Archivio di aprile 2011

For all the fucked up children of the world…

di Marco Tagliabue

17 aprile 2011

…we give to you SPACEMEN 3…

-Dacci una definizione chiara, precisa, inequivocabile di “Psichedelia”.
-La psichedelia è qualcosa che colpisce la mente favorendone l’apertura a tutto ciò che la circonda. E’ soprattutto attraverso l’assunzione di droghe che è possibile capire quale sia realmente il suo significato.(da un’intervista a Sonic Boom/Rockerilla luglio1989)

…have a nice trip…

Record Store Day 2011

di Marco Tagliabue

9 aprile 2011

Si terrà sabato 16 aprile l’ormai consueto appuntamento annuale con il Record Store Day, la manifestazione nata negli Stati Uniti nel 2007 con l’obiettivo di supportare i negozi di dischi indipendenti e non celebrando la cultura del supporto fisico, del centro di aggregazione e di scambio di conoscenze, della passione vera per la musica che la cultura del download ed i nuovi metodi di fruizione, di diffusione e di ascolto della stessa stanno uccidendo giorno dopo giorno.

Come d’abitudine, presso tutti i punti di vendita aderenti all’iniziativa si terranno eventi speciali come concerti, incontri e dibattiti. Qui potrete trovare l’elenco completo dei negozi italiani che sosterranno il Record Store Day 2011.

Anche quest’anno saranno tantissime le pubblicazioni speciali, molte delle quali saranno disponibili soltanto durante il Record Store Day, che daranno lustro a questa data. Qui potrete trovare l’elenco completo delle uscite discografiche.

Non ci rimane quindi che augurarvi buon divertimento, sperando che il futuro non ci riservi soltanto celebrazioni e che i negozi di dischi tornino ad essere un’insegna rassicurante ed un piacevole esercizio quotidiano.

Mick, Keith e…la festa di compleanno

di admin

5 aprile 2011

Più che una recensione questo è il racconto di un’iniziazione, del battesimo nel fiume sacro (o profano?) del rock’n'roll di una ragazzina che, per i suoi dieci anni, non ha ricevuto la solita bambola…

Per questo, a insindacabile giudizio della redazione, si è deciso che meritasse un posto tutto suo…Long May You Run, Sonia Cheyenne…  

