Il mare. Immagini in movimento.
di Marco Tagliabue
18 febbraio 2013
Sembri differente ogni volta che vieni
Dall’acqua salata increspata di spuma
La tua pelle brilla dolcemente al chiaro di luna
Un po’ pesce, un po’ focena, un po’ cucciolo di balena
Sono tuo? Sei mia? Per giocare insieme?
Scherzi a parte, sei terribile quando hai bevuto
Mi piaci di più a tarda notte, quando dormi tranquilla
Ma non riesco a capire la persona differente che sei al mattino
Quando è tempo di giocare agli esseri umani per un po’ sorridi, te ne prego
Sarai differente in primavera, lo so
Sei una bestia stagionale come la stella di mare che si sposta con la marea
Così, finché il tuo sangue scorre per incontrare la prossima luna piena
La tua pazzia entra delicatamente in me
La tua follia si sposa graziosamente con me, nel più profondo di me
Non siamo soli
(Robert Wyatt, Sea Song)
Non soltanto il titolo di una canzone. Non solo il teatro di una storia d’amore dolcissima e struggente, al pari di quelle note sommesse e di quella voce flebile che ne illumina la via, nella quale la donna è una misteriosa creatura marina, affascinante e mostruosa al tempo stesso, le cui fattezze mutano al confine fra il giorno e la notte. Non soltanto temibili profondità in cui la luce si fa sempre più fioca, come gli abissi più torbidi e disarmanti della coscienza umana, nei quali il sogno diventa incubo, la sanità pazzia, il pensiero dramma irrisolto, inutile fardello.
Il mare, forse, è soltanto un pretesto: un tema come un altro per la copertina di un album. Ma mi piace immaginare che non sia così. Dirò di più: ne sono assolutamente certo. Ho sempre provato emozioni profonde e toccanti davanti ai morbidi tratti con i quali le matite di Alfreda Benge, moglie, compagna, complice, entità indissolubile della cellula Wyatt, hanno tracciato, con purissimo amore ed ingenua, infantile semplicità, le immagini della Vita e di un ritorno alla Vita. Non datemi del pazzo se possedete la recente ristampa di Rock Bottom su Rykodisc, preziosa ed irrinunciabile finché volete, ma colpevole di aver sostituito la cover del vinile originale, forse troppo arzigogolata per il formato ridotto dell’argenteo supporto, con un altro tema marino raffigurante due corpi che fluttuano sotto la superficie dell’acqua, fra alghe e pesci colorati. Forse Alfreda ha voluto rinnovare la sua penna per il pubblico d’inizio millennio, ha pensato a colori che destassero maggiore attenzione nel grigio dei moderni supermercati della cultura, ma lasciatemi celebrare il mare, sorgente di vita, con quel pallido bianco nero di oltre trent’anni fa.
Gioverà a questo punto, e spero soltanto per i lettori più giovani, fare un po’ di storia intorno a quel grande vecchio su una sedia a rotelle, invitare questi fortunati imberbi a procurarsi i primi quattro album dei Soft Machine, i due dei Matching Mole, la prima opera solista del Nostro, ostica all’ascolto come pure nel titolo (non dite che lui non vi aveva avvisati!), che celebra la fine di un orecchio. Poi costringerli a prendere un’enciclopedia qualunque, anche una di quelle che appesantiscono saltuariamente i quotidiani e, soprattutto, le cassette dei resi delle edicole, e provare a leggere alla voce di Canterbury, per vedere se di sola geografia si tratta. Un viaggio affascinante ed irripetibile, pieno di estro, di creatività e di sana follia, di luci stroboscopiche e colori fluorescenti, ma anche di alcool, droghe e festini troppo movimentati, che conduce invariabilmente alla casa di Lady June a Maida Vale, la notte del primo giugno del 1973, e ad uno stramaledetto volo dal quarto piano. La caduta in un buco nero che sembra non avere fondo: i lunghi mesi di ospedale, la consapevolezza che nulla sarà come prima, che, come pensano tutte le persone su due gambe, sarebbe meglio morire che… Anni dopo, con il fardello del tempo sulle spalle, di un tempo certo non trascorso invano, e la saggezza dei fili d’argento che colorano barba e capelli, Robert avrebbe candidamente ammesso che la sua vera vita era cominciata quel giorno ed i vizi giovanili erano stati nulla più che una sorta di esperienza prenatale. Ma, almeno nel nostro racconto, il presente è ancora l’estate del 1973 ed il buio pesto di una corsia d’ospedale che sembra un tunnel senza via d’uscita.
