Archivio di gennaio 2023

DAVID MASSEY – Darkness At Dawn

di Paolo Baiotti

27 gennaio 2023

R-25745431-1673540717-4196

DAVID MASSEY
DARKNESS AT DAWN
Poetic Debris 2022

Impegnato nell’attività di avvocato fino al 2017 a Washington D.C., David ha lasciato un importante studio legale per dedicarsi negli anni della maturità alla musica, sua grande passione che prima lo occupava nel tempo libero. Il suo esordio risale al 2004 con Blissful Of Blue, seguito da altri tre album e dall’ep Island Creek del 2021. Anche Darkness At Dawn è un mini-album di sette canzoni per complessivi 25’ registrato con i consueti collaboratori Jay Byrd alla chitarra e mandolino (a sua volta cantautore solista), Jom Robeson al basso e alla produzione, Eric Selby alla batteria e Bill Starks alle tastiere.
Le coordinate sonore all’interno delle quali si muove Massey sono quelle dei dischi precedenti: un rock delle radici con influenze folk e pop, mosso e disinvolto, come nella briosa Watch Your Back in Hell, percorsa dal vibrante violino di Ron Stewart, nel mid-tempo Darkness At Dawn in cui la voce ricorda Willie Nile, nella melodica Nothing che sicuramente risente dell’influenza di Tom Petty nella scrittura e nel modo di cantare nonché nella ritmata Party Of Lies molto vicina alle sonorità chitarristiche dei Dire Straits. Anche sul versante delle ballate David ha una scrittura e un’interpretazione più che dignitosa; ne sono esempi significativi l’elettroacustica Players, il country From God We Come e l’intima e malinconica Daddy’s Wedding Dance con il violoncello di Kristen Jones in cui viene inserita una citazione del Canone di Pachelbel.

Paolo Baiotti

COURTNEY HALE REVIA – Growing Pains

di Paolo Baiotti

25 gennaio 2023

GrowingPains-Hi-Res-cover

COURTNEY HALE REVIA
GROWINGS PAINS
Autoprodotto 2022

Cantautrice del sud est del Texas, ha esordito nel 2015 con Simple Things seguito nel 2018 da Tattered e dal recente Growing Pains. Figlia del musicista e autore James T. Hale morto nel 2021 a causa del Covid, al quale è dedicato il disco, riesce a mixare country, alternative rock, folk e Americana con un certo gusto e buone capacità compositive e interpretative. Dopo avere aperto per artisti come Cindy Cashdollar e Bob Schneider, ha iniziato ad ospitare “house concerts” nel 2018, facendo diventare questa attività la sua professione in un luogo che ha preso il nome di 7 Oaks Event Garden LLC.
Contemporaneamente ha prodotto e registrato a Houston e Port Neches questo disco in cui è affiancata principalmente da Cody Edridge (chitarra solista), Walter Cross (batteria), Ellen Melissa Story (violino) Zachary Edd (basso) e Southpaw Smitty (mandolino).
La traccia d’apertura One Way Out, un rock melodico e un pizzico malinconico, è ispirato dalla sua vita che si è svolta quasi esclusivamente nella cittadina di 7 Oaks. Segue la title track, una ballata rootsy già scritta nel 2018, ma non inserita nell’album precedente, in cui si apprezzano il lavoro di Edridge e il modo di cantare disteso e rilassato di Courtney. Se Lavender Cowgirl è un valzer country d’impronta texana, They’ve Poisoned The Well è una ballata caratterizzata dall’inserimento del violino e del mandolino, mentre Cutting Lines è una traccia più mossa sempre con il violino in primo piano, strumento protagonista anche dell’introduzione del country melodico Rainbow At Night che cresce ritmicamente in modo convincente, preceduto dalla briosa e divertente Coffee Beans.
In chiusura Bloom Where You Are, scritta dal padre e registrata dal vivo nel locale sopra citato, è un doveroso omaggio eseguito con malinconia e rispetto.