A_bigger_bang   

Sono cresciuta in una famiglia dove i Rolling Stones sono sempre stati considerati i mostri sacri del rock ‘n’ roll per antonomasia, ma alla tenera età di 10 anni per me non erano altro che un costante sottofondo musicale in casa, e poi, per fortuna o sfiga, mia madre arrivò un giorno dicendomi: “il 25 agosto (correva l’anno 2005) saremo a Boston al concerto degli Stones e ci sarai anche tu, questo è il tuo regalo di compleanno. Fidati, ti cambieranno la vita“. In quel momento non seppi che dire! Io, ma proprio io, sarei andata a un concerto a Boston, a vedere quelle tanto venerate divinità di cui non mi ero mai sinceramente interessata; il mio unico pensiero fu: e adesso? Passai giorni e giorni a studiare i libri contenenti i testi e ad ascoltare tutti, ma dico tutti i CD e facendo quindi una full-immersion. Alla fine, dopo tutto questo sforzo, arrivò quel tanto aspettato giorno. Non lo scorderò mai, penso. Ricordo ancora la caoticità della città e il subbuglio poche ore prima dell’inizio attorno allo stadio dei Red Socks; si sudava, nonostante il freschino che c’è costantemente a Boston, per la sovreccitazione. Fu la mia prima volta in quella città, la prima volta in uno stadio di baseball, la prima volta che vidi gli Stones e anche la prima data americana del tour di Bigger Bang, quindi potete immaginarvi quanto fossi felice. Fu un concerto che, come mi aveva preannunciato mia madre, mi cambiò la vita, non la credevo una cosa possibile eppure successe. Ricordo che quando finì il concerto dissi: “voglio andarli a vedere anche a Milano“. E ci andai. Un anno dopo li rividi, l’11 luglio 2006, il giorno dopo la vittoria dei mondiali di calcio da parte dell’Italia e fu anche la prima data europea del tour. Penso che la concatenazione dei piccoli e grandi eventi attorno a queste due indimenticabili date mi fecero entrare nel cuore l’album A Bigger Bang più di qualsiasi altro loro disco. Per alcuni forse non è niente di speciale, ma per me è  qualcosa che mi rimarrà per sempre incastonato nel cuore, è per questo che ho deciso di scrivere riguardo il loro ultimo album. Per cui ora direi che sia il caso di parlare un po’ di alcuni pezzi dell’album. La prima canzone è Rough Justice, decisamente d’impatto, forse addirittura la sua potenza la rende ruvida (rough) ed è anche una delle hit: questo album ne contiene parecchie e sono dell’idea che un po’ tutte le canzoni suonino così, ma le più conosciute sono, oltre a quella sopracitata, ad esempio la bellissima Rain Fall Down, il cui videoclip che è stato mandato in onda nei canali musicali, la rende ancora più incisiva. Quella che è rimasta più impressa nei fan, e non, dell’Italia è Streets Of Love: il contratto con la Vodafone l’ha fatta canticchiare a milioni di persone. A parer mio è si molto carina e orecchiabile, ma la preferita rimane sempre Let Me Down Slow, un po’ una ballata, un po’ una scarica di elettricità ed è la canzone che mi ha maggiormente toccato il cuore. Back Of My Hand è un pezzo blues che riporta gli Stones un po’ forse alle origini e Jagger ci rapisce con la sua armonica. Infine, vorrei dedicare due righe anche alle canzoni di Richards, This Place Is Empty e Infamy: la prima è una splendida ballata strappalacrime, Keith è riuscito ancora una volta a emozionarmi e a emozionare. Dell’altra, che dire, forse non era la canzone migliore per chiudere l’album, lo reputo infatti l’unico errore che abbiano fatto in Bigger Bang, personalmente ho iniziato ad apprezzarla dopo parecchio tempo, anche perché d’impatto non risulta un pezzo così buono. Molte delle persone alle quali ho chiesto un parere mi hanno risposto: “Infamy è appunto un pezzo infame”, ma forse bisogna solo imparare ad assimilarla. A Bigger Bang è stato riempito di critiche e sinceramente non riesco a capirne il perché, forse le persone non riescono  a vedere più nulla al di fuori di Exile On Main Street, io reputo questi soggetti non degli intenditori, ma null’altro che degli ottusi, incapaci di aprirsi alle novità. Posso comprendere delle critiche per l’album Undercover ma non per A Bigger Bang.

 Sonia Cheyenne Villa

Rock & Pop, le recensioni di LFTS/12

di admin

5 aprile 2011

hillman pedersen

 

CHRIS HILLMAN & HERB PEDERSEN

At Edward’s Barn

2010 Rounder CD

 

Incredibile! Un disco dal vivo di Chris Hillman. Incredibile perché, nella sua eccezionalmente lunga e prolifica carriera, è uno dei rari dischi live di questo artista, se non sbaglio solo il secondo pubblicato in tempo reale (e comunque anche i live d’archivio sono solo un paio). Nessun disco dal vivo con i Byrds, nessuno con i Manassas, la SHF Band, la Desert Rose Band o come solista assoluto. A conti fatti c’è solo il mitico Last Of The Red Hot Burritos a far compagnia a questo scintillante, bellissimo concerto acustico realizzato col fido pard Herb Pedersen. Il disco è stato registrato verso la fine del 2009 in un fienile dove con cadenza regolare i nostri si esibiscono per beneficenza. L’acustica particolare della sede scelta, l’informalità e l’intimità della performance ne fanno una perla di rara bellezza, sia per chi ama le atmosfere acustiche che per chi apprezza la formidabile miscela vocale che Herb e Chris sanno allestire quando le loro ugole si uniscono (e ormai sono decenni che la cosa accade). Come se non bastasse, hanno scelto per farsi accompagnare un gruppo di musicisti molto dotati che creano un sound ricco e grondante di umori unici. Ci sono infatti il violino di David Mansfield (già al fianco di Hillman negli anni ‘80 per una serie di registrazioni country- gospel), il bassista Bill Bryson (a lungo collaboratore del duo) e il chitarrista Larry Park. I due compadres oltre alle voci ci mettono il banjo (Herb) e il mandolino (Chris), con un risultato che le parole stentano a definire. Il concerto è un viaggio piacevolissimo attraverso tanti anni di musica e di gruppi e concede anche un paio di brani nuovi che in questi frangenti non guastano mai, come a dire che i nostri non sono solo due pezzi da museo. E difatti, la particolare ritrosia di Hillman verso il materiale d’archivio conferma questa dichiarazione. Chris Hillman sembra, con questo disco, essere ritornato definitivamente al mandolino, il suo strumento originario, quello con cui dalle parti di San Diego suonava in timidi gruppi bluegrass prima di imbracciare il basso e cominciare a volare con i Byrds. Il disco si apre con il gospel di Going Up Home per poi citare la Desert Rose Band attraverso Love Reunited. La versione di Turn Turn Turn è puro spettacolo così come gli altri brani byrdsiani, Have You Seen Her Face (il primo firmato da Chris per supplire alla fuoriuscita di Gene Clark dal gruppo) e l’incredibile versione acustica di Eight Miles High, che dal vivo è anche meglio di quella già spettacolare incisa in studio qualche anno fa. Dal repertorio dei Burritos ci sono Together Again, Sin City e un’azzeccata Wheels. Tra gli inediti si fa apprezzare particolarmente Tu Cancion una canzone di ispirazione tex-mex ma senza fisarmoniche composta da Hillman, probabilmente con in testa il Dylan di To Ramona. La conclusione del disco (quindici brani in tutto) è affidata a Wait A Minute cantata da Pedersen, e alla struggente Heaven’s Lullabye.

