Archivio di novembre 2019

HENRIK CEDERBLOM – Zobop

di Paolo Baiotti

30 novembre 2019

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HENRIK CEDERBLOM
ZOBOP
Kakafon Records 2019

Produttore, Chitarrista e tastierista svedese con una lunga carriera alle spalle, Henrik ha militato negli anni novanta nei Simbi, band di “mizik rasin”(roots music), un genere haitiano originato dal Vodou, mischiato con il folk e il rock and roll. Curioso il fatto che si trattasse di musicisti svedesi, soprannominati gli haitiani con gli occhi blu! In seguito ha partecipato a progetti di vario genere, tra i quali i Den Fule (un mix di folk, rock e world music), la Kraken Shanty Band, collaborando inoltre con altri artisti locali come Daniel Lemma e Sofia Karlsson.
Zobop è il suo debutto da solista, presentato come un disco di musica folk per chitarra elettrica, sezione ritmica, sax e percussioni elettroniche, che si avvicina molto al jazz con qualche venatura dance e fusion. Un disco strumentale incentrato sul ritmo e la melodia, nonché sulla connessione tra i quattro musicisti, ispirato da Bill Frisell, Franz Zappa, Tony Allen e Jeff Beck. Le influenze afroamericane sono evidenti nel groove di Fillevaeren (il batterista di colore è Tapha Ndiongue), e nella title track in cui la batteria è sempre in primo piano unitamente a una chitarra che vira verso il rock, mentre Giragala è più vicina alla fusion e Franx richiama melodie folk ricamate dal sax di Sten Kallman. La passione per il folk nordico si nota maggiormente nei delicati fraseggi di Skoldapaddan e nel tradizionale Bergrummet, sempre filtrato dalla sensibilità di Henrik e miscelato con un’attitudine jazzata, mentre in Happy Buddha il jazz si fonde con la lounge music.

KALAHYSTERI – Kalahysteri

di Ronald Stancanelli

24 novembre 2019

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KALAHYSTERI – Kalahysteri (2016)

A Verona c’era un locale che si chiamava COHEN e che era caratterizzato dal proporre musica di eccellente livello e che soddisfaceva una miriade di appassionati musicali che vi si attardavano a chiacchierare dopo interessanti concerti di personaggi anche di culto. Il locale esiste ancora, mantiene lo stesso nome (!) ma è cambiata la proprietà che adesso si è orientata su un target giovanile ed ha notevolmente modificato la tipologia di musica proposta allontanando di fatto una considerevole se non proprio tutta , fetta di persone, che fino all’anno scorso li vi andavano sicure di fruire di un certo discorso sia musicale che culturale di spessore. Chi vi scrive ha anche contattato la nuova proprietà per organizzare in loco una festa di compleanno ma non abbiamo avuto neanche il piacere di una risposta, rivolgendoci poi ovviamente da altra parte. Purtroppo diverso era il trait d’union che esisteva nella precedente gestione, ricco di pathos, gentilezza solidarietà e disponibilità.

Vogliamo ricordare, tanti amici e io, la precedente proprietà e omaggiarla, per quanto fatto precedentemente, ricordando quindi una serata speciale che fu imperniata su un gruppo sconosciuto che colà veniva presentato al pubblico veronese, caratteristica questa che si sommava ai vari artisti più noti che ovviamente venivano generalmente proposti.

Andiamo con la memoria a inizio marzo 2018 quando il gruppo tutto femminile e tutto grinta delle Kalahysteri, che vuol dire Bella Isteria, si esibirono in uno grande, scatenato e favoloso show che entusiasmò tutti i presenti.

