Archivio di agosto 2015

From Sweden With Love…/2

di Dario Blek Medves

8 agosto 2015

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PETER BLACHLEY
Nevada Sky

Gradevoli esplosioni si verificano già con le prime note di Big Old Train dichiarando gli intenti, che con i seguenti brani, sono altamente mantenuti. Un altro CD con cui trascorrere e correre questa estate che sa di nuovi asfalti e di nuove sabbie. Una colonna sonora per chi è sempre alla ricerca di quelle venature ruggini e soffici per ingrandire il mansueto epigono della leggenda. Non solo nel cruscotto, ma davvero impossibile trovarne un’altra ubicazione. Il nostro autore con tante primavere sulle frange è coadiuvato da musicisti adatti e non semplici passanti. Ne giova il prodotto finale che sa di verità dimenticate e di campi arati, di rotaie erbose e di notti piovose. Insomma un album come non ascoltavo da tempo, incatramato come sono nei vinili ben difficile mi è l’attualità. Ma basta poco, basta solo la scusa di prendere l’autovettura e andarsene per colline e highway della bassa per far scaturire il cielo del Nevada nostrano. Riaffiorano dalle nostre memorie le migliori avventure che ci videro arditi e stupidi, ma anche eroici e spensierati, quando questa musica era il nostro ossigeno. PB riuscendoci benissimo ha lanciato un sasso e lascia la mano li, per far capire che questa musica è ancora viva e vegeta, e che ha ancora molte cartucce da sparare. Andrebbero citati titoli e suonatori, ma che senso avrebbe. Quando gira il CD noi siamo come avvolti dalle campagne del sud, dai boschi del nord, dalle lande del est e dal sole del ovest, un disco cardinale che non ci farà perdere la giusta direzione. Rock stradale, romantico, solarizzato e impregnato di buone vibrazioni. Valori estivi adatti alle vite mai dismesse. Un CD eccellente.

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RICHIE LAWRANCE
Rue Sanxay
Big Book Rec.

Con questo CD si vola restando seduti. L’antipodo di questo suono è quello degli aerei, ove seduti si vola ma a caro prezzo, sia per il coccige, sia per il bruciore degli occhi e della vescica nervosa. La differenza di percepire lo stato di grazia di questo CD deriva dalle nostre esperienze quando ci dobbiamo spostare per ragioni che danno fastidio solo a nominarle. Ecco allora la cura. La musica di questo disco risana le adiacenze doverose che sopportiamo, e che nulla ci donano. Chi sia RL non ne ho la minima idea, ennesimo loner della bassa California, che suona la fisarmonica e assieme a una voce dolcissima, Katie Thomas, dona all’umanità un miracolo di grande valore. Folk senza screpolature che rinasce dalle cenerei dei grandi gruppi inglesi dei ‘60 e zone limitrofe. Facile tirare in ballo Vashty Bunyan o Sandy Denny. Ma il risultato nei nostri cortili diviene questo. Armonie killer, calma oppiacea, colori trasparenti e credetemi noia molto ma molto lontana. Un CD esemplare da ascoltare quando siamo veramente soli, quando siamo disposti a crollare davanti alle meraviglie degli scaffali che nessuno può toccare. Ci sono gli strumenti classici dell’acustico paradisiaco, ma aggiungo anche un fatato trombone, Wayne Wallace, e una pedal steel, Pete Grant. La parte del lavoro è nelle dita del Lawrance, ma anche spalmata egregiamente tra i partecipanti a questa magica session. Boschivo e casalingo, rurale e rupestre, ma anche sublime ed etereo nelle sue nuances, che mai credevo di ascoltare ancora in questo secolo. Non si finisce mai di impazzire, ed è solo un CD. Dieci brani, dieci nuvole che escono da un cuore notevole e grandioso. Un must.

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BRIAN ASHLEY JONES
Out Of The City

Per quale ragione ascoltando suddetto CD sono trasvolato nelle spire astrali di un Greg Allman? Va da sé che ascoltandolo il Greg, non accade il contrario. Poi se aggiungiamo qualcosa di Wess McGee siamo a posto, con la benedizione di Commander Cody. Insomma, siamo nelle valli del western meglio speziato, solo che questo CD è fabbricato a Nashville e di mainstream non ha nulla. Si assaporano tante tinte di Sud e di svariati Ovest, ma alla fine sono i ricordi di altri grandi dischi che riaffiorano nelle nostre memorie, e avendone tante, di conseguenza intasano quello spirito spurio che dovrebbe avere il recensore. Basti ascoltare la title track per non ricordarsi del grande Chriss Gaffney. Ma simultaneamente anche la scoperta di un ennesimo ssw non sconvolge i piani di perseveranza alla causa. Un CD di grande effetto stradale, ma non ha solo questo, c’è anche molto soul e funk da impiegare nelle serate pseudo tex mex e zone limitrofe. Eppure non ci sono svolazzi inutili o altre sintesi nascoste che imitassero precedenti eroi. Ce solo l’anima del BAJ che si dipana in quell’universo che è il country rock attuale degli USA, ossia un misto di vari generei che passano attraverso la sensibilità dell’autore che, autoproducendosi, spera di divenire quello che si è già, ovvero un rocker americano che spera di fare tournee da noi per fare poscia, shopping e scofanarsi piatti tipici. Immagino che forse non è così per BAJ, ma vorrei tanto essere smentito. Di CD cosi ce ne sono piene le fosse, peccato che oramai le abbiano ricoperte. Sono sicuro che questo CD a qualcuno piacerà molto, anche a me certo, ma preferisco i vinili della nostra gioventù.

