Cure più decadenti (ma sarebbe meglio dire dei Cure…e basta), lo splendido “Disintegration” del 1989. Doppio vinile 180 gr. rimasterizzato dai nastri originali di Robert Smith (e, una volta tanto, si sente…) con l’aggiunta dei due brani presenti all’epoca, per ragioni di spazio, solo sull’edizione in CD, “Homesick” e “Untitled”…

Woven Hand…salutiamo con una lacrimuccia il ritorno della mitica label tedesca Glitterhouse alle pubblicazioni in vinile…ne sono un (ottimo) esempio recente, gli ultimi album di Woven Hand “The Threshingfloor” e Dirt Music “BKO”, oltre ai Lilium di “Felt” o al Jeffrey Lee Pierce Session Project di “We Are Only Riders”. Era più o meno dai tempi dei Nirvana (la Glitterhouse, lo ricordiamo, curava la distribuzione europea dei dischi della Sub Pop) che non giravano manufatti vinilici con il logo dell’etichetta di Beverungen…

National…bellissima edizione in doppio vinile dell’ultimo, ottimo album dei The National, “High Violet”. Oltre a quella canonica, una serie limitata in vinile color -non potrebbe essere altro- viola. Davvero molto buona la resa sonora, merito anche della scarsa compressione dei solchi in poco più di quarantasette minuti di musica suddivisi in quattro facciate. Artefice di tutto ciò è la mitica 4AD, che sembra tornare prepotentemente in voga…

The Books…molto curiosa l’edizione in vinile che la Temporary Residence ha approntato per il nuovissimo album del duo folktronico dei The Books.  Doppio album con l’ultima facciata “incisa”, ma non nel senso canonico del termine, e, soprattutto, con un gran numero di sticker adesivi attraverso i quali il titolo è stampato con differenti composizioni cromatiche. Alla fantasia del possessore l’ardua scelta e la minuziosa opera di composizione del titolo in copertina…

Radios Appear…la 4 Men With Beards ristampa in vinile pesante 180 gr. il primo seminale album dei Radio Birdman “Radios Appear” nella “overseas version”, ovvero nella stampa approntata dalla Sire nel 1978 per il mercato inglese e americano dopo la pubblicazione della prima versione, dal medesimo titolo ma con copertina diversa, sul mercato australiano l’anno precedente. Qualche piccola variazione anche nella scaletta, priva di classici quali “Love Kills”, “Monday Morning Gunk” e la fulminante cover della stoogesiana “T.V. Eye”, ma con cinque brani di caratura non inferiore altrimenti inediti: “What Gives?”, “Non Stop Girls”, “Aloha Steve And Danno”, “Hit Them Again” ed un’incredibile cover di “You’re Gonna Miss Me” dei 13th Floor Elevators…

Spiritualized  …Plain Recordings invece si cimenta nella riedizione in doppio vinile pesante 180 gr. di un classico assoluto del rock indipendente degli anni novanta, “Ladies And Gentlemen We Are Floating In Space” degli Spiritualized dell’ex Spacemen 3 Jason Pierce, edito in origine nel 1997 dalla Dedicated, che ne approntò anche all’epoca una rarissima stampa in doppio album. Un disco che ai tempi fece meritatamente sfracelli fra pubblico e critica, con buona pace dell’invidiosissimo ex socio Sonic Boom…

FaustDalla storica Recommended Records, un eccezionale programma di ristampe, limitate, in puro vinile 180gr. Con la serie “Classic Reissues”, riscopriremo le discografie di Henry Cow, Art Bears, Faust, Slapp Happy, Amm, This Heat, The Work… dagli anni settanta, il summa della più intensa stagione del rock sperimentale europeo.

