Archivio di febbraio 2010

Milano hi-end 2010

di admin

26 febbraio 2010

Sabato 27 e Domenica 28 Febbraio 2010 dalle ore 9,00 alle ore 18,00 si terrà presso il Centro Congressi NH Jolly Hotel di MilanoFiori Assago (MI) ”Milano hi-end 2010“, 11° edizione della “rassegna della sola alta fedeltà a due canali”.

L’analogico è più logico

di Roberto Anghinoni

23 febbraio 2010

In un articolo apparso sul sito del Corriere della Sera dello scorso 17 febbraio, a firma Federico Cella, l’autore fornisce le cifre del mercato della musica, numeri dichiarati da Deloitte e da Nielsen Soundscan, oltre che da Fimi – Confindustria. Forse può risultare noioso tornarci anche una volta ogni tanto su questi argomenti, ma credo che qualche spunto di riflessione, magari di condivisione così come di sana critica, sia opportuno. Noi siamo qui per salvaguardare e chissà forse anche rilanciare (se basta parlarne) il supporto fonografico vinilico, ma ragazzi viviamo in un mondo che ha perso la speranza. Intanto qualche numero: il fatturato della musica digitale, quella che viene ovviamente scaricata legalmente, i dati riguardano il periodo 2009 rispetto al 2008, ha avuto un incremento del 27% che permette di raggiungere i 21 milioni di Euro di fatturato. Per contro, i supporti tradizionali (LP e CD) hanno fatturato nel 2009 144 milioni di Euro, mentre nel 2008 i milioni erano 178, con quindi una flessione del 19%. Questi i dati ufficiali di Confindustria. Per Deloitte, la perdita dei supporti tradizionali è del 24%, una percentuale che è finita pari pari nel mercato digitale. La per noi tragica notizia è che, secondo Nielsen Soundscan, il vinile, dopo due anni di crescita, ha fatto registrare una flessione del 7%, fermando il fatturato a 1,4 milioni di Euro. Un dato che ovviamente non tiene conto (e non potrebbe) del mercato del vinile usato, che credo sia almeno cinque o sei volte superiore a quello dei dischi nuovi, non foss’altro che per la quantità di dischi esistenti nel globo.

SI SALVI CHI PUÒ

Sarà la crisi strutturale e generale che ha colpito e continua a infierire un po’ in tutti i settori merceologici della nostra economia, sarà che i dischi sono troppo cari e non c’è stato uno straccio di governo capace di abbassare almeno l’aliquota Iva, ma secondo me il problema è un altro. L’ho già scritto, lo ripeto. Oggi la musica è in ostaggio della mediocrità del mondo che la ospita. Si scarica un disco come l’orario dei treni, come una ricetta, o come una qualsiasi cosa senza valore. Stessa cosa per i film, e così via. Siamo un popolo di sprovveduti e non ce ne rendiamo conto, anzi, ogni furbata, ogni insulto al rispetto per le cose e per la gente, per l’arte nel nostro caso, è diventato un motivo di vanto, di orgoglio e del relativo apprezzamento del pubblico (non pagante). Con questa premessa è difficile che il mercato discografico possa in tempi brevi (o lunghi) ritrovare il segno + nei suoi fatturati. Non abbiamo la cultura della musica, non siamo in grado di discernere il buono dall’ignobile, ci beviamo tutte le porcate che il mercato discografico, più ignorante di noi, ci propina. E ci appassioniamo anche. Per un eccesso di snobismo mi sono sorbito in questi giorni il Festival di Sanremo. Comunico ufficialmente che il livello della nostra cultura musicale è esattamente quello di tutti coloro che, con il loro voto (ma sarà vero? Non saranno forse le case discografiche che con lauti assegni mandano avanti questa o quella canzone?) hanno mandato in finale Pupo e la sua cricca. A parte un paio di canzoni, devo dire che siamo veramente alla frutta, anzi, al caffè e, ovviamente, il paio di canzoni a mio avviso apprezzabili in finale non ci è arrivato.