 Paolo Crazy Carnevale

 

 

 

Johnnie Selfish and the Worried Men Band

 

JOHNNIE SELFISH AND THE WORRIED MEN BAND

Committed

2010 Autoproduzione CD

 

Un disco realizzato da veri amanti della musica americana. Dagli strumenti, alle sonorità, Johnnie Selfish e i suoi propongono un ritratto del folk americano appassionato, ma molto, forse troppo tecnico,  puntuale nell’esecuzione e senza una nota in più o in meno di quanto sia richiesto. Questo è certo un pregio quando si suona un genere popolare, il saper essere allo stesso tempo buoni strumentisti e arrangiatori oculati. Tuttavia alcune pecche sono difficilmente perdonabili a dei musicisti di livello: voler fare una canzone d’autore, nel senso in cui è intesa in Italia, rifacendosi al mondo del folk americano può essere pericoloso e dare luogo a fraintendimenti non sempre risolvibili. C’è qualcosa di sbagliato nell’immaginarsi Woody Guthrie cantare una Song For The Working Class come quella che compare in apertura del disco, è un accostamento che va al di là dei limiti del folk americano, per sorvolare poi su svarioni linguistici propri dell’italiano come l’allitterazione “lines and lanes” che sono quasi cacofonici in altre lingue. Certo, è già una buona prova saper addentare con originalità un genere rigido e chiuso nei suoi schemi fissi, nelle sue armonie ricorrenti, e veramente il lato strumentistico non delude mai; molto pregevole anche lo strumentale Self Portrait. Tuttavia ciò che il disco non trasmette è il lato, per così dire, ruspante della musica, quell’eterna, ossessiva ripetitività dei folk singer, nonostante la quale sono nati brani di struggente poesia, soppiantati qui da immagini altamente prosastiche, poco più di una pallida imitazione. A volte si ha l’impressione che il testo non sia che un mero riempitivo per una musica che suoni il più americano possibile, quasi un esercizio di stile.

Eugenio Goria

 

 

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NEIL YOUNG

Le Noise

2010 Repris CD

 

