Archivio di gennaio 2020

JIM PATTON & SHERRY BROKUS – Collection 2008/2018

di Paolo Baiotti

26 gennaio 2020

collection[1690]

JIM PATTON & SHERRY BROKUS
COLLECTION: 2008-2018
Berkalin 2019

Questo cd raccoglie 18 tracce tratte dai quattro dischi acustici del duo, tutti registrati a Austin e prodotti da Ron Flynt, con l’aggiunta di un paio di inediti. Coppia di Austin nella vita e nel lavoro, Sherry e Jim cantano insieme da decenni e hanno pubblicato parecchi album, dapprima elettrici, poi acustici a partire da Plans Gang Aft Agley del 2008, seguito da Ray Of Hope, The Great Unknown e The Hard Part Of Flying del 2017. In precedenza hanno fatto parte della band folk/rock Edge City.
A proposito del duo il produttore e chitarrista Lloyd Maines (Guy Clark, Joe Ely, Terry Allen, Dixie Chicks…) ha dichiarato: “ho incontrato Jim e Sherry quando mi sono stabilito a Austin nel ’98. Ho avuto l’opportunità di collaborare su disco con loro e ha funzionato. Sono molto appassionati. Mi hanno sempre attirato gli artisti che scrivono sulle esperienze personali. Sono contento di far parte del loro universo musicale”.
Nei quattro album acustici Flynt ha suonato il basso e le tastiere, utilizzando lo stesso gruppo di musicisti comprendente Warren Hood al violino, Rick Brotherton alla chitarra, dobro e mandolino e John Bush alle percussioni. I brani, tutti composti da solo o con altri da Patton, sono semplici e lineari come le storie raccontate nei testi, adatti alla voce melodica e tendenzialmente malinconica di Sherry, che si alterna con il compagno come solista.
L’orgogliosa Never Give Up, cantata in coppia e Old Coutry Rd aprono il disco con vivacità, seguiti dalla riflessiva On The Day I Leave This World in cui spicca il piano di Flynt. Non ci sono momenti di stanca, i brani sono scelti con cura, alternando momenti appena più mossi come Rebels Without Applause che spicca anche per il testo e il country My Hometown’s Not My Hometown Anymore a ballate intime come l’addio cantato in Don’t Say Goodbye, drammatiche come 27 Voices, nostalgiche come Ghosts In This Room Tonight o toccanti come I Turn To You (una love song con un testo semplice ed efficace) che prevalgono sia numericamente che a livello di ispirazione. Fortunate Man, primo brano dell’album del 2008, ribadisce la scelta di una vita alternativa basata sugli affetti e non sul numero di gioielli posseduti, chiudendo il disco insieme al nostalgico valzer After The Dance.

NEIL PEART: Addio Professore!

di Paolo Baiotti

19 gennaio 2020

maxresdefault[1683]

Mi ha sempre dato un’idea di forza e di solidità Neil Peart, il batterista del trio canadese dei Rush che è morto il 7 gennaio a causa di un tumore al cervello. Dietro alla batteria sempre più grande e ricca di elementi della band sembrava inattaccabile, solido come un muro d’acciaio, forte e resistente. Invece la sua vita è stata piena di sofferenze e di dolori oltre che, ovviamente, di soddisfazioni e trionfi professionali.

neil 2

Nato il 12 settembre del 1952 ad Hamilton in Ontario, era entrato nei Rush nel ’74, sostituendo il batterista originale John Rutsey e raggiungendo Geddy Lee (voce e basso) e Alex Lifeson (chitarra). Ispirato dallo stile vorticoso di Keith Moon e dalla potenza di John Bonham e Ginger Baker, in breve tempo Neil era diventato un elemento centrale del trio, al pari dei colleghi, nonché il principale autore dei testi. E proprio in questo campo dimostrò subito doti sorprendenti, ispirato dalla sua passione per la filosofia (nei primi anni in particolare per le teorie della scrittrice Ayn Rand come evidenziato dai testi di Anthem e 2112), per la fantascienza e per la mitologia. In seguito negli anni ottanta inserì elementi personali e sociali con l’uso di metafore e simbolismi inusuali per un gruppo rock.