Le Kalahysteri, se la memoria non inganna sono un gruppo strepitoso di tre ragazze venete, ma forse una era del bergamasco, ora non ricordiamo con esattezza, ma quello che rammentiamo fu un concerto entusiasmante e ricco di gran classe. Bravissime, estroverse, brillanti, luminose, allegre e sfolgoranti, questi gli aggettivi per dare la giusta esatta idea di cosa questo combo sia. Assistere ad un loro show è realmente un evento e questo purtroppo si perde in buona parte nel loro lavoro su disco che pur piacevole e coinvolgente non rende a pieno la parte roboante dei loro sfavillanti concerti, ciò non toglie che il loro album omonimo del 2016 non sia degno di nota e acquisto, anzi. Ma le tre fanciulle raggiungono un climax eccezionale quando sono sul palco ed è per questo che esortiamo i lettori a cercarne notizie in rete ed andarle alla prima occasione a vederle e sentirle dal vivo. Propongono pezzi loro ma non disdegnano sul palco qualche rara cover. Appassionate di country roots folk, pare le fanciulle siano cresciute con l’ascolto e il trasporto di Dolly Parton, ed Emmilou Harris ma noi ci troviamo nel loro lavoro e percorso anche la classe cristallina di Carrie Rodriguez, ascoltare la suadente Tree.

Giusi Pesenti è una forza della natura, suona qualsiasi tipo di percussione le capiti a tiro compresi cucchiai di legno, posate, forcelle e quant’altro, se non erro anche lo scacciapensieri, Elisa De Munari il basso, il contrabbasso, il banjo e Astrid Dante la chitarra. Tutte tre cantano. Nel loro cd , peccaminosamente troppo breve sono aiutate da Silva Cantele all’organo e da Matt Mordin al mandolino. Propongono, sia in disco che sul palco, un intenso pot-pourri che mescola sapientemente country, folk, punk, jazz, etno, swing, zydeco, rockabilly, americana, pop e blues in modo mirabile, ma ripetiamo, fermo restante che il loro disco è molto piacevole e ne consigliamo l’acquisto, esortiamo tutti ad andare assolutamente a vederle dal vivo. Qualcosa si trova su you tube e buttateci immediatamente l’occhio. L’album, forse autoprodotto, targato Pitshark Records, credo con sforzi e sacrifici, è stato registrato in quel di Montebelluna e la sua copertina campestre in bianco e nero vale più di tante altre parole. Parlando di artiste che ci hanno entusiasmato ultimamente, la genovese Charlie, Eloisa Atti e le Kalahysteri sono cinque fanciulle assolutamente da scoprire e parlo di musica non di vestiario, pur essendo tutte quante di aspetto estremamente notevole e piacevole.

Quattro su cinque sono passate l’anno scorso dal vecchio Cohen e di questo non potremo finire di ringraziare chi ce le ha proposte con buon gusto e occhio musicale molto fino.

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MARTHA L. HEALY – Keep The Flame Alight

di Paolo Baiotti

15 novembre 2019

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MARTHA L. HEALY
KEEP THE FLAME ALIGHT
Autoprodotto 2018