Della serie dischi inutili. Dispiace dirlo di uno dei propri beniamini, ma questo ennesimo CD firmato dal canadese per eccellenza mi ha deluso. Così come mi avevano deluso i suoi predecessori. Non so se sia perché Young sta riversando tutte le energie nei suoi archivi o se sia proprio perché la vena creativa si è momentaneamente impoverita, ma non mi erano piaciuti né Chrome Dreams II, né Fork In The Road. Per carità qualche brano buono lo si trovava anche, così come lo si trova in questo nuovo CD, ma la sensazione era, ed è, che la bontà fosse dovuta al fatto che tutto il resto era davvero brutto. A partire dalla grafica, ma Young ha spesso avuto il gusto dell’orrido in questo senso, questi dischi non fanno davvero onore a buona parte del passato discografico di Neil Young. E sì che l’attesa era davvero spropositata, da quando si era saputo che a produrre il tutto c’era nientepopodimenoche il signor Lanois, un altro canadese. Più che di suoni in questo disco sentiamo dei feedback, ma non occorreva scomodare il già produttore di U2, Bob Dylan, Robbie Robertson: Young di feedback chitarristici ce ne aveva già regalati molti in passato, senza dover propinarci questa nuova creazione. Quello che emerge dagli ascolti, ripetuti, è la totale mancanza d’ispirazione, di buone canzoni. C’è anche la ripresa di un vecchio brano, pare risalente al 1976, ma sicuramente eseguito più volte nel tour del 1992, intitolato Hitchhiker, una buona canzone, ma vestita con un arrangiamento che non va giù. Un paio di brani acustici o semiacustici sembrano eccellere tra gli altri, otto in tutto per meno di quaranta minuti, Someone’s Gonna Rescue You e Peaceful Valley Boulevard dove si cerca di rifare il verso a certe cose di On The Beach (senza riuscirci), ma, lo ripeto è un’eccellenza fatua, che emerge per colpa della pochezza del resto. Quantomeno, stavolta ci è stata risparmiata l’edizione col DVD allegato (che ultimamente Young non aveva mai fatto mancare ai suoi fan) anche se per la verità, su Youtube c’è un video dedicato alla realizzazione di questo Le Noise.

 Paolo Crazy Carnevale

 

 

rufus party

RUFUS PARTY

Civilization & Wilderness

2007 Bluebout CD

 

 

Un bel lavoro come non se ne vedono spesso.  I Rufus Party sono una band di Reggio Emilia che ha scelto per il proprio lavoro, prodotto nel 2007, una veste semplice e casalinga: una grafica essenziale, una registrazione su bobinone analogico: roba d’altri tempi. Tuttavia, anche se in certi ambienti questo entusiasmo tutto amatoriale può non essere ben visto, il prodotto musicale è sicuramente di alta qualità, e merita il rispetto che si deve a un bel disco. Civilization & Wilderness è, come lo definisce il chitarrista Parmiggiani, “una specie di concept album registrato con amore, come si faceva una volta”, e rappresenta un’originale rielaborazione del rock blues britannico e americano. Forte è in molti brani l’influenza di Jagger e Richards, e a volte lo spirito di emulazione prevale sulla creatività, ma non mancano momenti anche di grande personalità che fanno presto dimenticare le piccole sbavature che si incontrano qua e là. Ad esempio le due parti in cui è divisa Walk Of Fame rappresentano un tentativo di sperimentazione davvero azzeccato e significativo, che mescola un riff blues suonato dall’armonica con sonorità innovative, a metà strada tra l’indie e il rock. Quanto alla voce, sono necessarie due parole in più: quasi sempre il cantante è in buona sintonia con l’accompagnamento e con la natura delle canzoni che interpreta, è perfetto in un brano come la poderosa e travolgente Mr. Shuffle, lascia però a bocca asciutta su un lento come Girl On A Pedestal, e l’ascoltatore forse vorrebbe un po’di più in un pezzo peraltro molto bello. L’ascolto prosegue tra suggestioni che vanno dagli anni Sessanta americani al rock contemporaneo, attraverso riff quasi sempre puntuali e incisivi, con una ricchezza di timbriche e di strumenti che rende il disco estremamente particolare: non ci sono molti gruppi che sanno utilizzare a ragion veduta un organo hammond.  Un bel lavoro dunque, con pregi e difetti, ma piacevole all’ascolto e ricco di buone idee.

Eugenio Goria

 

 

soft machine legacy

SOFT MACHINE LEGACY

Live Adventures

2010 Moonjune CD

 

 