 Gruppi storici e musiche altamente Art Bears raccomandate,  torneranno finalmente a risuonare, attraverso la vibrazione del loro supporto originario. La prima serie di pubblicazioni include il celeberrimo “The Faust Tapes”, il terzo e per certi versi più geniale album dei folli sperimentatori di Wumme, edito in origine nel 1973 dalla Virgin e costituito da 26 più o meno lunghi frammenti “cuciti” fra di loro in un’unica composizione di tre quarti d’ora. L’album più venduto dei Faust, anche grazie ad un abile strategia promozionale della label che lo vendette all’epoca a 49 pence, più o meno il prezzo di un singolo. Tocca poi a “Hope And Fears”, il primo album del 1978 degli Art Bears, band emanazione diretta degli Henry Cow Henry Cowcostituita da Chris Cutler, Dagmar Krause e Fred Frith a mezza strada fra sperimetazione e forma canzone.  Non ha invece bisogno di presentazioni la, per il momento, terza produzione, ovvero il primo omonimo album degli Henry Cow, altrimenti noto come “Leg-End”, edito dalla Virgin nel lontano 1973. Gli Henry Cow, che in questa formazione erano costituiti da Fred Frith, Chris Cutler, Tom Hodgkinson, Geoff Leigh e John Greaves, rappresentarono il perfetto trait d’union fra la scena di Canterbury ed il mondo utopico e radicale del cosiddetto “Rock In Opposition”…        

 ”Questa musica fu concepita per il vinile, ovvero, fu equalizzata per ricevere il meglio, attraverso un sistema riproduttivo analogico, alimentato da vibrazioni fisiche… 
Tra trent’anni, molti cd, hard discs e ipods, saranno, talmente sorpassati, o così danneggiati, da non poter più funzionare, mentre questi LP, continueranno a mantenere salvo il loro contenuto, per secoli…”

(Chris Cutler)

Frattaglie di (puro) vinile…3

di Marco Tagliabue

1 dicembre 2009

…ennesima ristampa vinilitica per gli album “storici” dei Kraftwerk post kraut-rock (”Autobahn”, “Radio Activity”, “Trans Europe Express”, “The Man Machine”, “Computer World”…c’era bisogno di ricordarlo?). Questa volta l’etichetta è la Mute e la novità è rappresentata da copertine “esclusive”, ovvero diverse anche se in qualche modo collegate a quelle originali, e da un libro fotografico di 16 pagine per ogni titolo…

…sull’onda del successo underground degli OM con il recente, ottimo, “God Is Good”, la Holy Mountain ha ristampato i primi due vinili della band formata dal basso di Al Cisneros e dall’allora batterista Chris Hakius. Si tratta di “Variations On A Theme” del 2004 e di “Conference Of The Birds” del 2006, due lavori che non mancheranno di stregare chi è stato appena conquistato dalle sonorità mistico/ipnotiche di “God Is Good”…

…un’altra ristampa importantissima è quella di “She Hangs Brightly”, primo fantastico album del 1990 dei Mazzy Star, il progetto post-Opal di David Robach con la meravigliosa Hope Sandoval. Sparito ormai da anni nel formato a 33 giri, poco reperibile anche sul mercato collezionistico, ritorna finalmente alla luce in vinile 180 gr. per opera della label Plain Recordings, alla quale va naturalmente tutto il nostro caloroso encomio…

…due preziosi cofanetti che farebbero un figurone adeguatamente impachettati ed infiochettati, anche perchè il loro contenuto è ormai piuttosto inusuale: la Fantasy pubblica una “Singles Collection” dei Creedence Clearwater Revival contenente nientepopodimeno che 15 7″ 45 giri mentre, su un versante completamente opposto, ci pensa la Touch And Go a raccontare la storia dei Jesus Lizard attraverso un’antologia retrospettiva in edizione limitata assemblata con nove singoli da tempo spariti dalla circolazione. Il titolo, laconico, è “Inch”…      

…vi avevamo  già parlato, nelle precedenti frattaglie, della riedizione della “Harry Smith’s Anthology Of American Folk” in differenti volumi in doppio vinile colorato ad opera della misteriosa label Doxy. Era toccato allora al primo tomo, dedicato alle “Ballads”: ora è la volta del vol. 2 “Social Music” e del vol.3, più generalisticamente intitolato “Songs”…

…fra le ultime pubblicazioni della stessa Doxy, anche il doppio album “Lady Day” di Billie Holiday, un’antologia preziosa contenente 35 classici della vocalist immortale…