Cantautrice scozzese con radici irlandesi, cresciuta con una dieta basata su Eagles, Traveling Wilburys e Dubliners, alla quale crescendo ha aggiunto dosi di Patsy Cline, Sheryl Crow, Carole King e Dolly Parton, ha esordito con l’Ep To Be Free in cui ha affiancato a due brani autografi due covers di Patsy Cline e Hank Wiliams. In seguito si è spostata a Nashville, dove ha scritto gran parte di Keep The Flame Alight alla fine del 2016 ed è tornata nell’ottobre 2017 per registrarlo con il produttore David Spicher, già associato a Kathy Mattea, Pam Tillis, Crystal Gayle, Jerry Douglas e Jim Lauderdale, che ha radunato in studio alcuni musicisti locali molto quotati. Mi riferisco a Todd Lombardo (chitarra e mandolino), Eamon McLoughlin (violino, archi), Bill Cooley (chitarra) e alla cantautrice Wendy Newcomer alle armonie vocali.
Martha si è esibita più volte in Tennessee da sola, mentre in Scozia spesso suona in duo con il cantautore Al Shields. Il suo modo di cantare caldo ed espressivo è stato paragonato a Nanci Griffith, Gretchen Peters e Lori McKenna, con una scrittura e degli arrangiamenti country-folk che non dimenticano influenze celtiche. Keep The Flame Alight è un disco scorrevole, forse un po’ troppo imparentato con un country-pop che manca di profondità, nel quale emergono comunque le doti vocali della cantante e dei testi semplici e riflessivi su temi personali come famiglia, relazioni, amicizia, rapporto ambivalente con la propria terra. Si distinguono la ballata Unmade Bed arrangiata con gli archi, il mid-tempo country No Place Like Home con un violino malinconico, Fall In Love Again influenzata dai primi Eagles e Woman With No Shame in cui emerge il dobro di Chas Williams, mentre nella lunga e narrativa Sisters To Strangers la Healy è aiutata dalla voce e dal mandolino della Newcomer.  
Keep The Flame è un discreto disco di cantautorato country/roots. Martha ha delle doti vocali non indifferenti che potrebbero interessare ad una major, ma riuscire ad emergere in ambito country non è facile.

JORDI BAIZAN – Free And Fine

di Paolo Baiotti

15 novembre 2019

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JORDI BAIZAN
FREE AND FINE
Berkalin Records 2019

Cantautore texano multiculturale, nato a Houston da genitori cubani e spagnoli, sposato con una donna messicana, Jordi si occupa di musica da molti anni, affiancandola ad una piccola attività imprenditoriale indispensabile per mantenere la famiglia (ha quattro figli). Adesso che i ragazzi sono cresciuti, la musica ha aumentato il suo spazio; nel 2017 ha esordito con Like The First Time seguito da Free And Fine, ottenendo premi in Texas e Florida per le qualità compositive. Rassicurato dall’esito dell’album d’esordio, ha scelto come produttore Walt Wilkins, un altro cantautore locale che ha alle spalle parecchi album solisti e una collaborazione con Kevin Welch. Walt ha chiamato l’amico Rod Flynt, utilizzando il suo studio Jumping Dog a Austin dove ha radunato un gruppo di musicisti tra i quali Ray Rodriguez (batteria), Bill Small (basso) e Chip Dolan (tastiere).
La scrittura di Jordi privilegia ballate intimiste piuttosto delicate, che si adattano alla sua voce morbida e melodica, accompagnate da una strumentazione venata di country come in Whiskey With Water dove spicca il violino di Heather Stalling o in Desert Line, ammantata da cori di stampo californiano di Walt e della moglie Tina, che contribuiscono anche alla cadenzata Winter’s Come in cui spicca la lap steel di Corby Shaub. I testi sono basati su storie semplici e personali, come l’incontro casuale di Could Have Been Us che lascia l’idea di un qualcosa che sarebbe potuto succedere, l’amore a prima vista di Between The Sun And The Moon in cui è aiutato dalla voce della cantautrice Jaimee Harris o il corteggiamento del valzer rilassato di Let’s Have Seconds. Non mancano i richiami ad eventi più drammatici quali una malattia incurabile in Footsteps On The Ceilings o l’alluvione in Heroes All Around. D’altronde la scrittura del disco è stata condizionata dall’uragano Harvey che nell’agosto del 2018 ha colpito anche la casa dell’artista, abbandonata in tutta fretta con la famiglia e dalle emozioni e riflessioni provocate da questo evento.
E’ difficile inventare qualcosa di nuovo in ambito cantautorale, ma Jordi sembra avere le carte in regola per proseguire la sua avventura solista, vedremo fino a che punto.

