Archivio di settembre 2023

IL SENATO – Kings Of The World

di Paolo Baiotti

17 settembre 2023

IL SENATO

IL SENATO
KINGS OF THE WORLD
Rubber Soul Records 2023

Nato da un’unione che sembrava estemporanea tra alcuni nomi della scena mod-garage anglo-italiana legata alla musica e alle atmosfere dei sixties, guidato dalla voce di Luca Re (Sick Rose) e dalla voce e tastiere di Fay Hallam (Prime Movers, Makin’ Time) con Andy Lewis (già bassista di Paul Weller e Spearmint, produttore e DJ in ambito acid jazz), Alberto Fratucelli alla batteria (Sick Rose) e Roberto Bovolenta, il quintetto de Il Senato sta dimostrando di voler ambire a qualcosa in più. Dopo l’esordio di Zibaldone del 2020, è il momento di Kings Of The World in cui Bovolenta è sostituito al basso da Ennio Piovesani (Statuto), rafforzando il mix tra mod, garage e beat che sta alla base della formazione, intorno alla quale girano collaboratori di sostanza come Sean Read ai fiati, Fabrizio Fratucelli alla chitarra e Giuseppe Filigi (Senzabenda) alla chitarra, voce e in fase compositiva.
Registrato in provincia di Torino con la produzione di Andy Lewis e masterizzato in Gran Bretagna, Kings Of The World conferma le coordinate sonore dell’esordio con un pizzico di pop/beat in più, lasciando un’impressione di maggiore compattezza e di un’accentuata attenzione all’aspetto compositivo. Funziona bene l’alternanza alla voce solista di Luca e Fay, che contribuisce alla freschezza e leggerezza (in senso positivo) del disco, giustamente uscito in estate e pubblicato con la consueta passione dalla label Rubber Soul in edizioni limitate in vinile (nero e colorato) e cd.
La frizzante apertura in stile sixties del pop fiatistico Peter Falk, il funky-rock di Lickin’Stick, unica cover del disco ripescata da George Torrence & The Naturals (singolo della London del ’68) e il delizioso pop avvolgente di Honour Me cantato sontuosamente da Fay sono sufficienti a inquadrare il suono del quintetto che si conferma con la cadenzata Room Is On Fire, con 1980 percorsa dall’organo di Fay, con il rock scanzonato di Learn The Rules e con Mr.Reed, che potrebbe essere scambiata per una outtake dei Kinks. Passando attraverso la grintosa Sham A Lam e il soul carezzevole di Holding Out My Hand, si arriva velocemente alla parte finale in cui spunta l’unico brano in italiano, il brioso beat Non Ti Scordar Di Me seguito dall’up-tempo Where Are We Now in cui si ricava uno spazio solista il sax di Read, per chiudere con la title track interpretata nelle due lingue da Fay e Luca.
Divertente, fluido e scorrevole, Kings Of The World conferma la validità di questa formazione nata per gioco, ma sempre più convinta delle proprie potenzialità.

Paolo Baiotti

CROSBY TYLER – Don’t Call The Law On Me!

di Paolo Baiotti

13 settembre 2023

Crosby-Tyler

CROSBY TYLER
DON’T CALL THE LAW ON ME!
Autoprodotto 2022

Non è sicuramente un esordiente Crosby Tyler, in giro da 30 anni e con una manciata di album alle spalle. L’esordio su lunga durata risale al ’99 con Black Canary, seguito da One Man Band Rebellion, 10 Songs For America Today e nel 2010 da Lectric Prayer. Poi una lunga pausa nel corso della quale Crosby ha continuato a comporre e suonare dal vivo e collaborare con altri artisti come Peter Case e Sarah Watkins, finchè è tornato in studio per Don’t Call The Law On Me!, un album che lo riavvicina al country tradizionale, seppur spruzzato di venature roots. Lo stesso Tyler ha dichiarato di avere ascoltato a fondo Buck Owens, Kris Kristofferson, Willie Nelson, David Allan Coe, Todd Snyder e Robert Earl Keen mentre scriveva e registrava, riconoscendo che questo album è molto influenzato dal country, con un uso accentuato della pedal steel e di chitarre Telecaster.
Accompagnato da un solido gruppo di strumentisti che comprende Jeff Turmes (Mavis Staples) al basso, Dale Daniel (Hacienda Bros) alla batteria, Mike Khalil alla chitarra e pedal steel, Aubrey Richmond (Shooter Jennings) al violino e cori e Kimbra West ai cori, Tyler ha inciso dieci canzoni semplici e scorrevoli, ideali per un ascolto nei lunghi percorsi autostradali americani che faranno la gioia di camionisti e motociclisti, senza particolari ambizioni di originalità e con qualche momento in cui la voce sembra faticare, specialmente quando il ritmo si alza.
Un album discreto in cui spiccano la title track, un honky-tonk che apre le danze, la western song Trucker On The Road, la nostalgica The Family I Never Had, più narrata che cantata con gli inserimenti del violino, la ballata Born A Bad Boy e la spiritosa Bikers Hippies And Honky-Tonkin’ Cowboys con la chitarra di Khalil in primo piano.