Paolo Baiotti

TIP JAR – Songs About Love And Life On The Hippie Side Of The Country

di Paolo Baiotti

25 gennaio 2023

Tip-Jar-Songs-about-love-and-life-on-the-hippie-side-of-country

TIP JAR
SONGS ABOUT LOVE AND LIFE ON THE HIPPIE SIDE OF COUNTRY
Shine a Light 2022

Abbiamo scritto sui Tip Jar nel 2021 in occasione del loro quinto album One Lifetime, registrato e pubblicato durante la pandemia. Si tratta di una band nata per iniziativa di una coppia olandese formata da Bart de Win e Arianne Knegt, che opera in ambito roots rock melodico con influenze pop e jazz. Dopo avere scoperto quanto naturalmente si fondevano le loro voci, hanno registrato un paio di duetti per un album di Bart e hanno deciso di proseguire su questa strada. De Win ha studiato piano-jazz e voce al conservatorio di Rotterdam dove attualmente insegna, ma ha sempre amato l’Americana inserendo elementi jazz e blues. Ha collaborato con artisti come l’olandese Gerard Van Maasakkers e la cantante greca Maria Markesini. Arianne è stata cantante solista di Marylou & The Good Old Boys, band di country e rockabilly e poi di The Simple Life tra il 2009 e il 2013.
Prodotto e registrato in parte ad Eindhoven da Eric Van De Lest che suona la batteria in alcune tracce e in parte ad Austin con la produzione di Ron Flynt e con la partecipazione alla voce e chitarra dell’amico cantautore Walt Wilkins, Songs About Love And Life è aperto dalla mossa Out Of The Blue in cui Bart suona le tastiere (piano e organo B3) e affianca come seconda voce Arianne, seguita dalla melodica e corale Garden Party in cui si nota l’affascinante presenza del violino di Joost Van Es. Never Saw It Coming ha un’atmosfera morbida e avvolgente, mentre Creaking of the Stairs è un intimo duetto tra le due voci con l’accompagnamento di piano e fisarmonica da parte di Bart. In un disco che rispecchia il titolo, confezionato con una dozzina di canzoni semplici e orecchiabili sulla vita e sull’amore, meritano una segnalazione anche la brillante Plough, la jazzata Love And Understanding, la malinconica Wondering Why, la ballata country Strong Enough e il mid-tempo rock Big Family posto in chiusura.

Paolo Baiotti

MICHAEL VEITCH – Wachtraum

di Paolo Baiotti

15 gennaio 2023

veitch

MICHAEL VEITCH
WACHTRAUM
Burt Street 2022

Il primo approccio di Michael con la musica è stato attraverso i canti gregoriani da bambino e il rock and roll da adolescente, attingendo alla collezione del fratello maggiore di singoli degli anni ’50. Poi sono arrivati i Beatles. A 23 anni ha preso lezioni di canto con un insegnante che aveva lavorato con Frank Sinatra e gli Aerosmith. Parallelamente è cresciuta la passione per l’ambientalismo, si è occupato di fotografia e di arte figurativa e si impegnato in politica collaborando con candidati progressisti del Vermont fino al ’94 quando ha partecipato alla corsa per il Senato come candidato dell’area di Bernie Saunders. Non è stato eletto e ha pensato di ripartire più seriamente con la musica, aiutato da Shawn Colvin, sempre cercando di conciliare questa passione con un messaggio pacifista e ambientalista. Ha vissuto in Germania, quindi nel ’99 si è stabilito a Woodstock dove risiede tuttora. La sua canzone più conosciuta è Veteran’s Day, composta nel 2011 e ripresa da Judy Collins.
Wachtraum, registrato nel corso di parecchi anni tra Monaco e Bearsville, si può considerare il lavoro più studiato, attento e appassionato del suo percorso, con canzoni di buon livello incentrate sullo svilupppo del calendario annuale a partire da First Day e arrangiamenti adeguati. Michael ha una voce naturalmente melodica, che si adatta alla perfezione a ballate folk elettroacustiche come il primo singolo Valentine’s Day, ovviamente collegato a febbraio o Moving Day in cui fa capolino l’armonica di Gary Schriener, ma anche a tracce più energiche come April Fools influenzata dal country-rock californiano o Sunday Afternoons. Nella sofferta Happy Fourth Of July, il brano più politico del disco, siamo in ambito roots-rock con la slide di Dan Whitley, mentre la sognante August Nights evoca il suono dei Beach Boys e la romantica ballata Always Vermont ha come tema inevitabile l’autunno, stagione ideale per il suo Stato. Da segnalare ancora One Wish, duetto con l’eterea cantante Kirsti Gholsen che chiude il disco, un’ottimistica canzone natalizia scritta con Julie Last, cantautrice e ingegnere del suono che in passato ha collaborato con Joni Mitchell e Rickie Lee Jones e che ha registrato e mixato l’album.

