Archivio di ottobre 2024

PAUL DI’ANNO (1958-2024): Death Of A Metal Fighter

di Paolo Baiotti

22 ottobre 2024

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Nato nel 1958 a Chingford nell’Essex a pochi chilometri da Londra da un padre brasiliano e una madre inglese, Paul Andrews ha trascorso l’adolescenza suonando in gruppi rock e lavorando come cuoco e macellaio. Nel novembre del ’78 il batterista Doug Sampson lo segnala a Steve Harris; i due stanno cercando un cantante per gli Iron Maiden, una band di hard rock ancora sconosciuta e senza contratto. Paul, che aveva adottato il nome d’arte Di’Anno, viene assunto e completa il gruppo che aveva alla chitarra Dave Murray. Il sorprendente successo dell’Ep The Soundhouse Tapes, stampato originariamente in 5.000 copie e venduto quasi esclusivamente per corrispondenza nel periodo di maggiore successo del punk, li espone a una notevole pubblicità sulla rivista Sounds e attira l’attenzione di Rod Smallwood, già manager di Steve Harley che li contatta, diventa il loro manager e ottiene un contratto con la EMI nel decembre del ’79. Alla band si unisce il secondo chitarrista Dennis Stratton, mentre Clive Burr sostituisce Sampson per motivi di salute. Questo quintetto incide due brani per la seminale raccolta Metal For Muthas e il 14 aprile pubblica l’omonimo storico esordio. La voce di Paul, rauca e ruvida e il suo atteggiamento punk sono uno dei motivi del successo del disco, oltre alla notevole capacità strumentale dei colleghi e al livello elevato di scrittura. Prodotto da Will Malone, che la band ha criticato per la scarsa partecipazione alle incisioni durate un paio di settimane, il disco è accolto con favore dalla critica e con entusiasmo dal pubblico salendo al quarto posto in Gran Bretagna e nella top ten in Francia. Brani aspri e diretti come la title track, Charlotte The Harlot e Prowler si alternano alle ballate sulfuree Remember Tomorrow e Strangeworld e alla struttura complessa dell’epica Phantom Of The Opera e dello strumentale Transylvanya. Il timbro granuloso di Paul di adatta in modo sorprendente alle ballate e convince anche dal vivo come dimostra l’Ep Maiden Japan registrato a Nagoya nel maggio ’81 durante il tour del secondo album Killers che, pubblicato nel febbraio ’81, ottiene un successo inferiore in patria, ma amplia notevolmente la popolarità della band in Europa e negli Stati Uniti. Paul se la cava egregiamente anche in questo caso, specialmente nella dura Wratchild, nell’oscura title track e in Drifters, ma qualcosa si rompe nei rapporti personali con Harris, leader incontrastato del quintetto, durante l’interminabile tour di presentazione del disco; alla fine il cantante viene licenziato e sostituito da Bruce Dickinson, proveniente dai Samson. Ci sono diverse versioni sulla fine del rapporto: l’abuso di alcool e droga ammesso dallo stesso cantante, la sua incapacità di reggere la pressione dei tour, l’atteggiamento sul palco e l’immagine troppo punk.

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La storia di successo di Paul sostanziamente finisce qui; si brucia in tre anni determinanti per la rinascità del metal inglese e per la creazione della base del successo planetario degli Iron Maiden, che esploderà con The Number Of The Beast, primo disco con Dickinson. Non che Paul si ritiri, ma i suoi progetti solisti o di gruppo non riescono mai ad emergere. Ci prova con la band Di’Anno che pubblica un album, con il supergruppo Gosmagog organizzato da Jonathan King senza esito nell’85, con i Battlezone e i Killers; la mancanza di un management solido, l’incapacità di gestione, un’assenza di continuità e i problemi di dipendenza danneggiano ogni progetto. Il disordine della sua vita è confermato dai cinque matrimoni e dai sei figli.

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Nel nuovo millennio si trasferisce per qualche anno in Brasile dove forma una band con musicisti locali; nel 2008 invece si unisce a musicisti norvegesi girando parecchio in Scandinavia. Il pubblico lo segue soprattutto quando suona i brani dei due dischi degli Iron Maiden…c’è poco da fare, il materiale solista passa sempre in secondo piano. Nel 2010 pubblica l’autobiografia The Beast, aspra e sincera, l’anno dopo passa un paio di mesi in carcere in Gran Bretagna per truffa, poi riprende a suonare dal vivo con regolarità, anche perché è l’unica fonte di sostentamente non avendo un solido contratto discografico. Nel 2015 si aggravano vari problemi fisici e deve interrompere l’attività per qualche mese. Nel 2020 annuncia il ritiro dalle scene, tuttavia, dopo il periodo della pandemia, torna a cantare sporadicamente in sedia a rotelle; grazie a una raccolta di fondi e all’aiuto degli Iron Maiden viene operato a un ginocchio in Croazia, ma problematiche di vario genere (anca, diabete, ernia ombelicale) lo costringono al ritiro definitivo. Conquest Records, l’attuale casa discografica che ha appena pubblicato il cd/dvd The Book Of The Beast, un riassunto della sua turbolenta carriera, ha annunciato il 21 ottobre il decesso del cantante a Salisbury, per motivi non precisati.