Nonostante Hugh Hopper ed Elton Dean siano passati recentemente a miglior vita, la spinoff band che si dedica a proseguire i fasti dei Soft Machine continua la propria strada con onore e perseveranza. Questo live, fresco di stampa, ci propone il sunto di due serate tenute nell’ottobre dello scorso anno in Austria e Germania. Il gruppo, va detto per i puristi e i pignoli, non comprende alcun membro originale del gruppo, ma ha sempre avuto l’imprimatur degli ex, e il buon gusto di non farsi chiamare semplicemente Soft Machine è cosa non da poco. Per sostituire Hopper la formazione britannica ha seguito una logica inappuntabile ed ecco che ora le vibranti note di basso elettrico sono a discrezione di Roy Babbington, che negli anni ‘70 aveva militato nel gruppo per un breve periodo. Così sono sempre tre i componenti del quartetto attuale che hanno nel DNA la musica dei Soft Machine: Babbington, il batterista John Marshall e il chitarrista John Etheridge, che è un po’ il leader del gruppo odierno. Il quarto membro è il giovane Theo Travis, oboe e sassofono, che vanta un pedigree stellare, annoverando collaborazioni con Dick Heckstall-Smith, Gong, i fratelli Sinclair e Robert Fripp. Il disco è molto ben registrato e ci mostra un gruppo ben lontano dal fare della semplice musica per nostalgici, proponendo a fianco di qualche titolo firmato dai vecchi Soft Machine (Gesolreut di Ratledge e Facelift di Hopper) nuove composizioni di Etheridge, Travis e di Karl Jenkins, altro personaggio legato alle due formazioni. Si va dalle atmosfere molto progressive di Song Of Aeolus (con la chitarra ispirata di Etheridge a dominare) e The Nodder agli sperimentalismi dell’iniziale Has Riff II (rielaborazione di gruppo di un tema originale di Mike Ratledge), passando per il jazz rock di Grapehound e In The Back Room (con gran lavoro del sassofonista) e il free del medley The Relegation Of Pluto/Transit.

 Paolo Crazy Carnevale

 

 

thee jones bones

THEE JONES BONES

Electric Babyland

2010 Il verso del cinghiale CD

 

 

Nella scia dei gruppi a base di sola chitarra e batteria (White Stripes, Black Keys tanto per dire i più affermati) si inserisce questa curiosa formazione bresciana. Per la verità ci sono altri strumenti in questo disco, ma il gruppo resta comunque un duo, formato da Luca Ducoli e Michele Federici. Se la copertina e il titolo (entrambi da premio!) fanno pensare immancabilmente a Hendrix, l’ascolto ci porta decisamente altrove, le nove tracce di questo CD sono tutto tranne un riferimento al mancino di Seattle. Una parola può riassumere quello che i Thee Jones Bones suonano: rock’n’roll. Scontato? No, direi anzi molto fruibile, grezzo, ribelle, simpatico, in tutte le sue sfaccettature, il rockabilly delle origini, con tanto di riferimenti country e bluegrass, una buona dose di punk, passando, distrattamente, per Lou Reed con il brano Nico’s Banana. Il tutto shakerato col risultato di un prodotto fresco e originale: banjo, chitarre slide, ritmica incalzante: oltre al brano citato si fanno apprezzare particolarmente Cowbaby, Teachin’ Nurse e l’iniziale Holly Holly.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

dire straits

 

DIRE STRAITS

Sultans Of Swing The Very Best

2010 Vertigo 2CD + DVD

 

La band si forma a Newcastle nel 1977 e poi si trasferisce a Londra, con David  Knopfler, il fratello  Mark, e gli amici John Illsey, basso e Pick Withers, drums. In piena era punk i Dire Straits  (letteralmente terribili ristrettezze) riuscirono a creare una sonorità unica, unendo il classico rock & roll a influenze country, jazz, swing e blues, grazie anche alla loro notevole capacità strumentale e compositiva che li fece diventare in poco tempo famosi in tutto il mondo con i due primi albums, Dire Straits e Communiquè, piccoli gioielli del genere e con singoli che ormai fanno parte della storia della musica rock, da Tunnel Of Love a Romeo And Juliet, da Local Hero a Sultan Of Swing, solo per citarne alcuni. Questa raccolta fu pubblicata dalla Vertigo nel 1998 come album singolo con sedici brani, ovviamente i più famosi della band oltre a due tracce live, Your Latest Trick e Local Hero/ Wild Theme. Visto il successo fu ripubblicata in doppio CD, con il disco originale sul primo CD e sul secondo un concerto inedito registrato a Londra nel 1996 durante il Golden Heart Tour, contenente sette brani e con versioni strepitose di Romeo And Juliet, Sultan Of Swing e Brothers In Arms. La ultimissima versione è questo lussuoso cofanetto con booklet allegato, a prezzo veramente contenuto, con i due CD già citati e uno stupendo DVD contenente sedici canzoni  dal vivo tratte da vari concerti con brani lunghi e dilatati, con grande spazio ai solismo dei musicisti e con Mark in grande spolvero con la sua chitarra e con la sua voce roca e personalissima:Sultan Of Swing, Romeo And Juliet, Tunnel Of Love, Calling Elvis, Love Over Gold e Heavy Fuel ci faranno sempre sognare.