neil 3

Eclettico e pieno di interessi, ha scritto sette libri, il primo The Marked Rider: Cycling In West Africa nel 1996, nel quale ha raccontato un viaggio di un mese in bicicletta attraverso il Camerun.
Nel frattempo i Rush mietevano un successo dopo l’altro. A partire da 2112 pubblicato nel ’76, la band ha avuto una crescita costante negli anni successivi in cui, dopo essere partita da un hard rock led zeppeliniano, ha inserito elementi di complessità prog che hanno catturato la fantasia del pubblico nordamericano e, in parte, europeo. Suonando senza sosta e con qualche aiuto delle radio FM grazie a brani come A Passage To Bangkok, Closer To The Heart e Spirit Of The Radio, ogni album ha venduto più del precedente fino all’esplosione di Permanent Waves (n. 4 in Usa e n. 3 in Gran Bretagna) e all’apice del successivo Moving Pictures (n. 1 in Canada, n. 3 in Gran Bretagna e Usa con 4 milioni di copie vendute), sintesi perfetta dei primi anni della loro storia, un disco di rock fresco e accessibile, complesso senza essere cervellotico, con la giusta dose di virtuosismo e melodia esemplificata da tracce come Tom Sawyer, Red Barchetta e Limelight. Negli anni ottanta i Rush hanno inserito con maggiore convinzione sintetizzatori e suoni elettronici, abbracciando le nuove tecnologie e ammorbidendo il suono con risultati non sempre convincenti, mantenendo comunque una larga popolarità e collocandosi stabilmente nel circuito delle grandi arene. Negli anni novanta Neil, soprannominato The Professor e diventato uno dei musicisti più considerati, premiati e imitati anche per i suoi assoli impeccabili dal punto di vista tecnico, intricati e particolari negli stacchi, nei tempi e nell’uso di percussioni di ogni tipo (per 7 anni consecutivi è stato votato miglior batterista dai lettori dalla rivista Modern Drummer), ha avuto l’umiltà di prendere lezioni di batteria jazz da Freddie Gruber, per inserire altri elementi nel suo modo di suonare, ispirato dall’ammirazione nei confronti di Gene Krupa e Buddy Rich.

neil peart 4

Ritornati ad un suono più chitarristico a partire da Roll The Bones del ’91, i Rush hanno proseguito con Counterparts e Test For Echo ma, dopo il relativo tour promozionale del ’96-’97, la vita di Peart è stata scossa da una doppia tragedia. Nel giro di pochi mesi ha perso la figlia Selena Taylor nell’agosto del ’97 a causa di un incidente stradale e la moglie Jacqueline Taylor (erano sposati da 23 anni) nel giugno del ’98 per un tumore e per il dolore insopportabile dovuto alla perdita della figlia diciannovenne. Neil interrompe la sua attività, i Rush si fermano. Il batterista intraprende un lungo viaggio sabbatico in moto attraverso il Nord e il Centro America, riassunto nel libro Ghost Rider: Travels On The Healing Road (Il Viaggiatore Fantasma in italiano, uscito per la Tsunami nel 2014), un diario di viaggio, emozioni e sofferenza. Lentamente si riprende, incontra la fotografa Carrie Nuttall che sposa nel settembre del 2000 e richiama i compagni per riprendere l’attività musicale. Il suo carattere è cambiato: da sempre introverso, geloso della sua privacy e sospettoso verso la stampa, accentua questo atteggiamento, protetto dai colleghi.

rush 5

I Rush entrano nel nuovo millennio rispettati come non mai. Una nuova generazione di musicisti li considera dei precursori, i loro concerti sono sempre sold out. Il disco del ritorno Vapor Trails del 2002 non è particolarmente brillante, anche per colpa di un discusso mixaggio, tanto che dieci anni dopo ne uscirà una nuova edizione rimixata, ma dal vivo sono esaltanti, come ribadito dal live Rush In Rio, pubblicato sia in audio che in video. Nel 2007 esce Snakes And Arrows, cinque anni dopo l’eccellente concept Clockwork Angels (n.1 in Canada, n. 2 in Usa), diciannovesimo e ultimo album in studio, inciso tra il 2010 e il 2012 nelle pause del Time Machine Tour. Neil è stanco, ha problemi fisici alle spalle e alla schiena (soffre di tendinite cronica) che gli rendono difficile suonare la batteria nonostante una preparazione degna di un atleta professionista.

