Archivio di agosto 2023

LAURIE JONES – Dark Horse

di Paolo Baiotti

28 agosto 2023

dark horse

LAURIE JONES
DARK HORSE
Autoprodotto 2021

Leggendo la presentazione dell’artista del Maine sul suo sito si sprecano definizioni roboanti come “l’anello mancante tra Dusty Springfield e Tom Petty” o “Chrissie Hynde con una chitarra folk” oltre a paragoni con Lucinda Williams e Sheryl Crow per le influenze di Americana e folk/rock. Ovviamente ci sono delle esagerazioni, ma si tratta comunque di una cantautrice rock esperta con alle spalle otto dischi da quando ha esordito nel 2000 con After The Crash. Nel 2016 la raccolta The Truth About Her ha radunato brani dei dischi precedenti, seguita da Bridges nel 2017 e da questo Dark Horse quattro anni dopo, sempre autoprodotti.
In bilico tra canzoni rock che in effetti possono ricordare Tom Petty, gli irlandesi Cranberries, Melissa Etheridge o Sheyl Crow e brani elettrocaustici più vicini al folk, Laurie costruisce un disco fresco, leggero e godibile, interpretato con una voce solida e puntuale, più che discreto dal punto di vista compositivo con dei testi riferiti a situazioni intime e personali come fede, accettazione di sé, lotta contro le dipendenze e salute mentale, nel tentativo di trovare un equilibrio nella vita.
Il coinvolgente e nostalgico pop-rock That Summer apre il disco seguito dalla robusta Light Side e dalla ballata Dazed, scritta dal figlio Torin. Nella parte centrale la contagiosa Resurrecting Joan ricorda i Cranberries, No Hell ondeggia tra rock, archi e venature gospel, mentre nel finale si distinguono la cadenzata Sorry I’m Stilted e l’emozionante ballata rock Letting Go.
Prodotto da Darren Elder con l’aiuto di Mehuman Ernst e registrato durante la pandemia con le inevitabili difficoltà del periodo, Dark Horse è un disco che mette in luce un’altra voce di un certo spessore del panorama americano.

Paolo Baiotti

BEN GREENBERG – Son Of The Hills

di Paolo Crazy Carnevale

16 agosto 2023

Ben Greensberg (1)

Ben Greenberg – Son Of The Hills (Ben Greenberg Music /Atomic Disc 2021)

Parlare di cantautorato puro, a proposito di questo sconosciuto songwriter americano, è più che mai lecito vista la molteplicità dei suoi punti di riferimento (da Bon Iver a James Taylor) ed al tempo stesso la vena originale della sua ispirazione.

Con un piede ben piantato nell’ambito più decisamente indie vicino alla sua situazione anagrafica, Greenberg, di cui questo disco dovrebbe essere l’esordio (l’aveva preceduto solo un EP), ha comunque imparato bene la lezione dei padri fondatori del genere e dimostra di saperla mettere a frutto.

Il vinile in questione – perché sì, Greenberg, pur essendo il disco acquistabile tramite download su Spotify, ha anche pensato alla copia solida del suo disco e l’ha rigorosamente voluta in formato 33 giri – profuma di legno, perché ci sono tanti strumenti acustici, gestiti dal titolare col producer losangelino Jordan Ruiz, con un paio di archi da camera e poco altro, e perché c’è in esso tutto l’amore delle cose fatte in casa, siano esse la marmellata di mirtilli o una sedia a dondolo lavorata a mano.

Certo, c’è anche un pizzico di elettricità che non guasta, ma in punta di piedi e mai fuori luogo.

End of The Line, il brano d’apertura ha un approccio molto indie rock, con la bella voce di Ben che si mette in evidenza, c’è una chitarra elettrica che dà sostanza alla canzone, le successive River e Northern Pines sembrano ricondurci al miglior Gene Parsons, anche se non siamo sicuri che Greenberg sia un frequentatore dei suoi dischi: non solo per la presenza di pedal steel guitar e banjo ma, particolarmente nel secondo dei due titoli, per l’uso armonico che Ben fa della voce, davvero vicina a quella dell’ex polistrumentista dei Byrds.

Il tipo di sonorità si fa meno bucolico con Let You Down in cui i riferimenti sono più moderni, sia per il cantato che per la strumentazione, inclusa l’elettrica e il suono della batteria.

Sparrow, sostenuta da mandolino e chitarra ci rimanda invece alla musica del James Taylor delle origini: essenziale nelle liriche e nella struttura, la canzone chiude un lato A da ricordare.