Paolo Baiotti

SKINNY DICK – Palace Waiting

di Paolo Baiotti

11 gennaio 2023

skinny

SKINNY DYCK
PALACE WAITING
Sound Asleep 2022

Cantautore canadese di Lethbridge nello stato dell’Alberta, Skinny ha le radici nella musica country degli anni ’60, con un suono che accoppia una chitarra twangy con arrangiamenti piuttosto minimali. Palace Waiting è il suo nuovo EP a due anni dall’album Get To Know Lonesome del 2020, comprendente otto brani tutti autografi ad eccezione di una briosa ripresa di Be a Little Quieter di Porter Wagoner. Registrato in parte nella sua città e in parte in Texas nei Fort Horton Studios con la produzione di Billy Horton (Charley Crockett) conferma le sue scelte musicali tra retro-country, western swing e country-folk più austero.
L’immagine di Skinny è più da camionista con il cappellino da baseball che da cantante country, ma la voce è perfetta per questo genere musicale, solida e profonda come si può evincere dalla melodica Hey Who’s Counting? che apre il dischetto. Se Cutting Off All Ties è una ballata malinconica di impronta tradizionale come Ripe There On The Vine, Jackson Hole incrocia country e pop mentre In On The Upswing (accompaganata da un video delizioso) alterna una pedal steel incantevole e una chitarra twangy con un pizzico di malinconia. Tv Blue, uscita anche come singolo insieme al brano precedente, ha una melodia accattivante che non se ne vuole andare, No Power Over Me che chiude il mini-album come bonus track sembra uscire da un archivio dei sixties, con un briciolo di modernità.
Con Palace Waiting questo cantautore si dimostre abile sia vocalmente che come chitarrista, con la consapevolezza di offrire un repertorio fortemente ancorato al glorioso passato di un genere che anche in Canada è ancora molto popolare.

Paolo Baiotti

REUTER MOTZER GROHOWSKY – Bleed

di Paolo Crazy Carnevale

11 gennaio 2023

cover reuter

Reuter Motzer Grohowski – Bleed (Moonjune Records 2022)

Confesso che quando trovo il nome di Markus Reuter sulla copertina di un disco parto un po’ prevenuto, sarà perché lo considero un vero e proprio prezzemolo, ho perso il conto di quante volte negli ultimi due /tre anni mi sia imbattuto nell’artista tedesco scorrendo le note dei dischi pubblicati dalla Moonjune, tra presenze da titolare e da comprimario direi una decina abbondante. E non mi piace troppo quella sua particolare chitarra, d’altra parte ognuno ha i suoi gusti e se non piace a me non è detto che non debba piacere a nessuno.

Dirò anche che in alcune situazioni dove non è titolare a tutto tondo (pensiamo agli Stickmen di Tony Levin) il suo contributo è apprezzabile, come tutto sommato lo è anche in parte questa recente uscita condivisa con il chitarrista Tim Motzer ed il batterista Kenny Grohowski, che però a lungo andare sembra non andare in alcuna direzione. I due jazzisti americani con Reuter avevano già condiviso un live nel 2020 e senza di lui fanno parte di un altro progetto legata alla medesima label, PAKT, protagonista di un paio di lavori usciti nei mesi della pandemia; Grohowski vanta una militanza in ambito jazz rock con vari gruppi, tra i quali i Brand X.

Il nuovo lavoro segue un po’ il filo conduttore della musica totale e senza barriere che scaturisce quando i tre musicisti si scatenano lanciandosi in interminabili e spaziali improvvisazioni, in questo caso catturate da Scott Petito negli studi NRS, sulle Catskill Mountains, nel nord dello stato di New York, da sempre buen retiro per musicisti in cerca d’ispirazione e intimità.

Otto in tutto le tracce incise nel corso di circa sei ore di quello che potremmo definire autentico brainstorming musicale, con i tre seduti uno di fronte all’altro con batteria e chitarre e poi, una volta terminata questa prima fase, ogni brano è stato arricchito da inserti di tastiere ( tutte suonate dal trio) che vanno dal piano Rhodes all’Hammond B3 al Mellotron, dando vita a excursus d’impronta chitarristica come in Causatum, ad autentiche e proprie suite che si dipanano come matasse creando varietà di suoni (pensiamo al quasi quarto d’ora di Monolith), a brani più cupi (Oracle Chamber e Impenetrable) o ripetitivi (la conclusiva Externalities In The Truest Universality).

Paolo Crazy Carnevale

STEPHAN THELEN – Fractal Guitar 2 Remixes/Fractal Guitar 3

di Paolo Crazy Carnevale

8 gennaio 2023

cover thelen

Stephan Thelen – Fractal Guitar 2 Remixes (Moonjune Records 2022)
Stephan Thelen – Fractal Guitar 3 (Moonjune Records 2022)

Dopo l’uscita del primo Fractal Guitar, probabilmente nessuno avrebbe potuto prevedere la serialità del progetto che negli ultimi due anni ha aggiunto ben tre nuovi volumi alla discografia del chitarrista e matematico californiano Stephan Thelen (da tempo di base in Svizzera).