Rush+In+Concert+QzkOct6aMdEx

Nel 2015, terminato il tour R40, annuncia il suo ritiro dichiarando che, come per gli sportivi, arriva il momento di fermarsi, di uscire dal gioco. Vive tranquillamente in California, si gode la nuova famiglia che nel frattempo si è ampliata con la nascita nel 2009 di Olivia. Rimane in ottimi rapporti con Lifeson e Lee, che confermano la fine della band in più occasioni. Il tumore lo aggredisce alla fine del 2016, ma la notizia resta segreta a quasi tutti fino alla notizia della sua morte il 7 gennaio. Le reazioni di sorpresa e dolore sono innumerevoli, non solo nel mondo della musica e dello spettacolo. Il primo ministro canadese Justin Trudeau dichiara: “abbiamo perso una leggenda. Ma la sua influenza e la sua eredità vivranno per sempre nei cuori negli appassionati di musica in Canada e in tutto il mondo”. Sembra banale, ma è la pura verità.

Rush: discografia consigliata

2112 (Mercury/Anthem 1976)
Hemispheres (Mercury/Anthem 1978)
Permanent Waves (Mercury/Anthem 1980)
Moving Pictures (Mercury/Anthem 1981)
Exit…Stage Left (Mercury/Anthem 1981)
Grace Under Pressure (Mercury/Anthem 1984)
Rush In Rio (Alantic/Anthem 2003)
Clockwork Angels (Roadrunner/Anthem 2012)
Rush R40 Live (Anthem/Zoe 2015)

MUDFISH – Mudfish

di Paolo Baiotti

14 gennaio 2020

mudfish[1665]

MUDFISH
MUDFISH
Paraply 2019

Veterani della scena nordica, rimasti inattivi per parecchi anni, hanno ripreso nel 2013 partecipando l’anno dopo alla raccolta Home Is Where The Heart Is e nel 2017 alla compilation natalizia Won’t Be Home For Christmas, entrambe pubblicate dalla Paraply Records. Il cantante Joakim Lovgren e il chitarrista Ake Stromberg sono i due componenti fissi della band, autori delle nove canzoni dell’album, scritte in un lungo arco di tempo e incise in pochi giorni a Boras. Due singoli hanno preceduto il disco: l’intenso up-tempo Propeller Man e la ballata Tug Of The Undertow. La proposta dei Mudfish è un pop-rock chitarristico che può richiamare la new wave degli anni ottanta di ispirazione britannica in tracce energiche come I’m Okey, la trascinante Hallelujah I’m Falling (in cui si inserisce l’armonica di Joakim) e lo scorrevole mid-tempo Lucky Me, mentre 30 Minutes e Kiss Of Promise accelerano ulteriormente con qualche reminiscenza punk, spinte dalla discreta voce di Lovgren, controbilanciate dallo slow Winter’s Come To Life posto in chiusura.
Disco scarno e breve (9 brani per poco più di 30’), Mudfish si ascolta senza attimi di noia, apprezzandone il mix di energia e melodia e il suono che sembra registrato dal vivo, senza overdubs.

SESSION AMERICANA – North East

di Paolo Crazy Carnevale

12 gennaio 2020

session-americana-north-east-20191009162307[1672]

SESSION AMERICANA – North East (Appaloosa/IRD 2019)

Una formazione curiosa quella dei Session Americana, una sorta di ensemble senza un leader vero e proprio in cui tutti sono protagonisti di una piacevole miscela di suoni acustici a cavallo tra rock e cantautorato: nella fattispecie, nel caso di questo recente prodotto distribuito dall’Appaloosa, del cantautorato della east coast, o ancor più precisamente del New England.
North East è infatti un omaggio alla scuola del nord est americano, una scuola che vanta una miriade di autori, più o meno conosciuti, sviluppatasi con la complicità delle numerose coffee house e dei club attivi intorno a Cambridge, la città gemella di Boston, sede dell’università del Massachusetts. Ora forse le cose sono cambiate, ma fino a metà anni novanta nei club di quella zona, come ebbe a dirmi il mio amico Patrick parafrasando i Beatles, c’erano concerti otto sere alla settimana!

