Archivio di aprile 2012

Interstellar Overdrive

di Marco Tagliabue

27 aprile 2012

Può accadere, a volte, che proprio nel momento in cui sembra che sia tutto perduto, nel momento in cui anima e corpo paiono in caduta libera e che nulla, ma proprio nulla, possa offrire loro un appiglio, spuntino improvvisamente e misteriosamente un paio di ali e cominci un viaggio meraviglioso ed inaspettato, un vagabondaggio senza regole, senza limiti né barriere per le profondità di quello spazio senza confini che è la mente umana. “Starsailor” (1970) è l’apice della parabola creativa di Tim Buckley: un delirio cosmico, un pellegrinaggio stellare affascinante e temerario che libera completamente l’estro e la fantasia del suo autore, che lo sospinge perfino oltre se stesso, oltre i propri limiti, verso universi lontanissimi e inesplorati, lungo una linea d’orizzonte sconosciuta ai più ma perfettamente delineata nella sua mente, attraverso una strada che ancora non esiste ma che egli sembra conoscere benissimo. Un lungo volo che gli spalancherà le porte del cosmo, una ricerca dell’assoluto che fornirà risposte ai suoi quesiti e dubbi alle proprie certezze trascinandolo, novello Icaro, fino a pochi metri dal sole, ad un passo dalla Verità. Quando le ali cominceranno a sciogliersi, il crollo sarà veloce ed irreversibile, l’impatto inevitabile, disastroso e, forse, in parte atteso.
La melodia epica e struggente di Song To The Siren è uno dei punti più alti toccati dall’espressività di Tim Buckley. Una ballata lenta e spettrale costruita intorno alla voce baritonale dell’Artista che canta quasi “a cappella”, punteggiata dai delicati tocchi della chitarra elettrica e da occasionali voci femminili, come canti delle sirene perduti nelle profondità dello spazio celeste.
Gustatela in versione acustica, live al “Monkees TV Show” del 1968 e, quindici anni dopo, nella superba cover del progetto This Mortal Coil.

Record Store Day 2012

di Marco Tagliabue

16 aprile 2012

In occasione del Record Store Day 2012, che si terrà sabato 21/4 in ognuno dei venti Paesi partecipanti, Italia compresa, con il consueto corollario di iniziative e manifestazioni, è stata predisposta una lunga serie di uscite discografiche speciali. Eccola!

Psicanalista cercasi

di Marco Tagliabue

12 aprile 2012

SAM_1816

 

Cosa spinge gente come noi, più vicina alla pensione che alla maturità (quella scolastica, naturalmente, perchè per l’altra non abbiamo più speranza), a gongolare per ogni pacco quadrato che ci arriva (preferibilmente di nascosto) da ogni parte del mondo? Il disco introvabile? Forse…(ma quanti dischi introvabili ci sono?)…  Il prezzo stracciato? Difficile…  La sindrome di Babbo Natale? Certo, certissimo, anzi probabile…

Ah…ci mancava anche internet…

Dedicata a Blek, Crazy, Roberto, Daniele, Ettore e a tutti gli altri giocherelloni…sarebbe bello se ognuno ci desse la sua risposta…