CHI HA VOGLIA DI FARE QUALCOSA?
Se il trend delle vendite dei dischi, in generale, dovesse essere confermato, fra cinque o sei anni (alla media del -20%) nessuno produrrà più musica. Oppure finiremo tutti a ricoglionirci davanti al computer a scaricare a destra e manca come degli alieni. Ovviamente, in Italia e anche in altri paesi l’amore per la musica e il prodotto musicale di qualità esiste. La nicchia è sempre più piccola ma c’è. Premesso che i responsabili delle grandi case discografiche sarebbero da internare, perché sono solo dei faccendieri al servizio delle società finanziarie e non degli editori musicali e sono loro la causa del massacro del mercato discografico, a me piacerebbe molto che il nucleo sano della nostra società imprenditoriale e intellettuale trovasse la forza di unirsi. Non so in che modo, o in che forma, ma finché uno rimane piccolo non ce la farà mai. Io credo che sia una questione di sopravvivenza, la loro e quella dei prodotti che certamente con fatica e sacrifici confezionano. Qui siamo in piena “resistenza” non è difficile da capire. E sono tempi così grami che ho cominciato a guardare i CD con tenerezza. Se il 99% della gente ha deciso di abbruttirsi, non è per forza detto che il rimanente 1% debba fare altrettanto. L’obiettivo è diventare il 2% e iniziare a ricostruire, tutti insieme, una nuova sensibilità verso quello che ascoltiamo, partendo magari dal “come” lo ascoltiamo, o anche dal “perché”. Non sto facendo un discorso di generi musicali, ognuno ama la musica e gli artisti che ama, massimo rispetto sempre. Mi piacerebbe però che l’oggetto della mia passione, una passione che credo sia condivisa da moltissime persone, vivesse in un ambiente un po’ più dignitoso e rispettoso. Ma siccome dignità e rispetto difficilmente generano utili, mi sa tanto che ho scritto ancora una volta un sacco di parole per niente, e mi sa anche che fra non so quanto lo rifarò.

White Lies in Concerto – Alcatraz, 17 febbraio 2010

di admin

20 febbraio 2010

Articolo scritto da Anna Almanza

Bugie innocenti EPPURE emozionanti verità.

La critica musicale ci aveva avvertiti: un gruppo di veri emulatori, abilmente costruiti sulla falsa riga di Joy Division & Co.

EPPURE non ci avevano avvisato che questi ragazzi sanno esattamente chi sono, interpretando una musica e uno stile che loro stessi amano. Ascoltare una band dal vivo forse ha questo vantaggio: respirarne l’affiatamento, notarne l’abilità, la flessibilità, l’impegno e la consapevolezza di non essere superiori a nessuno, ma probabilmente solo secondi, terzi, (ma anche quarti…), insieme a molti altri.

Così, non mi stupisco di trovarli vestiti in camicia nera (ad eccezione del bassista che di nero aveva una maglietta…) come ci hanno abituato gli Interpol, o di notare una certa somiglianza del leader allo stile del miglior Ian Curtis, sguardo cupo e animo dannato.

EPPURE, il set è divertente, potente, compatto, coinvolgente e quasi genuino. Dopo i primi brani (la setlist si apre con l’energica “Farewell to the fairground”, cui seguono “Taxidermy” e la cupa “The price of love”) Harry Mc Veigh (voce e chitarra) ringrazia il suo pubblico dal quale non si aspettava probabilmente tanta accoglienza e ribadisce: “Noi siamo solo i White Lies…” quasi una dichiarazione di umiltà al cospetto dei predecessori che emulano con garbo e senza pretese, con franchezza e trasparenza, con trasporto e moltissima concentrazione.

La platea si scalda con l’incalzante singolo che li ha lanciati in tutto il mondo “To lose my life”, ma a cui dedicano giustamente poco spazio, (visto il consenso già fuori dal palco) e nonostante faccia ballare tutti indistintamente (anche la sicurezza batteva il tempo!).

Reinterpretando tutte le canzoni del loro unico album (“To lose my life”, uscito proprio a gennaio dell’anno scorso), i White Lies ci regalano la loro più personale “E.S.T., anche se probabilmente la meno coinvolgente tra il pubblico e “A place to hide” che scorre un po’ senza lasciar traccia, ma ci emozionano con “Unfinished Business” (vedi alla voce Joy Division) che preannuncia, in realtà, la fine della serata.