Rock Bottom è la luce in fondo al tunnel: il disco della resurrezione, la celebrazione del ritorno alla vita. Ideato prima del tragico incidente come possibile terzo atto della saga dei Matching Mole, nei lunghi mesi di forzata convalescenza vede stravolgere completamente i propri connotati sotto la pressione di nuove istanze fisiche e mentali per avviarsi, con infinita malinconia ma senza alcuna mestizia, verso quell’Olimpo dal quale ci ammicca da oltre trent’anni, attraverso il mare ed una spiaggia brulicante di vita. Ma il mare non è soltanto immagine di copertina: è, soprattutto, alveo naturale e cassa di risonanza per le atmosfere liquide e sfuggenti che avviluppano quei solchi, immensa sacca di liquido amniotico che restituisce la vita a Wyatt ed anima gli strani personaggi delle sue canzoni. Accantonata senza troppi rimpianti la vecchia batteria, Robert si concentra sulle tastiere, che animano e governano completamente il sound dell’album conferendogli toni malinconici e sottili movenze ipnotiche: un movimento lieve, costante e reiterato come quello delle onde fragili che si infrangono sulla battigia, depositando talvolta qualche segreto carpito al mare in cambio di un pugno di sabbia da restituire al suo moto perpetuo. Quelle onde, nonostante la loro apparente delicatezza, hanno abbastanza forza da trascinare i fantasmi ingombranti di un passato che non potrà più ritornare e del quale Wyatt, in fondo, non sembra così dispiaciuto di dover fare a meno. Il mare, crudele e generoso al tempo stesso, sa restituire ciò che prende e Robert scoprirà che la sua nuova vita, nonostante le limitazioni impostegli, o forse proprio grazie ad esse, è in realtà la sua vera vita. La sua voce, così fragile e caratteristica, quel filo tenue che sembra sempre in procinto di spezzarsi, è in realtà la barra di un timone che sa resistere alle tempeste ed alle intemperie, che è in grado di governare la furia degli elementi tracciando rotte sempre nuove, affascinanti e misteriose. L’equipaggio è scarno ma fidato: oltre ad Alfreda, amici vecchi (Fred Frith, Richard Sinclair, Hugh Hopper, Gary Windo) e nuovi (Mike Oldfield, Nick Mason), che hanno piena coscienza dell’importanza di questo viaggio inaugurale e che per la sua buona riuscita sono pronti a dare il meglio di se stessi, a sacrificare la bottiglia più pregiata per disperderne in mare il contenuto. Sulla copertina di Rock Bottom la spiaggia ospita due strani personaggi, la cui presenza, in un simile contesto, è decisamente forzata e, proprio per questo, fortemente simbolica. Se aguzzate un po’ la vista non dovreste farvi sfuggire il profilo di un riccio e di una talpa in costume da bagno: due animali tanto piccoli da potere essere scorti solo guardando con attenzione, mentre puntano il mare con apparente diffidenza. E’ il passato (ricordate la copertina di Matching Mole?) che si affaccia timidamente sulla nuova realtà quotidiana, cercando inutilmente un ponte con il presente o, quantomeno, reclamando il proprio ruolo: un passato per il quale ormai non c’è più posto, che è fuori luogo come una talpa sulla spiaggia… Nel cielo, accanto ai gabbiani, danzano i palloncini sfuggiti ad una bimba, che si librano nell’aria cullati dal vento mentre, in lontananza, un filo di fumo segue la scia di una nave. Tutto sembra rimandare ad un concetto di dolcezza ed armonia. Un’idea di movimento che trova la sua definitiva consacrazione nell’agilità delle figure che si muovono sulla spiaggia, saltano, si piegano, si contorcono celebrando l’eleganza delle forme e la scioltezza delle proprie movenze: difficile non rapportare questa libertà infinita alla prigione di una sedia a rotelle ed al ricordo, ancora fresco, di ciò che non potrà più ritornare. Sotto la superficie del mare, invisibile ed inimmaginabile, una realtà misteriosa, paurosa e rassicurante al tempo stesso, si dipana parallela a quella innocente e spensierata che si svolge in superficie senza apparenti interferenze. E’ una vita diversa in cui pullulano creature di ogni tipo, animali e vegetali, il cui aspetto mette disagio, soggezione, ostilità quando non aperto rifiuto. E’ un mondo diverso fatto di esseri diversi, una realtà sotterranea perché nascosta ai nostri occhi: qualcosa di più di una semplice presenza nel grande mare dell’indifferenza…
da LFTS n.77