Il motore del 2000

di Marco Tagliabue

11 aprile 2012

In principio erano i corrieri cosmici e qualche strano apprendista stregone del kraut rock: l’elettronica applicata alla musica giovanile era ancora un affare per palati fini, un mostro a cinque teste che, secondo la leggenda, esigeva sacrifici umani e dal quale i più erano ben felici di stare alla larga. Poi venne Autobahn e, come per incanto, la creatura malefica rivelò il profilo di un’affascinante pin up: in un mondo dalle fattezze ancora incerte, che cominciava a stropicciarsi gli occhi dopo lunghi sogni di ricchezza e prosperità e ad accorgersi che, forse, non tutto era girato per il verso giusto, la musica elettronica si avviava a diventare un affare per le masse. Di lì a qualche anno sarebbe stato un Computer World ed i Kraftwerk, anche questa volta, i primi ad accorgersene. Ma il 1974 è, per certi versi, la preistoria: il villaggio globale può far pensare, al massimo, ad un centro vacanze in riva al mare, la fibra ottica non esiste e per i fili del telefono ci passano solo gli squilli di romantici apparecchi neri da parete. La Storia viaggia su quattro ruote e le autostrade sono le modernissime arterie che collegano genti e culture diverse allo stesso cuore pulsante. Sulla copertina di Autobahn, sullo sfondo di un sole radioso, di un cielo terso e placide colline verdeggianti, un’autostrada corre imperiosa verso un futuro che sembra luminoso ed a portata di mano: in un senso di marcia un vecchio Maggiolino torna mestamente sui propri dimenticati passi mentre, dall’altro, una fiammante e modernissima Mercedes sembra partire alla conquista del mondo. Dentro, naturalmente, ci sono loro, i quattro uomini robot di Dusseldorf. Che, con buona pace dei detrattori della fantomatica svolta commerciale, non sono mai stati tanto avanti rispetto agli altri come quando hanno deciso di elargire a tutti il dono della propria arte. Se infatti i primi due album di studio, Kraftwerk 1 e 2, ed in maniera minore anche l’interlocutorio Ralf & Florian, sono lavori sperimentali ma comunque in linea a quanto stava accadendo in quegli anni nel cosmo che sta su in Germania, Autobahn e più ancora i successivi Radio Activity, Trans Europe Express e Man Machine, tutti dischi di grandissimo successo editi fra il 1975 ed il 1978, sono il punto di partenza di tutta la musica dei due decenni successivi: new wave, synth pop, hip-hop, techno, house, trance… Autobahn è una moderna sinfonia per bielle e pistoni, è la musica di un motore che gira a pieno regime, la colonna sonora di un corpo meccanico in movimento. Una suite di oltre ventidue minuti che parte con il rombo del motore e lo stridere dei pneumatici per sviluppare un tappeto ritmico ipnotico e minimale, sul quale danzano leggiadre le sinuose melodie di flauto e tastiere mentre una voce asettica e stranita magnifica la dimensione del viaggio come un primo, timido tentativo di avvicinare il futuro. La versione ristretta, condensata nei tre/quattro minuti di un singolo, spopolerà in Europa e Stati Uniti: l’uomo e la macchina scoprono di piacersi e di essere fatti l’uno per l’altro. E’ l’inizio di una lunga storia d’amore.

Autobahn

Un altro effetto del download?

di Marco Tagliabue

6 aprile 2012

Mark_Lanegan

Entrando all’Alcatraz in occasione della recente data milanese di Mark Lanegan, lo scorso 25 marzo, non ho potuto fare a meno di notare, non senza un certo stupore, che un gran numero di avvisi sparsi qua e là  annunciavano che l’artista, al termine dello show, avrebbe firmato “merchandising ufficiale” presso il punto vendita (chiamarlo “banchetto”, in questo caso, mi sembra riduttivo…).

Uno stupore che si è tramutato in vera e propria meraviglia nel vedere poi, dopo l’ottimo concerto, un personaggio schivo e apparentemente scontroso come il buon Mark, che durante tutta la sua esibizione era riuscito a malapena a farfugliare un paio di sbiaditi “thank you”, fare buon viso a cattivo gioco firmando decine di CD e LP e posando davanti ad altrettanti cellulari con il fortunato di turno, quando appariva chiarissimo che avrebbe preferito trovarsi a mille miglia di distanza, magari insieme ad una sigaretta ed una bottiglia di whisky.

Inutile dire, naturalmente, che nel frattempo tutti  i supporti fonografici, venduti oltretutto ad un prezzo superiore a quello praticato dai negozi (25 euro per il vinile, 20 euro per i CD, comprese improbabili registrazioni live di qualche altra data del tour, stampate presumibilmente su semplice CD-Rom), erano stati spazzolati alla velocità della luce (ed al momento della firma erano tutti esauriti) dal pubblico desideroso di farsi imprimere con un pennarello indelebile l’agognato (e, specialmente verso la fine, stanco ed annoiato) scarabocchio.

Che, in tempi di download selvaggio, questa sia l’unica, furba maniera di vendere dischi?  Ci troviamo di fronte alla nuova, tristissima frontiera di un mercato che annaspa da anni? Forse si, forse no, ma la situazione era davvero ai limiti del ridicolo…

Mark-Lanegan