Nel 2021 era arrivato il secondo volume e a meno di un anno di distanza una versione rielaborata del medesimo disco. Fractal Guitar 2 Remixes è stato pubblicato nei primi mesi dello scorso anno e mette sul piatto una serie di mix differenti dei brani assemblati da Thelen con l’aiuto di un titolato stuolo di colleghi che hanno dato la loro versione delle composizioni, in cui essi stessi suonavano o a cui si sono aggiunti in un secondo tempo.

Il disco risulta estremamente interessante perché ci dà l’opportunità di ascoltare lo space-rock (ma la definizione è assolutamente rivedibile) di Thelen filtrato attraverso differenti sensibilità musicali. Prendiamo ad esempio Point Of Inflection, nella cui versione originale suonava Barry Cleveland (veterano delle produzioni della label): la composizione nel Fractal Guitar 2 Remixes viene ripescata per ben tre volte, di cui la prima con un remix del titolare, la seconda con il punto d’ascolto del chitarrista David Torn (presente nell’incisione originale) e la terza ad opera del bassista Bill Laswell che invece nell’originale Fractal Guitar 2 non c’era, ma qui si è aggiunto con basso e diavolerie elettroniche, curioso che la sua versione sia indicata non come mix o remix, bensì come translation, come se si volesse puntare il dito sul fatto che il musicista dell’Illinois l’ha letteralmente tradotta secondo i propri canoni artistici.

Analogamente accade a Ladder To Stars, che ospita tra gli altri l’eclettica chitarra di Henry Kaiser e nella nuova veste adotta il basso e la “traduzione” dell’artista britannico Jah Wobble, dai trascorsi post-punk nei Public Image Ltd. di Johnny Lydon (ex Rotten).

Per Celestial Navigation è Thelen stesso a riprendere in mano il brano, mentre per Mercury Transit viene chiamato in causa di nuovo Barry Cleveland.

Per il terzo capitolo di Fractal Guitar, Thelen si fa accompagnare per lo più dagli stessi artisti di base che figuravano nel parterre dei dischi precedenti, dal batterista svizzero Manuel Pasquinelli a Mark Reuter con la sua touch guitar, al percussionista Andy Pupato, al tastierista Fabio Anile: a costoro si aggiunge uno stuolo di chitarristi, un po’ come era accaduto per le altre produzioni. Ci sono i meno noti Stephan Hut, il norvegese Eivind Aarset, Jon Durant, Bill Walker, in pratica un po’ meno superstar del genere e dello strumento, ma il risultato non cambia, e c’è il titolato Barry Cleveland che qui si occupa però di effettistica senza la sei corde. Il disco si sviluppa attraverso cinque composizioni su cui troneggia l’iniziale e chilometrica Through The Stargate il cui titolo descrive alla perfezione la sensazione suscitata dal brano, quella di effettuare un viaggio spaziale attraverso una porta che conduce in un’altra dimensione o in un altro universo, Thelen e Anile, con synth, tastiere varie e effetti stendono il tappetto di oltre un quarto d’ora su cui si sviluppano gli interventi delle varie chitarre effettate. Il tema della successiva Morning Star sembra essere figlio del brano precedente, ci sono meno musicisti coinvolti (quattro comunque le chitarre, oltre alla batteria di Pasquinelli).

Più nervoso il tema di Glitch con le cinque chitarre accompagnate dal basso di Tim Harries (già con Brian Eno) mentre Jan Peter Schwalm stende tappeti di tastiere su cui le chitarre impazzano nella successiva Ascension, altra lunga composizione che ci accompagna attraverso la continua ricerca sonora di questo genere musicale. In Black On Electric Blue (il brano con Cleveland) si sviluppano diversi temi e le chitarre sembrano entrare in contatto con voci aliene.

A questo punto il disco sarebbe finito, ma Thelen rilancia con una versione editata del brano iniziale affidata al remix di Jan Peter Schwalm.