Una breve pausa fa da sponda tra uno stupendo successo del passato dei Talking Heads (“Heaven”) e un più ritmato presente che chiude con “Death”: il culmine di una perfetta sinergia tra una chitarra tagliente, intrecciata ad un basso mai banale e sintetizzatori e organi in perfetto stile anni 80.

Probabilmente anche questa volta la critica non esalterà le grazie di un’originalissima band; parlando di 12 tracce più o meno patinate, che omaggiano i Joy Division, passando per l’energia degli Editors e il carisma degli Interpol, saranno intitolati i “sopravvalutati” o qualcosa del genere.

EPPURE, mercoledì, all’Alcatraz, ci sono piaciuti davvero.

Frattaglie di (puro) vinile…5

di admin

2 febbraio 2010

Non so se il ritorno al vinile sia un fenomeno passeggero o modaiolo, ma è un fatto indiscutibile. Molti album vengono stampati anche in vinile (alcuni esclusivamente in questo formato), nei negozi gli scaffali si riempiono di album e anche la stampa se ne è occupata. Si tratta di edizioni limitate, spesso in materiale di ottima qualità (vinile 180 gm), quasi sempre con un codice che consente di scaricare i dischi anche in formato mp3 (per avvicinare il pubblico giovanile). Un elemento negativo è il prezzo, generalmente maggiore del compact. Ecco alcune delle uscite più interessanti degli ultimi mesi.

String Cheese IncidentString Cheese Incident: The Best Of Trick Or Treat (2 Lp Sci 2009). Una delle migliori jam band degli ultimi anni si è riformata per il festival di Rothbury ed ha reso disponibile sul suo sito un monumentale box di nove cd che ripercorrono i concerti di Halloween tra il ‘98 ed il ‘04, famosi per le scalette uniche con covers anche improbabili, travestimenti e carnevalate. Nei negozi è reperibile il best in doppio cd ed in doppio vinile (inseriti anche nel box). Il doppio album, con una copertina apribile ed un’ottima qualità sonora, comprende sette brani (sei covers ed un originale) tra i quali una versione molto soft di Walking On The Moon dei Police, le beatlesiane Come Together e Being For The Benefit Of Mr. Kite! ed un’esilarante Get Down Tonight di KC & The Sunshine Band con un finale strepitoso. La quarta facciata del doppio album è dedicata ad una versione debordante di Round The Wheel, un classico del gruppo, registrata ad Atlanta nel ‘98.     

 Gov’t Mule: By A Thread (2 Lp Evil Teen 2009) in vinile giallo 180 gm. Gov't Mule Il nuovo album dei Mule è eccellente, un ritorno ai massimi livelli dopo un paio di prove in studio non del tutto convincenti. L’edizione in vinile comprende una versione alternata di Inside Outside Woman Blues (take 1).

 PhishPhish: Joy (2 Lp Jemp 2009) in vinile 180 gm, copertina apribile, con il codice per scaricare l’album in mp3. Anche la più famosa jam band degli ultimi vent’anni è tornata con una serie di concerti trionfali ed un album in studio prodotto da Steve Lillywhite. Un bel disco focalizzato sulle canzoni, senza cercare di riproporre le improvvisazioni che rendono unici i concerti del gruppo del Vermont. La title track, la deliziosa Ocelot, la ballata Twenty Years Later e la suite Time Turns Elastic sono le tracce più convincenti di un disco di ottima qualità.  