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Pur essendo passati più di quarant’anni dall’esordio con gli Iron Maiden, gli appassionati non hanno dimenticato la voce aspra e l’immagine potente e ruvida del cantante che ha caratterizzato due dischi storici che molti considerano i migliori della leggendaria band britannica.

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DAVID GILMOUR – Luck And Strange

di Paolo Baiotti

1 ottobre 2024

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DAVID GILMOUR
LUCK AND STRANGE
Sony Music 2024

David Gilmour non è mai stato un autore prolifico, nè con i Pink Floyd post-Waters, né come solista. Gli ultimi tre album sono usciti a distanza di nove anni: On An Island nel 2006, Rattle That Lock nel 2015 e Luck And Strange nel 2024. Tra gli ultimi due c’è stato il Live At Pompeii nel 2017 in audio/video e poi la pandemia che ha sicuramente condizionato l’atmosfera e i testi del nuovo album, insieme a pensieri e riflessioni sul passaggio del tempo dovute all’inesorabile invecchiamento dell’artista che affronta a 78 anni il palco in questi giorni con sei date a Roma seguite da altre sei alla Royal Albert Hall, quattro a Los Angeles e cinque a New York. David non nasconde i suoi anni, basta guardare le foto del disco e quelle promozionali, così come non la nascondono i testi e la voce, indubbiamente invecchiata e un po’ stanca, ma il suono della chitarra è sempre distinguibile tra mille e anche da un punto di vista compositivo Luck And Strange regge piuttosto bene, anche se definirlo il miglior lavoro dopo Dark Side Of The Moon (parole di Gilmour) è un’evidente esagerazione. Per dare una rinfrescata ai suoni e avere un punto di vista non condizionato dall’ascolto dei Floyd, l’artista ha scelto il produttore Charlie Andrew (Alt J.) e ha rinnovato la band, affiancando al basso del fedelissimo Guy Pratt la strepitosa batteria di Steve Gadd, le tastiere di Rob Gentry e le percussioni di Adam Betts (che suona la batteria in tour) oltre all’orchestra guidata da Will Gardner, già collaboratore degli Alt-J, con qualche intervento al piano di Roger Eno. Ma la novità maggiore è il coinvolgimento non solo della moglie Polly, autrice dei testi, ma anche dei figli, iniziato durante il covid, soprattutto di Romany che è la sorpresa più positiva del disco.
Partiamo dalla title track posta in apertura dopo la breve introduzione strumentale di Black Cat: il brano (e il disco) nascono dalla bonus track del cd, la “original barn jam” suonata nel gennaio 2007 da David con Richard Wright alle tastiere, Guy Pratt al basso e Steve DiStanislao alla batteria, che si ritrovano qualche mese dopo il tour di On An Island chiuso a Gdansk il 26 agosto (concerto ripreso dall’eccellente Live In Gdansk). Questa jam strumentale di 14’ caratterizzata dal quieto dialogo tra le tastiere e la chitarra è la base di Luck And Strange, un rock bluesato e melodico con un testo sulle speranze tradite della generazione di David, chiuso da un assolo tanto efficace quanto essenziale. The Piper’s Call ha un inizio acustico, una parte cantata melodica e un finale indurito con un suono che ricorda i Floyd dell’ultimo periodo. Da notare la presenza non invadente dell’orchestra, del coro degli Angel Studios e i controcanti dei figli Romany e Gabriel. Si prosegue con A Single Spark, ballata sognante con un testo dal sapore mistico, dei suoni inconsueti per Gilmour (qui si sente la mano di Andrew) e un break di chitarra emozionante. Lo strumentale Vita Brevis introduce l’arpa di Romany Gilmour, protagonista alla voce solista di Between Two Points, cover di un brano del duo dei Montgolfier Brothers intepretata splendidamente dalla ragazza, dotata di una voce dolce e accattivante. L’oscura, orchestrale e poderosa Dark And Velvet Nights richiama i Floyd di The Division Bell senza convincere fino in fondo, a differenza della nostalgica e malinconica Signs sull’amore e sulla difficoltà di affrontare il distacco e della conclusiva Scattered, scritta con il figlio Charlie e Polly, che ha un inizio lento quasi sospeso, un break drammatico pianistico e orchestrale, una ripresa del cantato che sfuma in un assolo di chitarra dapprima acustico, poi elettrico, maestoso e floydiano fino al midollo, prevedibile e irresistibile allo stesso tempo. Il cd aggiunge una seconda bonus track, la tenue ballata folk Yes, I Have Ghosts, già pubblicata in streaming durante la pandemia, cantata in coppia con Romany.
Luck And Strange non è un capolavoro, ma un disco affascinante con alcune tracce di notevole livello.

Paolo Baiotti