…l’italica Lilith, invece, pubblica una “strana” antologia dei Tangerine Dream intitolata “Mysterious Semblance At The Strand Of  Nightmare”, un doppio vinile che rispercorre la storia dei corrieri cosmici per eccellenza attraverso una serie di registrazioni, anche rare, che coprono il periodo dal 1972 al 1979… 

…”Beatles Play Bob Dylan“…e chi l’avrebbe mai detto? (chiedo scusa a fans e completisti dei Beatles…). E’ il titolo di un album pubblicato dall’etichetta Vigotone all’interno del quale, come lascia intendere il titolo, i fab four rispolverano il repertorio del menestrello di Duluth…

…la Food ha ripubblicato “Modern Life Is Rubbish” e “Parklife”, due fra gli album più famosi della fase “brit-pop” dei Blur, in vinile colorato…

…aria di strenne natalizie anche in casa Music On Vinyl, con la ristampa del capolavoro di Jeff Buckley “Grace” e la pubblicazione di un doppio live con registrazioni risalenti agli anni 1995-1996 dal titolo “Mistery White Boy”. Entrambi in edizione per audiofili (?) in vinile 180 gr. …   

…agli amanti dei Doors consigliamo di non farsi sfuggire la riedizione, per la prima volta e non solo in vinile, dell’unico omonimo album di un oscuro gruppo della San Francisco del 1969, i Day Blindness, originariamente edito da un’oscura etichetta della città e diventato immediatamente feticcio per collezionisti. Responsabile del ripescaggio è la benemerita Studio 10 Records…

…l’avevamo evocato non molto tempo fa e siamo stati subito esauditi: la Virgin ha ristampato in vinile Faust IV, l’album probabilmente ideale per un primo approccio ai terroristi sonici di stanza alla comune di Wumme. Stessa etichetta con il vecchio logo della Virgin e artwork identico a quello dell’edizione originale, con il gusto dei particolari che davano notizia, fra l’altro, di un imminente tour con gli Henry Cow…

…dato il prezzo, che si dovrebbe aggirare sui 120/130 euro, questo è un “regalone” di Natale, ma coloro i quali potranno contare su una tredicesima piuttosto gonfia sappiano che è in commercio un box dei Dukes Of Stratosphear (gli XTC sotto mentite spoglie per chi ancora non lo sapesse), comprendente le edizioni in vinile 180 gr. ed in CD dei due album del curioso progetto, “25 O’ Clock” e “Psonic Psuspot Album”, splendidi esempi di psichedelia inglese dei sixties meglio di come si suonava all’Ufo Club, un bonus 7′ inedito ed un puzzle in cinquecento pezzi. Se possiamo fare felici grandi e piccini…

…un’altra gemma che ritorna finalmente alla luce è il mitico album “Almost Grown” di Lund Garrett, uno dei tanti oggetti volanti non identificati che attraversavano i cieli della West Coast negli anni d’oro. Registrato con il concorso di membri dei Quicksilver Messenger Service, Kak ed altre band minori, viene ripubblicato in copertina gatefold e con l’artwork originale dalla lungimirante World In Sound…

…e, per finire, parliamo ancora di Ufo a proposito dei misteriosi Wildfire, trio californiano di adozione texana, il cui unico album “Smokin” del 1969 è stato ristampato in 450 copie numerate dalla Shadoks Music. Heavy rock psichedelico fra i più rumorosi allora in circolazione che non mancherà di aprire nuove brecce nei cuori già martoriati dei fans di Blue Cheer et similia…

Qualche segnalazione a 33 giri

di Marco Tagliabue

12 agosto 2009

A trent’anni esatti dall’ultima ristampa vinilitica, quella di Recommended Records del 1979, ed a quasi quaranta dalla sua pubblicazione, avvenuta nel 1972 su etichetta Polydor, rivede finalmente la luce nel nero formato “So Far”, il disco più ispirato dei Faust ed uno dei capolavori del krautrock tutto (e non solo). Il merito dell’operazione va alla “4 Men With Beards” di San Francisco, label specializzata nel settore delle ristampe, titolare di un succulento catalogo che vi invitiamo a scoprire fra le pagine del web. (continua…)