In East Coast i componenti del gruppo giocano a scambiarsi microfono e strumenti dando vita ad un disco gradevolissimo, senza picchi eccessivi, molto omogeno a dispetto delle tante voci impiegate e degli ancor più autori. Se la rilettura di Ry Cavanugh (cantante e polistrumentista) della Riding On A Railroad del bostoniano James Taylor (poi californiano d’adozione) ricorda fin troppo il modo di cantare del suo autore, Jimmy Fitting convince molto con le atmosfere caraibiche di Here Comes Your Man presa dal repertorio di bostoniani più giovani, i Pixies, e piace anche come Zak Troiano riprende You’ll never Got To Heaven di Bill Morrissey (altro frequentatore dei club di Harvard Square e dintorni con cui il mio amico Patrick ebbe in quegli anni l’onore di condividere spesso le assi del palco come opening act).

Sempre del Massachusetts è Amy Correia, cantautrice e autrice di You Go Your Way, resa molto bene dai Session Americana, con la voce stavolta di Rose Polenzani, impegnata qui anche al piano, mentre Cavanaugh si occupa della slide e Fitting dell’armonica, ma ci sono chiaramente anche sezione ritmica, mandolino, altri cantanti, fisarmonica. Ali McGuirk dà voce a The Night, scritta da Mark J. Sandman, il cui nome è tristemente legato al nostro Bel Paese visto che vi è morto collassando sul palco a Palestrina nel 1999 mentre vi si esibiva con i Morphine, il gruppo di cui era bassista. Merrie Amsterburg è la voce nella delicata Trip Around The Sun, rubata a Jimmy Buffett, con un bell’intervento di Duke Levine alla mandola e di Peter Linton all’elettrica.

Di Boston era anche la stella della disco music Donna Summer e i Session Americana si cimentano con un classico della protetta di Giorgio Moroder, Dim All The Lights, molto riuscita grazie alla buona voce di John Powhida su cui gli strumenti acustici si innestano alla perfezione, senza togliere al brano lo spirito dance originario, quasi inimmaginabile in una rilettura acustica decisamente un bell’esperimento più che riuscito.

Tra gli altri autori più noti ripresi dall’ensemble ci sono poi Patti Griffin, Jonathan Richman – di cui è ripresa Roadrunner in arrangiamento con Dinty Child che canta richiamando alla mente gli Animals (che avevano inciso l’omonimo brano di Bo Diddley del resto) –, Carly Simon Tom Rush, i meno noti Letter To Cleo, Christopher Pappas, autore della notturna Driving.
Oltre ai componenti citati sin qui, tra le voci soliste dei Session Americana ci sono anche Dietrich Strauss (occasionalmente alle tastiere), Kris Delmhorst, Jennifer Kimball (anche al piano), Billy Beard (anche batterista), il dobroista Jeffrey Foucault (già titolare di una carriera a proprio nome), la violinista Isa Burke, il bassista Jon Bistine.

RANZEL X KENDRICK – Texas Cactus

di Paolo Baiotti

12 gennaio 2020

Ranzel-X-Kendrick-Seguin-Son-of-a-Gun-3[1667]

RANZEL X KENDRICK
TEXAS CACTUS
Autoprodotto 2019

Cantautore texano di area folk/country, Ranzel è cresciuto imparando il mestiere dallo zio Roger Miller, artista country vincitore di numerosi Grammy. Dopo avere vissuto in Tennessee, Colorado, California, Maryland e Costa Rica è tornato in Texas, stabilendosi nella zona di San Antonio, dove ha preso sul serio l’attività musicale che fino ad allora aveva svolto in modo irregolare. Ha esordito con Texas Paintbrush, seguito da Texas Sagebrush, per chiudere con Texas Cactus una trilogia texana. Recentemente ha pubblicato un ep di sei brani più vicino al rock blues con il nome Snafu By Alias Wayne, staccandosi in parte dalle atmosfere dei dischi precedenti.
Tornando all’ultimo capitolo della trilogia, Ranzel è accompagnato da un folto gruppo di amici e session men tra i quali Warren Hood al violino e mandolino (Waybacks, Bodeans), Ron Flynt al basso (20/20) nonché ingegnere del suono e Matt Hubbard all’armonica (7 Walkers).
Il primo singolo Sequin Son-of-a-Gun apre il dischetto in modo rilassato e sciolto, segnato da un violino country delizioso e da un cantato flemmatico, seguito dalla morbida ballata Waltz Away With My Heart e dall’apprezzabile cover di Crazy Love di Van Morrison che mantiene la dolcezza dell’originale sia nell’arrangiamento che nell’interpretazione vocale, con un pizzico di influenza southern soul in più. Nel prosieguo spiccano l’intensa Wayfarer impreziosita da una raffinata chitarra, lo strumentale Baptised in Butterflies e l’acustica Ada’s Farm con armonica e dobro in primo piano, mentre altri brani come Everybody Get Together, la title track e Come What May appaiono troppo esili per lasciare traccia.