Pianistica e intima, la breve Milk And Honey apre il lato B in bilico tra Taylor e Nick Drake, poi i sapori indie alla Bon Iver si accentuano in Our Lady con l’elettrica che gioca con gli archi.

For Nick suona come un brano di Nick Drake, cui guarda caso è dedicata. Chitarra arpeggiata, piano, archi e leggere percussioni ci fanno pensare a Bryter Layter; a seguire la title track, con di nuovo la lezione di James Taylor in mente, soprattutto nella parte cantata e una pedal steel sognante che fa capolino con discrezione nel refrain. La chiusura è affidata a Mirror, Mirror, brevissima composizione sorretta dal mandolino che sembra coniugare Richard Thompson con Taylor, a duettare con Greenberg ci sono Simòn Wilson e Eve Elliot.

Paolo Crazy Carnevale

LOVE ON DRUGS – Fluke

di Paolo Baiotti

8 agosto 2023

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LOVE ON DRUGS
FLUKE
Paraply 2023

Love On Drugs è la creatura di Thomas Pontén, musicista svedese di Gavle che, passato attraverso trasferimenti a Uppsala e Stoccolma, si è stabilito a Goteborg una ventina di anni fa. Ha suonato reggae, avanguardia e rock prima di formare i Love On Drugs dove ha trovato una sua dimensione abbracciando un suono più tradizionale tra rock, indie pop e americana. Fluke, pubblicato a giugno, è il quarto album del gruppo che ha esordito nel 2016 con I Think I’m Alone Now, seguito nel 2018 da Solder e nel 2021 da Melodies. Oltre a Thomas, autore di tutti i brani, produttore, chitarrista e cantante, la formazione comprende Martin Lillberg alla batteria, Robert Olsson al basso, Markus Larsson alle tastiere, coadiuvati in studio da Berra Karlsson alla pedal e lap steel e Andreas Hall al sax.
Se l’apertura Through The Dark evidenzia un suono chitarristico con un paio di lunghi assoli fluidi e incisivi che ricordano i quasi omonimi (ma molto più conosciuti) The War On Drugs, replicata dal rock movimentato di Stranger Danger e dal riff grintoso di Give It To Me Darlin’, in Never Walk Away si sentono le influenze new wave con richiami ai New Order, ribaditi dall’unica cover posta in chiusura, una ripresa di Heaven dei Talking Heads. Gli accenti country della pedal steel caratterizzano le ballate Where The Water Flows e Tears Must Fall, acustica e lap steel ammorbidiscono You Got Away With Words, mentre il sax caratterizza il ritmato pop-rock Follow Me Down. La traccia più debole e superflua risulta la morbida For The Good Times che precede la già citata Heaven.

Paolo Baiotti

DOUG COLLINS & THE RECEPTIONISTS – Too Late At Night

di Paolo Baiotti

2 agosto 2023

Doug-Collins

TOO LATE AT NIGHT
Autoprodotto 2022

Abbiamo scritto di Doug Collins nel 2019 in occasione della pubblicazione di Good Sad News. Dopo tre anni, superato il periodo della pandemia, Doug torna con Too Late At Night che mantiene lo stesso stile del predecessore. Considerato uno degli autori più interessanti dell’area di Minneapolis, ha esordito nel 2013 con Those Are The Breaks seguito da due mini-album. Il suo quartetto dei Receptionists è completato dal basso di Charlie Varley e dalla batteria di Billy Dankert, ai quali si è aggiunta la pedal steel di Randy Broughten, mentre la produzione è nuovamente affidata a Rob Genadek. Doug scrive canzoni semplici, orecchiabili e melodiche, con echi degli anni cinquanta, pop di beatlesiana memoria e influenze country accentuate dalla presenza della pedal steel. Si possono prendere come riferimenti Buddy Holly, Hank Williams, Nick Love e Roy OrbiDOUG COLLINS & THE RECEPTIONISTSson con l’aggiunta di Merle Haggard e Bob Wills, con particolare attenzione ad un suono vintage, scorrevole e ballabile, sostenuto da una voce chiara e melodica.
Tracce come il country Sunday Afternoon, la scattante Drinkin’ Again (perché le radio non trasmettono più brani come questo?), la latineggiante Mexico Mo., Wish I Still Cared percorsa dalla pedal steel e Three Waves sono esempi di brio, melodia e freschezza, alternati a ballate come la romantica Stay The Same, l’evocativa Mama’s Shoes e il valzer country One Thing In Common.
Un amabile dischetto estivo completato adeguatamente dall’accativante melodia di Hardest Part.

Paolo Baiotti