Daniele Ghisoni

 

 

john hammond

JOHN HAMMOND

Rough & Tough

2009 Chesky Records CD

 

 

Quasi cinquant’anni di carriera, forse il più grande interprete ed esecutore bianco della musica blues di tutti i tempi, riesce ancora a stupirci con un nuovo album, grazie a una voce calda e coinvolgente, un tocco chitarristico unico unito alle sonorità stupende che riesce a trarre dalla sua armonica. Con un Palmares di un Grammy Award e un WH. Handy Award, oltre a diverse nomination, il 26  giugno di quest’anno ha suonato il suo concerto numero 4.000. Una produzione discografica enorme, oltre trenta album, iniziata nel 1962 ma con pochissimi lavori non all’altezza. Soprattutto interprete, perché John ha scritto pochissimo, delle canzoni di tutti i grandi del blues, da Muddy Waters , Chuck Berry, Jimmy Reed, Son House, Sonny Boy Williamson, fino a Howlin’ Wolf ,  solo per citarne alcuni, ma anche un brano già ascoltato migliaia di volte nella sua esecuzione riesce a dare ancora nuove sensazioni che ti coinvolgono in modo unico. Quindici brani, classici senza tempo, prodotti da G.Love , nei quali John si fa aiutare da Stephen Hodges, drums, Marty Baloou, bass e Bruce Katz, keys e suona acoustic and 12 strings guitar  National steel e armonica. Il disco è stato registrato  nel novembre del 2008 in NYC, alla St. Peter Episcopal Church. Le canzoni, quasi tutte già interpretate da John, si susseguono senza sosta, una più bella dell’altra:My Mind Is Ramblin del suo idolo Howlin’ Wolf, She’s Though, Chattanuga  Choo Choo, il classico di Glen Miller davvero stupendo, Statesboro Blues di Willie McTell, I Can Tell di Bo Diddley, No Place To Go, It Hurts Me Too di Elmore James, I Can’t Be Satisfied di Muddy Waters, solo per citarne alcune. Notevole il booklett allegato con notizie e foto per un disco da non perdere.

Daniele Ghisoni

 

 

kiss

KISS

Ikons – 2009 Mercury Box 4CD

Sonic Boom – 2009 Mercury Box 2CD + DVD

 

Ace Frehley, il chitarrista storico dei Kiss, ha appena pubblicato Anomaly, un disco in gestazione dagli anni ’90, poi rimandato per le sue vicissitudini personali, l’abbandono e il rientro nella band  in varie riprese, con alcuni brani scritti e incisi recentemente, veramente un bel dischetto degno di un grande musicista. Ma ai fan della band consiglio soprattutto  queste due chicche: Ikons è un cofanetto con oltre sessanta brani, in una bellissima confezione con un libretto con la storia della band, foto inedite e altre delizie. Le note si aprono con “Sono quattro, quattro volti, quattro eroi, quattro Icone”. Ogni CD è dedicato a un componente del gruppo e raccoglie le canzoni più belle e famose dallo stesso scritte e cantate. Di Gene Simmons, “The Demon”, troviamo tra le altre Deuce, Lager Than Life e Radioactive. Di Paul Stanley, “The Star Child” ricordo Detroit Rock City, Rock Bottom , Strutter e Mr. Speed. Di Ace Frehely, “Spaceman” possiamo ascoltare Talk To Me, Dark Light e Snow Blind. Infine, Peter Criss “The Cat Man” ci offre le stupende Beth, Black Diamond e Getaway.  Consigliato anche per il prezzo contenutissimo.  Sonic Boom è invece il nuovo album della band pubblicato in concomitanza col nuovo tour che porterà i Kiss in tutto il mondo, il primo in studio dal 1998. L’ascolto ha tolto ogni dubbio sulla utilità della operazione: un buon album di rock and roll, undici brani nuovi composti da Simmons e Stanley, alcuni col chitarrista Tommy Thayer. I mie preferiti sono Russian Roulette, Say Yeah e Hot And Cold,  ma anche gli altri non sono  davvero male. Questo box è una edizione limitata, in confezione deluxe in ogni senso, contenente anche un CD antologico e un DVD con un concerto inedito registrato al River Plate Stadium di Buenos Aires, il 9 Aprile del 2010.