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JOEL RAFAEL
Baladista
Inside Rec.

Non sono di bocca buona. Questo CD si dimostra una sequenza di brani tutti monotoni e simili. Ascoltato più volte, non se ne esce felici. Eppure JR non è uno arrivato da poco. La calma interiore, forse solo fasulla, dimostra che la vita nella bassa California ha qualcosa che non è tutta quella bellezza che ci si immagina. Prendere questo lavoro dalla parte musicale è la cosa peggiore. Brani lenti soporiferi sonnolenti e anche noiosi. Eppure, troppi eppure in questo disco, ci sono bei manici, tipo le corde metalliche toccate da Greg Leisz e altri. Non convince l’assidua andatura della retorica border, tipo Bracero, con i suoi luoghi comuni. E poi se ci mettiamo anche il nervosismo che inghiotte l’ascoltatore, sia l’urbano che l’agreste, il risultato è minimo e aggiungo decadente. Non mediocre ma siamo li, peccato perché l’aspettativa di scoprire un nome di vaglia mi ha causato un lieve torpore alle valvole pelute, sorta di ara pagana dove devolvere il significato di un acquisto poco opportuno. La in quelle lande forse il ritmo della vita è segnato dalle sabbie e dalle palme, ma qui da noi, incastrati come siamo, a cosa serve calmarci con suoni che sanno di sdolcinata melassa? Aggiungo insipida. Una blanda soluzione per un folk che non è lo-fi e, per quanto ne so, nulla ha a che vedere con questo filone. Pezzi tipici di un suono che abbiamo lasciato alle spalle, a favore delle palle. Oggi è cosi, siamo sempre avidi ma anche spesso esperti assaggiatori di piatti sconosciuti e inutili per i nostri palati. Alla prossima Joel. Forse.

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MATT LAX
This House Of Mine

Scorre bene la voce desolante del languido ML, paladino inveterato della causa eterna, quella che vive nascosta dietro siepi sabbiose, dell’arido ovest. In qualche sgretolato saloon si ascoltano ancora questi fantasmi retti e diretti. Un arcobaleno di scintillante cordame e non certo di misero cascame. Le ballate della sera volano via dalle nostre gote carotine per lasciare poste alle secche lacrimucce della nostalgia, dovuta alle song che, pur restando confinate nel folk del border, fioriscono di un nuovo verde al momento della fruizione angolare. Appare come ospite pure Richie Lawrance, sinonimo di qualità, ma anche gli altri partecipanti non sono da meno per completare questo gioiellino acustico. Trionfanti intimismi autentici, basti cadere al cospetto di In This World per percepire il senso autentico di questo CD che durerà solo un’estate calda. Ma quanti dischi ci saranno al mondo di questo tipo? E quanti ancora suonano musica cosi? Che domande da ciula. Comunque si crolla, ci si dilegua di nascosto senza lasciare tracce per gli avidi inseguitori delle nostre follie, medicina imposta dalle plastiche nere del passato che ci hanno forgiato, e che qui si risolvono. Come se a farci da guardia ritornassero in nostri eroi, sì, proprio loro. Quelli che se fossero qui ancora oggi, avrebbero suonato un album cosi. Friabili angosture stagionali mi erodono, ma capita sempre che dalla California arrivino a noi i lavori di trobadour in cerca di dimore inspiratrici, che colà non sono certo difficili da trovare. Il risultato eccolo a portata di tasto, spero. Un CD evergreen per epoche ever marron. Consigliato?

THE SOURS – The Sours

di Paolo Crazy Carnevale

3 agosto 2015

sours

THE SOURS
The Sours
(Zoze Music 2013)

Un annetto fa circa, Sasha Markovich, chitarrista e produttore di New York aveva pubblicato un interessante disco in cui guidava un progetto che andava sotto la denominazione di Yagull, il disco, intitolato Films si era rivelato una piacevolissima scoperta. Ora, Markovich torna a colpire con qualcosa di assolutamente diverso ma altrettanto interessante. Anche qui si tratta di un progetto, a due stavolta, di cui il chitarrista condivide la paternità con la cantante Sarah Schrift sotto il nome di The Sours, che è anche il titolo della produzione.

Un progetto acustico, cantautorale, molto intimista. Undici brani che si consumano in poco più di mezz’ora, come i vecchi dischi di quando c’erano solo il lato A e il lato B, e c’era un ben definito perché le canzoni erano distribuite in quel modo.