 Joe Bouchard: Jukebox In My Head (Lp JB Music 2009). Il primo   disco solista dell’ex bassista dei Blue Oyster Cult è reperibile in vinile 180 gm. numerato e autografato (con una card per scaricare l’album in mp3 con tre bonus tracks) sul sito www.joebouchard.com.  Si tratta di un album molto vario ed interessante, da parte di un musicista che da tempo ha rinunciato alle luci della ribalta per dedicarsi alla famiglia e ad una vita meno stressante. Lasciati i BOC negli anni ottanta ha ripreso a studiare la chitarra, ha insegnato per anni nelle scuole, ha suonato con Dunaway & Smith (ex di Alice Cooper) e con il fratello Albert. Ed ora ha inciso un album nel quale canta (come in alcuni brani dei BOC), suona chitarra, basso e tastiere (alla batteria c’è Michael Cartellone dei Lynyrd Skynyrd) e compone buona parte del materiale. La prima facciata parte bene con Shadows On the Streets Of New York, ma prosegue un po’ alterna. Più continuo il secondo lato con la complessa Which Road Is Mine, la raffinata Kickin’ a Can scritta dal fratello Jim, lo strumentale d’atmosfera orchestrale Haunted Dance Floor e la conclusiva Dark Boat, un’intrigante ballata con un incisivo assolo di chitarra ed un coinvolgente crescendo finale con chitarra e sax in evidenza.          

 Jason IsbellJason Isbell & the 400 Unit (2 Lp Lightning Rod 2009), L’edizione in doppio vinile comprende anche il cd ed è reperibile sul sito www.jasonisbell.com Uno dei dischi dell’anno, con alcune ballate indimenticabili come Cigarettes and Wine, Streetlights a The Last Song I Ever Wrote. Per chi ama il suono sudista e stradaiolo dei Drive by Truckers e dei Black Crowes.

 Black Crowes: Before The Frost…Until The Freeze (2 Lp Red   Distribution 2009). Lo strepitoso doppio dei Corvi è uscito in cd (Before The Frost) con un codice per scaricare gratuitamente il secondo album (Until The Freeze). L’edizione in vinile colorato li comprende entrambi e molti la  preferiranno per questo. Sulla qualità del disco c’è poco da dire, è strepitoso. Molte tracce ricordano i tempi gloriosi della Band, da Appaloosa a Shine Along, ma non mancano nè i brani trascinanti come la controversa I Ain’t Hiding (ma il groove è irresistibile) e Been A Long Time, nè  slow da urlo come Last Place That Love Lives. Un doppio completo ed equilibrato, destinato a diventare un classico.

 Mike FarrisMike Farris: Shout! Live (2 Lp Ino/Columbia 2009). Il trascinante live di Farris, una miscela di gospel, soul e rhythm and blues entusiasmante (vedi LFTS n. 96), è reperibile sul sito www.mikefarrismusic.net in una splendida edizione in doppio vinile 180 gm. con copertina aperta, comprendente anche il cd, un poster autografato e inedite note di copertina ad un prezzo ragionevole. Il doppio album ha un brano in meno (Green Green Grass Of Home).   

 Graziano Romani: Zagor King Of Darkwood (2 Lp Coniglio Editore   2009). L’album del cantautore emiliano dedicato a Zagor è uscito in compact disc in edicola con copertina, disegni ed un fascicolo del disegnatore Gallieno Ferri con tavole inedite. Esiste anche una versione limitata in vinile reperibile sul sito www.coniglioeditore.it. Graziano è un grande appassionato di fumetti ed  ha dedicato questo album al celebre spirito con la scure, ottenendo un ottimo risultato. Brani scritti da Romani come Darkwood e la ballata Wilding’s Dream ed azzeccate covers dei tradizionali Molly Malone (con Andy White), The Willow Tree e On Top Of The Old Smoky (con Matthew Ryan) ricreano il mondo di Zagor e del suo amico Cico in modo accurato e molto gradevole per l’ascoltatore. Uno dei migliori dischi italiani dell’anno.             

Paolo Baiotti

Joe Bouchard

                                                             

Graziano RomaniBlack Crowes

Un eroe dei nostri giorni…

di Marco Tagliabue

1 febbraio 2010

Questo articolo è tratto dal sito web della Fondazione Premio Napoli e risale al 2008…

…sono passati quasi due anni e tante cose possono essere cambiate, ma spero ardentemente che Tattoo Records sia ancora al suo posto, a resistere sprezzante a tutte le intemperie con il suo fiero Nostromo sul ponte di comando…

…in ogni caso è una storia, forse di altri tempi, che merita di essere conosciuta e condivisa, perchè è grazie a quelli come Enzo che tante cose hanno ancora un senso…

 

 

 