Paolo Baiotti

MIKE SPINE AND THE UNDERGROUND ALL STAR BAND – Guided By Love

di Paolo Baiotti

9 settembre 2023

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MIKE SPINE AND THE UNDERGROUND ALL STAR BAND
GUIDED BY LOVE
Global Seepej 2023

Questo è l’undicesimo album di Mike Spine, artista di Seattle che ha girato veramente in ogni parte del mondo, Italia compresa, da sempre ai margini della popolarità ma con la volontà di proseguire nella professione in modo indipendente, Attivo dagli anni novanta, ha fatto parte del gruppo indie/punk At The Spine e della folk/rock band The Beautiful Sunsets. Dal 2012 si muove da solo, in duo o con una band elettrica, sempre pubblicando sulla sua label Global Seepej; ha anche guidato due formazioni di tributo a Neil Young. Inoltre, al di fuori dell’ambiente musicale, ha lavorato come attivista e insegnante in aree disagiate, testmoniando un apprezzabile e serio impegno sociale.
In Guided By Love è accompagnato da un folto gruppo di musicisti di nicchia con alle spalle esperienze significative, dalla violoncellista Lori Goldston presente nell’Unplugged dei Nirvana al chitarrista Johnny Sangster (Neko Case, Laura Veirs), da Paul Brainard (Richmond Fontaine) a Jeff Fielder (Mark Lanegan Band), senza dimenticare i connazionali Massimo Catalano e Barbara Luna, violinista che lo accompagna da molti anni.
Registrato da Robert Bartleson (Wilco) che ha suonato anche il basso negli Haywire Recording di Portland in Oregon e mixato da Johnny Sangster a Seattle, il disco comprende undici brani autografi composti in periodi diversi che confermano le capacità di scrittura di Spine ed è uno dei più accessibili del suo percorso, a partire dall’orientaleggiante Tangier, proseguendo con la ritmata Smile On scritta in Italia (anche in video è stato girato dalle nostre parti), il country-rock Pancho And Lefty, Part II e la ballata Never Sell Your Soul. In questo album piuttosto vario e interessante meritano anche la latineggiante Tears Of Mexico, l’intensa No Man’s Land e la rockeggiante Good And Gone, nonché la conclusiva ballata Butterfly.

Paolo Baiotti

EDIE CAREY – The Veil

di Paolo Baiotti

5 settembre 2023

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EDIE CAREY
THE VEIL
Autoprodotto 2022