Daniele Ghisoni

 

 

ozzy

OZZY OSBOURNE

Scream

2010 Sony Music CD

 

 

Decimo album in studio per l’ex leader dei Black Sabbath che a sessant’anni compiuti continua a stupire dandoci  lavori di ottima fattura, come il precedente Black Rain, che ha ottenuto ottimi riscontri di vendite, supportati da tour mondiali che confermano lo stato di grazia del “Prince Of Darkness”, sempre vivo e vegeto malgrado decenni di abusi in ogni senso. Si tratta anche del primo album senza il grande chitarrista Zakk Wylde, con lui dalla incisione di No Rest Of The Wicked nel  1998. Il disco è uscito in Europa l’11 Giugno 2010, con la produzione del fido Kevin Churko e con i trainanti singoli Let Me Hear Your Scream e Let It Die ha subito raggiunto tutte le top ten mondiali, grazie a concerti che hanno confermato l’incredibile carisma dal vivo del Mad Man e della sua band. Inciso ai Bunker Sudios di Los Angeles, ci offre undici nuovi brani composti da Ozzy e Churko, e quattro col tastierista Adam Wakeman.  Il resto della band è formato dal batterista di origine greca Tommy Clufetos (ex Alice Cooper e Ted Nugent) , dal bassista Rob Nicholson e dal chitarrista Gus G, ex Firewind, non geniale come Zakk (un vero mito) ma graffiante e con un suono potente e aggressivo. Let It Die e Let Me Hear Your Scream sono stupende, suono grintoso e coinvolgente, ma non sono da meno le durissime Soul Sucker e Crucify, o le ballate elettro/ acustiche Time e Life Won‘t Wait, con la voce di Ozzy sempre stupenda e accattivante. Grande e basta , mai nostalgico! Al recente Ozz Festival di Boston ha avuto una interminabile standing ovation dai suoi fan.

 Daniele Ghisoni 

 

 

davies

RAY DAVIES & The Coral Crouch End Festival Chorus

The Kinks Choral

2009 Decca CD

 

Solo un genio come Ray Davies poteva pensare a riproporre le più famose canzoni dei Kinks facendosi accompagnare da un coro liturgico, riuscendo in modo eccellente ad amalgamare brani seminali con sonorità così diverse, unendo il sacro al profano in modo unico.Il risultato è un disco davvero unico per la sua bellezza nel quale Ray canta facendosi accompagnare da una rock band composta da Billy Shamely e Milton McDonald, guitars, Dick Nolan, bass, Toby Baron, drums e Gunnar Frick e Ian Gibbons, keys. Il coro è originario di Crouch End, un sobborgo vicino a quello di Mushwell Hill, dove Ray è cresciuto, ed è diretto da David Temple. Ray li aveva già usati nella   incisione di Other People‘s Lives e in alcune sue esibizioni dal vivo. Dieci brani stupendi , alcuni  tratti da Village Green Preservation Society (disco stupendo  recentemente ristampato come triplo CD in edizione deluxe) ma tutti in questa versione col coro, che si amalgama perfettamente alla strumentazione elettrica, assumono una prospettiva musicale diversa, mantenendo intatto il nucleo originale della melodia. Le eterne You Really Go Me e All Day And All Of The Night, dal riff chitarristico unico e irripetibile, con il coro assumono un alone di magia, come le melodiche Days,   See My Friend, Shangri -La e Celluloid Heroes (queste ultime due  sono tra le composizioni di Davies quelle che adoro) che continuano sempre a incantare. Anche le famosissime Waterloo Sunset e Victoria con questo arrangiamento sembrano avere una immediatezza nuova e avvolgente.  Notevole anche Working Man Cafè, tratta dal suo ultimo, omonimo album, che fa la sua bella figura in mezzo a tanti classici. Un cenno a parte merita il medley di Villane Green, con Big Sky, Picture Book, Johnny Thunder, Do You Remember Walter? e ovviamente la title track che coinvolgono in modo sorprendente . Un grande disco che non mi stanco mai di riascoltare! Una volta i dischi preferiti che riascoltavi in continuazione si consumavano, succederà anche per questo CD ? 

Daniele Ghisoni