Protagonista di The Sours è soprattutto la Schrift, con la sua voce duttile e le canzoni che portano tutte la sua firma, talvolta condivisa con Markovich, fatta eccezione per un paio di episodi in cui al duo si unisce, sia a suonare che a comporre il pianista Kana Kamitsubo. E Gnt, una delle due tracce col pianoforte è sicuramente tra quelle più riuscite del disco.

Parrebbero quasi dei demo, tanto sono essenziali queste canzoni, ma invece sono creature fatte e finite, con una loro struttura completa, solida e cantate in maniera definitiva. Nel background vocale della Schrift sembrano esserci tutte le grandi cantanti degli ultimi quarant’anni, echi di Joni Mitchell – ma è forse la meno evidente, anche se l’attacco di Angie sembra provenire da un disco della cantante canadese– fino a Norah Jones, passando per Rickie Lee Jones, la britannica Kate Bush, e addirittura in certe sfumature del blues pop Seawitch persino qualcosa dell’immensa Bonnie Bramlett. Il lavoro del partner è discreto, mai invasivo, capace – ad esempio nel brano appena citato – di inserire azzeccate parti soliste laddove ci si aspetterebbe solo la ritmica, e lo stesso accade nella già citata Angie e nell’altrettanto bella Survivalist. Le note di accompagnamento della casa discografica citano anche Nick Drake e Amy Winehouse tra le fonti di possibile ispirazione, speriamo non sia così vista la fine prematura di entrambi; meglio la definizione del “Milwaukee Express” che parlando del mood del disco dice che è da tre del mattino.

Sarah Schrift oltre che cantautrice è anche pittrice e i due uccelli in copertina sono opera sua.

GIULIO REDAELLI – Aquiloni

di Ronald Stancanelli

1 agosto 2015

REDAELLI

GIULIO REDAELLI
Aquiloni
Fingerpicking-Net CD0057 2014

Breve ma intenso cd di Giulio Redaelli giunto a questo punto della sua carriera alla quarta opera.
Otto eccellenti brani, di cui cinque a sua firma, raggiungono a stento la mezz’ora ma la profondità di questo lavoro è tale che ci si può anche accontentare di questa spartana durata.
Giulio alla chitarra fingerstyle ancora una volta evidenzia la sua bravura allo strumento che avevamo avuto modo di commentare positivamente in suoi lavori precedenti e il punto di partenza ovvero Aquiloni si staglia nell’universo che sta a mezza via tra Leo Kottke e l’amico Beppe Gambetta. Sorvolo Blues gioca sul particolare fingerstyle del musicista con pure impennate di fingerpicking mentre pregna di pathos la cover di William Ackerman, premio Grammy per la New Age, The Impending Death of the Virgin Spirit. Scilliar e Scilla e Andrea sono entrambi brani a sua firma e il primo sembra uscito dalla vecchie pagine degli Yes, gli Yes dei tempi gloriosi, prima che cambiassero cantante diventando solo l’ombra di quello che erano e divenire una sorta di cover band; ben fatto che Wakeman abbia detto che senza Anderson per lui il tempo degli Yes sia definitivamente finito. Bella la ripresa di Immagine di Lennon conclusa con l’affascinante voce di Elisabetta Cois che canta in modo mirabile anche il brano conclusivo del cd Down by the Salley Gardens, da una poesia di William Butler Yeats. Brano splendido che da solo merita l’acquisto del cd. Nel disco suona il polistrumentista Socrate Verona che da anni accompagna Redaelli sia in spettacoli dal vivo che nelle sale di registrazione. Quarto artista impegnato è Marco Battistini al piano. Tutti gli arrangiamenti sono a cura di Redaelli e anche se non è dato sapere dalel note di chi sia la produzione siam quasi sicuri che anche questa sia da lui curata. Eccellente disco questo aquiloni assolutamente da non sottovalutare e se non conoscete questo artista potete rimediare sia cercando il cd che vi delizierà oltre misura che andando acuriosare su www.giulioredaelli.com

Giulio Redaelli ha incominciato lo studio del fingerpickin in quel di Lecco al Crams ispirato appunto da Leo Kottke, William Ackerman e Peter Lang, ricordo di quest’ultimo gli splendidi The Things at the Nursery Room Window e Lygurgus usciti nel 1973 1975.
Allievo anche di Maurizio Angeletti, da tempo aspettiamo la ristampa su cd del suo ragguardevole album omonimo del 1980, ha come dicevamo al suo attivo altri tre lavori, Blue-Eyed Ducking, Four Guitars Clan e Connemara tutti di eccellente livello ma passateci una predilezione per Connemara album da non poter non avere nella propria discoteca.
La sua passione musicale si estrinseca in partecipazioni a svariate manifestazioni musicali e a presenze e candidature in più concorsi oltre che essere insegnante di fingerpicking e far parte della prestigiosa associazione chitarristica Wine & Guitar Clan.

Un eccellente rapido penetrante lavoro di un grande artista che oggi gennaio 2014 con l’uscita di questo album celebra la sua più matura opera..