Gli Smiths e Carlo Marx
di Marco Tagliabue
24 maggio 2013
“Questi sono giorni in cui è necessario essere irragionevoli” (Malcolm Eden, da un’intervista al NME, dicembre 1987).
Nell’Inghilterra thatcheriana dei mid-eighties, dove appare ragionevole tutto ciò che, in qualche modo, risulta allineato al sistema, un gruppo come i Mc Carthy deve senz’altro sembrare quantomeno irragionevole.
Quando il Signore ti dona l’estro per scrivere delle perfette pop-songs, per creare melodie che ti si attaccano alla pelle e non se ne vanno più via, e per vestirle di suoni via via più sofisticati ed accattivanti, devi essere per forza un pazzo per annegare tutto questo ben di Dio con intere secchiate di vetriolo: testi ultra militanti (e non certo nella direzione più…ragionevole), atteggiamenti che definire sconvenienti è puro eufemismo.
“Non saremo mai delle stars, per ciò che cantiamo” (Tim Gane, da un’intervista a Rockerilla, giugno 1988).
E devi essere ancora più pazzo se ne sei perfettamente conscio, mentre assisti, dall’alto del tuo orgoglioso anonimato, al successo di tante bands più o meno esordienti che, per loro stessa ammissione, ti pagano un forte tributo a livello di influenze ispirative, ma tant’è…
Con una copia di The Queen Is Dead sotto un braccio ed una del Capitale sotto l’altro: così amiamo ricordare i Mc Carthy e, soprattutto, per un pugno di meriti che vanno oltre il fattore in ogni modo capitale di aver dato albergo, nelle riverite persone di Tim Gane e Laetitia Sadier, al nucleo fondatore dei celebratissimi Stereolab. Desideriamo soffermarci soltanto sui tre album che ci ha lasciato il gruppo: tre opere, lo diciamo subito, che non hanno cambiato nessuna storia, non hanno impresso alcuna svolta…ma che conservano, assieme ad una freschezza immutata a quindici anni di distanza, il modello di un songwriting limpido e geniale in seguito raccolto da decine di indegni epigoni, e, una volta tanto, sia celebrata la semplicità!
Anche questa storia, come tante altre, comincia sui banchi di scuola, sotto i benefici effetti di una urgenza espressiva figlia del suo tempo e di prolungati ascolti di Sex Pistols, Clash, Buzzcocks, Siouxie and the Banshees, che impone di misurarsi con la forma canzone ancora prima di acquisire la necessaria tecnica strumentale e compositiva.
Dopo un 45’ di prova (In Purgatory, 1985, stampato in 500 copie e successivamente ripreso con un diverso arrangiamento), arrivano le prime pubblicazioni ufficiali con i singoli Red Sleeping Beauty (1986) e Frans Hals (1987), nonché, finalmente, l’album d’esordio I’m A Wallet (1987), che ottiene qualche timido consenso sull’onda, è quasi inutile dirlo, della programmazione radiofonica di Mr. John Peel.
Il disco raccoglie quattordici confetti della durata media di un paio di minuti, dimostrando, quantomeno in questa attitudine alla concisione, il giusto debito di riconoscenza verso i padri putativi. Sono brani in apparenza gentili, vestiti di scarne trame chitarristiche fatte di pochi calibrati accordi: basta scorrere un attimo i testi, però, per soffocare nella pressione degli attacchi alla religione di God Made The Virus o di quelli, non meno oltraggiosi, al governo della lady di ferro di In The Dark Times, e sono solo due episodi citati a caso…
Dopo un nuovo, controverso, singolo dall’irriverente titolo di Should The Bible Be Banned? (1989), vede finalmente la luce il secondo album della formazione.
Opera senz’altro più matura e sofisticata rispetto alle uscite precedenti, The Enraged Will Inherit The Earth (1989) supera d’un balzo lo spirito un po’ spartano di I’m A Wallet nella direzione di una produzione sicuramente più pesante, di una dilatazione degli spazi e di una più accurata ricerca strumentale nella ormai consolidata matrice di un collaudato pop-rock di impronta chitarristica.
In certi momenti (Keep An Open Mind Or Else, ad esempio) il richiamo agli Housemartins, band dalle caratteristiche e dal destino incredibilmente paralleli a quelli dei nostri, è francamente imbarazzante, ma sono, appunto, momenti, piccoli tasselli di un disegno certamente superiore. L’onore della citazione spetta comunque a furor di popolo all’iniziale Boys Meet Girls So What, quintessenza della perfetta pop-song e vertice insuperato nella produzione dei Mc Carthy.
L’entrata in pianta stabile nella formazione di Laetitia Sadier, fino a quel momento presenza discreta orbitante intorno al gruppo dopo il contatto ad un concerto parigino di qualche anno prima, saluta, nel 1990, la pubblicazione del terzo ed ultimo album dei Mc Carthy Banking, Violence And The Inner Life Of Today.
Un testamento senza dubbio prematuro ma di eccezionale livello. Pur senza vantare picchi di inusitata bellezza quale fu Boys Meet Girls So What nell’economia del lavoro precedente (anche se l’iniziale I’m On The Side Of Mankind As Much As The Next Man è appena un gradino più sotto), l’album gode di una maggiore omogeneità di fondo e si segnala, da un punto di vista prettamente strumentale, per le ripetute incursioni delle tastiere di Tim Gane, che formano quel caratteristico tappeto sonoro ipnotico e seducente che diverrà un marchio di fabbrica nel suono degli Stereolab: se poi al tutto si aggiungono le partiture vocali di Laetitia, che debuttano in alcuni episodi del lavoro, il gioco è praticamente fatto!
Ma sarà comunque tutto inutile: anche questa volta le vendite non decolleranno nella maniera auspicata e, nell’indifferenza generale, Malcolm Eden dichiarerà ufficialmente chiusa l’esperienza del gruppo innescando, senza averne coscienza, il micidiale ordigno esplosivo degli Stereolab.
da LFTS N.58