Finanziato da una campagna di successo su Kickstarter che ha dimostrato la solidità della fanbase della cantante, The Veil è il decimo album di Edie Carey, cantautrice apprezzata per la voce morbida, i testi intimi e personali e per la capacità di vivacizzare concerti in ambienti di diversa grandezza, essendo dotata di umorismo e sensibilità. Non solo cantante, ma anche poetessa, cresciuta in una famiglia in cui la cultura ha avuto sempre una posizione importante, ha studiato alla Columbia University dove si è appassionata alla musica ed ha anche vissuto un anno a Bologna.
Attiva dalla seconda metà degli anni novanta, ha suonato in festival, college e locali disseminati negli Usa, in Canada e anche in Europa, supportando artisti come Sara Bareilles, Brandi Carlile, Emmylou Harris, Lyle Lovett e Shawn Mullins. Ha partecipato ai festival di Telluride, Rocky Mountain Folks e Newport e inciso il suo primo album The Falling Places nel ’98, seguito deu anni dopo da Disco Ball Heart. Risale al 2016 la sua ultima pubblicazione, Paper Rings: 8 Love Stories precedente a The Veil.
Questo disco nasce nel 2020 con la title track, scritta in seguito a un grave incidente automobilistico che ha coinvolto la cantante e i suoi due figli e all’esplosione della pandemia: due eventi che hanno minato le sicurezze di Edie, come espresso nel testo della canzone che ricorda la sottile barriera (appunto the veil) che separa la vita dalla morte. In altri brani si alternano riflessioni sulle difficoltà del matrimonio e sulla divisione del paese in un momento difficile, sempre con una visione che lascia trasparire speranza e desiderio di riconciliazione. Prodotto e inciso da Scott Wiley,che ha anche suonato chitarra, synth e mellotron negli studi June Audio di Provo in Utah nel novembre del 2021, con l’aiuto di numerosi musicisti tra i quali Aaron Anderson alla batteria, Stuart Maxfield al basso, Paul Jacobsen alla chitarra e John Standish al piano (che accompagna la Carey nei concerti acustici), The Veil è un disco di country/pop con venature rock e folk, melodico e di discreto impatto che potrebbe avere una buona accoglienza radiofonica, interpretato dalla cantante nata a Burlington in Vermont, ma residente a Colorado Springs, con tonalità prevalentemente oscure e di atmosfera notturna, arrangiato con cura.
Tra i brani meritano una citazione l’intensa title track che apre il disco con qualche richiamo ai Fleetwood Mac più popolari, la malinconica ballata The Old Me con un testo sulla precarietà della vita di coppia, tema ripreso nella ritmata e scorrevole The Chain, mentre la dolce I Know This e Rise si soffermano sulle pressioni della maternità. Anche la seconda parte del disco ha tracce solide come la pianistica Teacher che cresce strumentalmente nella parte centrale con l’inserimento degli archi, la love song The Cypress And The Oak, Who I Was indurita da una chitarra robusta, per chiudere con la ballata acustica You’re Free.
Curato anche nella parte grafica, The Veil meriterebbe una distribuzione più ampia.

Paolo Baiotti

WILCO at Todays Festival: TORINO, Spazio 211 Open Air, 25/08/2023

di Paolo Baiotti

3 settembre 2023

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Quando i Wilco salgono puntuali sul palco alle 22.30 per chiudere la prima giornata del festival torinese, l’accaldato pubblico che gremisce l’ampia area di fronte al palco ha già avuto l’occasione di assistere a tre esibizioni di diverso genere e impatto: dapprima l’indie/fok intriso di psichedelia dell’eccellente duo inglese dei King Hannah, quindi il post/punk degli americani Les Savy Fav guidati dall’istrionico frontman Tim Harrington, infine l’elegante e sinuosa miscela funky/pop di Warhaus, progetto nato da un’idea del belga Maarten Devoldere. Ma l’attesa è tutta per il sestetto guidato da Jeff Tweedy, anche perché molti dei presenti ricordano il concerto del 2007 nel medesimo luogo, in cui durante l’esecuzione di Spiders (Kidsmoke) ci fu un blackout di parecchi minuti riempito dai cori del pubblico che accompagnarono la band che, dopo il ritorno dell’energia, si lasciò andare ad una lunga e ispirata jam. Se lo ricordano anche loro visto che iniziano il concerto proprio con le note dissontanti di Spiders, accolte da un boato. Le chitarre di Tweedy e di Nels Cline si inseriscono aspre e taglienti nella ritmica finchè esplode il duro riff centrale, con Jeff che si alterna alla solista con il collega. L’aspro crescendo è interrotto dalla ripresa del cantato, lasciando poi spazio, dopo altre dissonanze, alla partecipazione del pubblico, molto apprezzata dal cantante.

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Un inizio indovinato per una serata che non avrà momenti di flessione, confermando i Wilco come una delle migliori band rock del nuovo millennio, almeno dal vivo (su disco hanno avuto qualche momento di calo nell’ultimo decennio). Quello che stupisce del sestetto di Chicago è la capacità di mantenere un equilibrio mirabile tra il roots/rock melodico venato di folk e country delle loro ballate e i momenti sperimentali e di avanguardia culminati in studio in Yankee Hotel Foxtrot (rifiutato dalla Reprise e poi stampato dalla Nonesuch) e A Ghost Is Born. Sono una vera squadra in cui il valore dell’insieme è superiore a quello, seppur notevole, dei singoli, dal bassista John Stirratt, l’unico presente con Tweedy fin dall’inizio, al batterista Glenn Kotche in formazione dal 2001, per finire con il tastierista Mikael Jorgensen entrato nel 2002.