TATTOO RECORDS
In direzione ostinata e contraria
 
 di Athos Zontini
 

Oggi Enzo ha un’aria triste, quando entro mi saluta senza sforzarsi di sorridere e mi racconta che un’ora fa sono passate in negozio tre ragazze di Avellino a prendere un’antologia di Murolo degli anni settanta, sei vinili piuttosto rari che aveva in negozio ancora nuovi. Mi devi credere, insiste Enzo, non avranno avuto più di vent’anni, le gambe più dritte che abbia mai visto.
Mentre rimpiango di non essere arrivato un’ora prima, mi dice che queste tre lo hanno appena richiamato. Sono state scippate, gli hanno preso anche una delle buste con i dischi, speravano ne avesse altre copie. Enzo non se ne fa capace, tre ragazze come quelle che invece di andare a spendere soldi per negozi a via Roma sono venute in treno da Avellino a comprare dischi d’epoca. Con tanti imbecilli che camminano in mezzo alla strada potevano scippare qualcun altro.

Prima di vendere dischi Enzo Pone faceva il ferroviere a Milano. Per anni ha gestito gli scambi dei binari con un registratore in tasca e le cuffie all’orecchie, ne parla come una malattia della musica mentre lo immagino che cammina sulle rotaie ascoltando Coltraine e guardandosi intorno vede la vita di un altro.
All’inizio degli anni ottanta ha lasciato tutto e se n’è tornato a vivere a Napoli. La musica era l’unica cosa a cui andava dietro da sempre ma non lo sapeva bene neanche lui cosa avrebbe fatto per vivere, finché dopo qualche mese ha visto un locale all’angolo di piazzetta Nilo col cartello “cedesi” sulle saracinesche, un posto ideale per un negozio di dischi.

Tattoo Records ha aperto nell’82. Quando gli ho chiesto perché lo ha chiamato così, Enzo ha accennato a un negozio di New York, pieno di picture disc appesi alle pareti, dove una ragazza lo ha portato una sera. I disegni sulle facciate dei vinili sembravano tatuaggi, ha detto senza dargli troppa importanza.
Tattoo è stato il primo negozio a Napoli di dischi d’importazione. Enzo si rivolgeva a dei piccoli distributori indipendenti, come l’IRD, che facevano ricerca in tutto il mondo e riuscivano a procurargli titoli ignorati dai cataloghi dei grossi importatori italiani. I dischi se li faceva mandare da Milano, a spese sue, con un corriere espresso che consegnava in ventiquattr’ore. Anche due, tre volte alla settimana. Lo stesso ricambio di una salumeria. I giorni di consegna, ricorda, c’erano ragazzi ad aspettare fuori al negozio l’arrivo del camion per aprire i pacchi insieme a lui e sentire subito cos’era arrivato di nuovo. Erano gli anni ottanta, c’era ancora fame di musica.

Tattoo andava così bene che nel ‘91 Enzo ha aperto un altro negozio a piazza Bellini, dove adesso c’è il caffè arabo. “Il sole anche di notte” faceva orario continuato dalla mattina fino a notte tardi, sette giorni su sette, anche di domenica. L’idea era di arrivare a tenerlo sempre aperto, un negozio di dischi dove poter andare dopo cena o all’alba, che non chiudesse mai.
A farlo fallire dice che è stata la guerra del golfo. Quando è scoppiata la gente ha smesso di uscire. Fino all’anno prima a Napoli c’era più vita di notte che di giorno, poi all’improvviso stavano tutti davanti alla televisione.

Nel giro di pochi anni le cose hanno cominciato a mettersi male per tutti i piccoli negozi di dischi, si vendeva sempre meno, anche Tattoo era sull’orlo del fallimento. Enzo è riuscito a tenerlo aperto anche in perdita solo grazie ad un’altra attività che aveva cominciato da poco. Dall’89 al 94 ha organizzato la maggior parte dei concerti jazz in Campania, portando per la prima volta a Napoli Charlie Haden, John Abercrombie, Paul Motian, Joe Lovano, Bill Frisell, Cassandra Wilson e molti altri. Per guadagnarci era costretto a comprare quattro, cinque date alla volta. Prenderne solo una sarebbe stato antieconomico. La maggior parte dei concerti venivano fissati tra Milano e Bologna e già pagando il viaggio ai musicisti fino a Napoli non rientrava nelle spese, dopodichè c’erano vitto e alloggio per il gruppo, trasporto e scarico materiali, tutto a spese sue fino all’attacchinaggio dei manifesti che si faceva da solo. Di quegli anni si ricorda quanto dormiva poco, tutto il giorno al negozio e la notte avanti e indietro in autostrada su un furgone.