KING OF FOXES – Salt & Honey

di Paolo Baiotti

10 novembre 2019

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KING OF FOXES
SALT & HONEY
Olivia Street 2018

Olivia Street è la cantante e leader di questa formazione di Edmonton, coadiuvata dalla chitarra di Brandon River e dal basso di Reid Thiel, con l’aggiunta della batteria di Stew Kirkwood, che ha prodotto e registrato l’Ep Salt & Honey, supportato dalla città canadese che nel 2018 ha nominato la band come “Artist To Watch” negli Edmonton Music Awards. Hanno un suono pulito, che incrocia elementi di Brit Pop e Indie Rock, guidato dalla voce tonica e melodica, a tratti sognante di Olivia, che aveva già lasciato il segno in Golden Armour, esordio del 2016.
La formazione è in attività dal 2013, sempre guidata dalla cantante, figlia di un sassofonista classico, già membro del gruppo reggae Souljah Fyah. Qualche elemento di reggae permane nell’opener Backsliders, un pop ritmato scorrevole e accattivante, mentre All I Need esplora il lato rock della band, seppur mitigato dalla voce morbida e da un break sognante, lasciando uno spazio di manovra alla chitarra di Brandon. Laundry List è una ballata pop arrangiata ed eseguita con cura, un possibile hit radiofonico, che sfuma nel breve strumentale Lost Horizon, seguito da Cartagena, una dreamy song ballabile e leggera, impreziosita dalle tastiere di Brennan Cameron, con un break in cui il suono si indurisce mettendo la chitarra in primo piano e un finale strumentale soft e da Open Room, caratterizzata da un groove trascinante tra rock e pop e da una melodia indovinata. La ballata Room With A View chiude i 22’ minuti del mini album, scorrevole e disimpegnato.

LAZY AFTERNOON – Almost Home

di Paolo Baiotti

10 novembre 2019

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LAZY AFTERNOON
ALMOST HOME
Artache/Paraply 2019

Da sempre la Svezia produce musicisti influenzati dalla musica roots americana. Questi Lazy Afternoon si presentano come gruppo di country frizzante, speziato con Tex-Mex, Irish folk, Cajun e Rock ‘n’ Roll…una definizione che effettivamente copre in modo esaustivo la loro proposta. Non sono dei ragazzini…anzi, a partire da Jorgen Ahlqvist (fisarmonica e melodeon) padre di tre figli adulti, proseguendo con Stefan Magnusson (basso e batteria, insegnante di musica), Bo Ahlbertz (bouzouki, armonica, voce solista e principale compositore), chiudendo con Cristina Safsten (voce e chitarra), coadiuvati in Almost Home, il loro secondo album, da Maria Nordseth (voce), Lars Johansson (basso) e Pontus Nordborg (chitarre e voce). Hanno esordito nel 2016 con Whatever, mantenendo lo stesso stile musicale in Almost Home con l’aggiunta della voce di Cristina, vicina alle cantanti di folk inglese. Nella loro musica la fisarmonica gioca un ruolo primario, pari a quello della chitarra (prevalentemente acustica) o della sezione ritmica, sia in ballate come Locked che richiama alla lontana gli irlandesi Pogues con un pregevole impasto vocale, sia in tracce più scattanti come All This e Almost Home o nel cajun Water. In alcuni momenti le melodie sono un po’ banali, ad esempio nell’iniziale Make Love Real o in Every Time, ma il country folk Sunshine e la reggata The World Is Her Home ci trasportano serenamente alla conclusione del disco, affidata alla morbida Those Words Are True, attraversata da venature gospel, ma ancora una volta ammantata da una melodia un po’ scontata.

TORONZO CANNON – The Preacher, The Politician Or The Pimp

di Paolo Crazy Carnevale

3 novembre 2019

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TORONZO CANNON – The Preacher, The Politician Or The Pimp (Alligator/IRD 2019)

Lunga, lunghissima gavetta quella del cinquantunenne Toronzo Cannon, bluesman chicagoano da qualche anno accasato presso l’Alligator Records. Tanto lunga che prima di incidere il suo debutto nel 2007 è arrivato alla soglia dei quarant’anni. Però bisogna dire che attenderlo è valso davvero la pena, perché quel che esce dalle corde vocali e dalla chitarra di questo talentuoso musicista è davvero un blues maturo.