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La malinconica I Am My Mother e la title track Cruel Country (che esprime nel testo le contraddizioni americane) ci riportano alla produzione più recente, mentre I’m Trying To Break Your Heart esemplifica l’equilibrio tra melodia e sperimentalismo di YHF. La semplicità della beatlesiana If I Ever Was A Child e della pianistica Hummingbird, la cadenzata Random Name Generator e la magnifica Misunderstood da Being There del ’96 ci traghettano alla parte centrale del concerto rappresentata da tre brani superbi, dopo un timido coro di auguri di compleanno a Jeff Tweedy accolto con altrettanta timidezza dal cantante. Dapprima Bird Without a Tale/Base Of My Skull, uno dei pezzi migliori di Cruel Country, occasione per una notevole sezione jammata di impronta psichedelica che vede protagoniste le chitarre di Cline e del polistrumentista Pat Sansone (l’unico membro non ancora citato), posizionati ai lati opposti del palco. Quindi la sublime ballata Jesus, Etc., infine l’amata Impossible Germany da Sky Blue Sky, in cui il dinoccolato Nels costruisce un fantastico assolo in crescendo richiamando il suono di Tom Verlaine. Da qui si procede verso la parte finale della serata in cui si distinguono la spigliata Falling Apart, la trascinante A Shot In The Arm (unico estratto da Summerteeth) e la conclusiva Outtaside (Outta Mind) tratta da Being There.

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A mezzanotte in punto la band saluta il pubblico e lascia il palco dopo 90’ senza un attimo di pausa. E’ chiaro che se avessero iniziato alle 22 avrebbero potuto suonare di più come in alcune date precedenti, ma sono i limiti dei Festival e, finchè al Todays arriveranno musicisti di questa caratura, non potremo che esserne soddisfatti.

Paolo Baiotti
(foto di Michele Marcolla)

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APPLE & SETSER – Apple & Setser

di Paolo Baiotti

3 settembre 2023

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APPLE & SETSER
APPLE & SETSER
Bell Buckle Records 2022

Brad Apple e Pam Setser suonano ufficialmente in duo dal 2017, ma hanno collaborato saltuariamente per 30 anni. Sono cresciuti entrambi suonando all’Ozark Folk Center di Mountain View in Arkansas e girando nell’area circostante. Nel 2022 sono stati nominati migliore gruppo acustico agli Arkansas Country Music Awards, dopo avere esordito con l’omonimo album che raccoglie brani originali e tradizionali eseguiti in forma acustica.
Pam Setser ha una voce calda e pulita ed è una polistrumentista (armonica, dulcimer, chitarra, basso) di qualità; ha fatto parte per 16 anni della formazione della sua famiglia, The Simmons Family Band con la quale ha inciso quattro album, districandosi tra folk, bluegrass e country. Inoltre ha pubblicato dischi di “mountain dulcimer” (suonato soprattutto nella zona degli Appalachi) con la madre Jean Jennings e tre album da solista.
Brad Apple è un polistrumentista (chitarra, mandolino, basso), cantante e autore che si muove nei medesimi ambiti; inoltre è titolare di un podcast sulla musica acustica in cui ha intervistato numerosi artisti. Ha suonato per anni nel gruppo della sua famiglia che ha gestito The Apple Family Bluegrass Festival dal ’79 all’84. E’ ingegnere del suono e proprietario di uno studio di registrazione dove è stato inciso questo album che ha prodotto e masterizzato.
Aiutati da musicisti locali specializzati nel folk/bluegrass come Sam Cobb al mandolino, Tim Crouch al violino, banjo e chitarra e David Johnson al violino, banjo e dobro, Apple & Setser si alternano alla voce solista e ai cori, armonizzando con una notevole intensità e puntualità. Tra i tradizionali citerei Hand Me Down My Walking Cane e Rake And The Rambling Blade oltre allo strumentale When You And I Were Young, Maggie posto in chiusura, mentre tra i brani autografi spiccano Grandma Danced With The Arkansas Traveler e A Friend You’d Never Met di Brad, la ballata pianistica Too Far Gone e lo strumentale Hayes’ Hoedown di Pam in cui è protagonista il dulcimer. Interessante l’intima riproposizione di un brano pop come It Doesn’t Matter Anymore di Paul Anka e del bluegrass I’ll Love Nobody But You di Jim e Jesse McReynolds.
Apple & Setser è un disco brillante e scorrevole, ovviamente consigliato soprattutto agli appassionati del folk degli Appalachi e del bluegrass.

Paolo Baiotti