L’unica cosa che mi importa, ripete spesso Enzo, è che Tattoo resti aperto. Da quasi trent’anni passa più tempo lì dentro che a casa sua, e non per modo di dire, fa orario continuato dalla mattina alle otto di sera, compresa la domenica fino a ora di pranzo. Da quando lo conosco questo posto è sempre lo stesso, la musica alta tutto il giorno, scatole a terra da aprire, dappertutto dischi ancora da sistemare negli scaffali e fogli sparsi sul bancone dove segna gli ordini dei clienti con una grafia illeggibile.

Negli ultimi anni quasi tutti i piccoli negozi di dischi hanno dovuto chiudere o si sono trasformati in qualcos’altro, costretti dalla famigerata crisi delle vendite ma soprattutto dalla presenza troppo ingombrante dei megastore, che tra Vomero e Chiaia sembra si siano spartiti definitivamente la città. Tattoo è uno degli ultimi sopravvissuti, continua ad andare ostinatamente per la sua strada con una politica irriverente, a cominciare dal costo dei dischi.
Per tenere i prezzi sempre più bassi possibile, anche sulle nuove uscite, Enzo compra dalle major solo nei mesi di promozione, quando dal catalogo vengono messi in offerta gli album che stentano a vendere. Ne prende due, tremila copie alla volta, così gli durano tutto l’anno sempre a dieci euro e novanta. I dischi che ancora vendono bene e non vanno mai in promozione si rifiuta di prenderli, tanto per fare un esempio da lui non si trovano i Genesis. La stessa cosa vale anche per il vinile. Oltre all’usato, che si fa arrivare da mezzo mondo in condizioni perfette, da un po’ di tempo sta anche comprando in America edizioni nuove di vecchi album, appena ristampati, che gli costano un terzo di quanto li pagherebbe in Italia.

Ma non è per questo, almeno non solo, che Tattoo riesce a resistere, a rimanere ancora aperto. A fare la differenza è il modo in cui Enzo fa il suo mestiere. Oltre ad avere una cultura musicale raffinata e vastissima, passa ore a parlare di musica e far sentire dischi ai clienti. Da lui si trovano rarità come vinili di Ida Cox degli anni trenta, album fuori produzione come Mistery Lady di Etta James che reinterpreta Billy Holiday o Famous Blue Raincoat di Jennifer Warnes, cover di Leonard Cohen arrangiate dallo stesso Cohen, fino a roba d’importazione che difficilmente si vede in Italia, come Lagrimas Negras di Bebo Valdés e Diego “el cigala” o El Carretero di Guillermo Portabales, un disco di salsa campesina, la salsa malinconica dei montanari, tutto suonato con una chitarra preparata che sembra un sitar.

Anche oggi come al solito sono uscito da Tattoo con molti più dischi di quanti me ne posso permettere. C’era una copia ancora nuova di Anidride solforosa di Dalla che cercavo di ritrovare da anni, If I Could Only Remember my Name di David Crosby, non si sa come solo a otto euro visto che lo hanno appena ristampato, Gospel Train di Sister Rosetta Harp, A Woman Alone with the Blues di Maria Muldaur e Le Nuvole di De Andrè, tutti a prezzo speciale, i soliti dieci euro e novanta. Le Nuvole è un disco che avevo e che ho perso, tornato a casa è il primo che ho riascoltato. C’è una citazione nel libretto che non ricordavo più. Mi ha fatto pensare a Enzo e al suo negozio di dischi, alla sua resistenza appassionata. È una frase di Samuel Bellamy, pirata delle Antille del XIII secolo, che dice “…io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo quanto colui che ha cento navi in mare”.