Questo disco è il secondo che pubblica con l’etichetta blues per eccellenza ed è davvero molto godibile, un disco di blues torrido e intenso, le influenze sono quelle classiche, ma nel suo blues c’è davvero soprattutto tanta anima, un’anima che sprizza da ogni fraseggio della sua sei corde e che ci regala preziose sfumature ogni volta che apre la bocca per cantare.
La formazione è stringata, essenziale, con Cannon ci sono basso (Marvin Little) e batteria (Melvin Carlisle) e tastiere Roosevelt Purifoy, ma dove necessario non mancano gli ospiti: lo stile è quello della città di provenienza, dove Cannon quando non è in giro a suonare fa l’autista sugli autobus.

E che si trattava di blues della Windy City era già chiaro dal titolo del disco precedente, The Chicago Way, nominato per i Grammy nel 2017, a ribadire il concetto in questo disco troviamo un brano dal medesimo titolo in cui Toronzo canta: “Ho infranto alcune regole/ho pagato alcuni debiti/suono il mio blues/alla maniera di Chiacago”, molto più che una semplice dichiarazione d’intenti.

Il brano – terzo del disco – è preceduto dalla title track e dall’ottimo attacco di Get Together Or Get Apart.

Su Insurance, c’è ospite l’armonicista Billy Branch, titolare dell’ottimo tributo a Little Walter di cui ci siamo già occupati, in Stop Me When I’m Lying ci sono i fiati che movimentano il tema in chiave shuffle, mentre nella lunga She Loved Me (Again) Toronzo fa ululare la sua chitarra fin dalle prime note lanciando un’introduzione strumentale di quasi un minuto, poi parte con la voce che fa il paio con la chitarra, mentre Purifoy con l’organo si occupa della tessitura di trame insinuanti.

The Silence Of My Friends è un piccolo capolavoro a cavallo tra blues e gospel, grande intro piano e voce, poi si inseriscono gli altri e soprattutto la chitarra che si lancia in un fraseggio spettacolare e il gioco è fatto, una ballata struggente ispirata nientemeno che da Martin Luther King.

Cambiano le atmosfere, Toronzo passa dall’elettrica ad una resofonica in The First 24, un brano più vicino al blues delle origini, poi in That’s What I Love About ‘Cha si fa accompagnare dalla voce della corpulenta Nora Jean Bruso, dando vita ad un blues rock guidato dal pianoforte che rimanda per certi versi (saranno le due voci) a Delaney & Bonnie, in versione black (ma quanto black erano i Bramlett, nonostante la pelle bianca?). Il blues più standard fa capolino in Ordinary Woman, vagamente jazzata nell’uso del piano, non il brano più entusiasmante del disco, che riprende però quota con Let Me Lay My Love On You, che risposta l’asse da New Orleans a Chiacgo, il tutto prima del finale, la lenta (pianistica nell’introduzione) I’m Not Scared, un brano robusto che vede schierare un bel trio di coriste, mentre a dar manforte al titolare nelle sorti chitarristiche c’è Joanna Connor, qui alla slide, rossocrinuta chitarrista definita la regina della chitarra rock blues, alla faccia di Ana Popovich! Il brano è notevole, una delle perle del disco con The Silence Of My Friends e That’s What I Love About ‘Cha, e Cannon sfodera qui influenze hendrixiane finora sopite nell’ascolto degli altri brani.

Il 9 e 10 novembre e Varese la Fiera del Disco e del CD

di admin

1 novembre 2019

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Si svolgerà come sempre all’Ata Hotel di Via Albani, 73 (nei pressi dell’ippodromo) la 40° edizione della Fiera del Disco e del CD, come sempre foriera di luculliane opportunità.

Ingresso come sempre gratuito (dalle 10.00 alle 18.00).

NON MANCATE!