NOCONA – Long Gone Song

di Paolo Crazy Carnevale

1 gennaio 2020

Nocona Long Gone Song[1651]

NOCONA – Long Gone Song (Henrietta Records 2015)

Non saranno i primi, e sicuramente nemmeno gli ultimi, a coniugare le sonorità del punk con il country-rock, ma questi Nocona meritano senza dubbio attenzione per la genuinità e la schiettezza della loro produzione. La ritmica incalzante, l’armonica infuriata, le composizioni del leader Chris Isom (voce principale e chitarra solista) sono le caratteristiche dei Nocona che balzano subito all’orecchio, ma poi andando ad ascoltare con più attenzione ci sono un sacco di altre cose che vengono fuori da questo CD che contribuiscono a elevare il nome del gruppo oltre la media del genere.

Californiani, desertici, intriganti, i Nocona hanno una formazione fluttuante, possono essere un quartetto, un quintetto, probabilmente a volte solo un trio, un po’ a seconda di chi c’è a bordo, di chi è disponibile.

Oltre a Chris c’è sua moglie Adrienne che fa le seconde voci e suona la ritmica mentre il basso in questo disco è di Annie Rotschild, alla batteria c’è Justin Smith e all’armonica Elan Glasser. Tutti rigorosamente vestiti secondo i dettami dello stile di Nudie, il sarto hollywoodiano che disegnò i costumi dei Flying Burrito Brothers per la copertina del primo album, e non è un caso che recentemente i Nocona abbiano suonato proprio ad uno show commemorativo per i cinquant’anni di quel disco.

Con una voce che ricorda un po’ quella di Ray Davies e un po’ quella di Steven Predelli (il mitico cantante dei Klakson), Chris guida il gruppo tra incursioni di acustica molto evidenti e schitarrate all’insegna del suono più fuzz che si possa immaginare, proprio come ci si potrebbe aspettare da una perfetta commistione tra tradizione e ruvidità da garage. L’armonica di Glasser è sempre vibrante e strapazzata e poi, poi ci sono gli ospiti: Carl Byron alle tastiere (piano organo o wurlitzer che sia) e Greg Leisz con una pedal steel sempre adatta alla bisogna, a conferire al sound Nocona quel sapore di country psichedelico e acido che fu dei New Riders una miriade di anni fa, quando c’era Jerry Garcia ad occuparsi appunto della chitarra a pedali.

Già la title track fa capire di che stoffa sia fatto il gruppo, e poi Toothless Junkie conferma la prima impressione con un bel finale strumentale potente. In All The Victories Of The World fa la prima apparizione il tastierista, presente poi anche nella seguente e notevole Beelzebub Is Still The King, in cui c’è pure Leisz, e difatti siamo al cospetto del primo brano da applausi del disco, l’inserimento di pedal steel e tastiere dà alla musica dei Nocona il tocco giusto (non è un caso che nella formazione più attuale ci sia una pedal steel in pianta stabile, anche se non si tratta di Leisz).

I due ospiti si ritrovano anche nel brano numero sei, Knives & Cologne, dalle atmosfere più sixties garage, con il suono dell’organo a dettar legge.

Bel brano anche Beverly Hills Blues, e nella media positiva del disco è anche It’s Just; Ahh Lovey ha un break di armonica molto vibrante, in perfetta simbiosi con la solista di Chris Isom, mentre la sezione ritmica pesta indiavolatamente. Prehensile Soul (il brano più lungo del disco, ma sono poco più di quattro minuti) è di nuovo una via di mezzo tra Kinks (ascoltare il cantato per credere) e garage con grande lavoro dell’elettrica di Chris, poi, per il finale i Nocona tirano fuori dal cilindro una delle cose migliori del disco, Outside The Lines, una ballata cadenzata, perfetto mix di psichedelia e country rock che viene esaltato dal lavoro della pedal steel di Leisz, qui davvero in stato di grazia.