Paolo Crazy Carnevale

DIANE PATTERSON – Satchel Of Songs

di Paolo Baiotti

8 gennaio 2023

diane

DIANE PATTERSON
SATCHEL OF SONGS
Creative Commons 2022

Diane ha una lunga e creativa storia alle spalle. Basata nel nord della California, attiva dall’89 con la sua “mystic acoustic americana music” nella scena indipendente, ha esordito discograficamente nel ’91 con la band reggae/latin The Heat, quattro anni dopo ha pubblicato Live At The Palms con il Diane Patterson Sextet, seguito nel 2005 da un disco folk di canzoni politiche e non, intitolato Hip The Hip. Negli anni successivi sono usciti tre CD-R casalinghi e quindi World Awake nel 2010, l’ep Holy Days Of Winter e nel 2013 Build a Bridge. Nel 2016 ha girato negli Stati Uniti e in Europa con molte tappe in Scandinavia dove è molto apprezzata, accompagnando l’uscita di Teach, Inspire, Be Real. Infine nel 2019 è stato il momento di Open Road registrato e prodotto da Mike Napolitano con l’aiuto ai cori della moglie Ani DiFranco, alla quale ha aperto nove concerti nel Midwest. In genere Diane suona in inverno nelle Hawaii e in estate in Europa e Scandinavia, sia in locali che nelle case con intimi “house concerts”. Ha una voce forte ed energica, suona la chitarra acustica e l’ukulele e scrive testi significativi da attivista di impatto sociale e politico, promuovendo il rispetto delle culture indigene.
La title track del nuovo album Satchel Of Songs, in cui Diane mette in luce diversi registri vocali, è stata scritta in Svezia nel 2019 ed è l’elemento dal quale è partita la costruzione del disco. Nuovamente registrato, mixato e prodotto da Napolitano (Squirrel Nut Zippers, Ani DiFranco) a New Orleans dove Diane si è trasferita, eccetto due brani, con l’aiuto di musicisti di qualità come Terence Higgins alla batteria (Ani DiFranco, Dirty Dozen Brass Band), Todd Sickafoose al basso (Ani DiFranco), Joe Craven al mandolino (Garcia & Grisman), Barbara Higbie al violino (Bonnie Raitt), Rick Nelson al contrabbasso e violino (Rickie Lee Jones) e Ani DiFranco alla voce, il disco è aperto dal reggae Roots Heart Rhythm, seguito da Silk And Honest Pay, ispirato da una canzone vichinga. La mossa ed inusuale Steady The Hand sul dramma dei bambini soldati in Siria, la solida e personale ballata jazzata Maybe Easy in ricordo di un’amica scomparsa, For Stage e l’eterea e sospesa One Part Corn caratterizzano la parte centrale dell’album, mentre nel finale spiccano Turn Toward The Sun che ricorda lo stile di Joni Mitchell, artista centrale nella formazione di Diane e la gioiosa Somewhere There’s a Song.
Satchel Of Songs è un album folk originale e coraggioso, che merita più di un ascolto.

Paolo Baiotti

CLINT BAHR – Puzzlebox

di Paolo Crazy Carnevale

7 gennaio 2023

cover

Clint Bahr – Puzzlebox (Moonjune Records 2022)

Clint Bahr, polistrumentista e leader del trio progressive TriPod, formatosi a New York a fine anni novanta, per questo suo nuovo lavoro ha messo insieme una formazione molto aperta che è in tutto e per tutto una sorta di enciclopedia suonante del genere, a cavallo tra avantgarde, jazz e prog storico.

Il disco, uscito nei primi mesi del 2022 si divide quasi equamente tra composizioni cantate e brani strumentali caratterizzati dall’essere più lunghi e sperimentali rispetto a quelli in cui Bahr fa uso della voce, sicuramente più immediati e interessanti.
Ma interessante soprattutto è il parterre di amici che fanno parte dei Puzzlebox, perché, come recitano le note di accompagnamento del disco, Puzzlebox è una band, indipendentemente dal fatto che in un brano ci siano una mezza dozzina di artisti, in un altro solo tre, in un altro ancora il solo Bahr: e si tratta sempre di artisti di prim’ordine.

L’introduzione è affidata allo strumentale Tabula Rasa, ripreso in versione differente anche per chiudere il disco: Bahr si occupa del tambura, al sitar c’è Dan Parkington degli Andromeda e i flauti sono ad appannaggio nientemeno che di David Jackson (Van Der Graaf Generator), tocca poi a New Design, forse il meno impressionante trai brani cantati, col bandleader impegnato a un’infinità di strumenti ci sono qui Dick Griffin al sax, di cui si percepisce perfettamente la militanza nei gruppi di Roland Kirk e Sun Ra, e il batterista Mike Hough.

Tra le cose cantate piace invece molto l’orientamento decisamente rock di Shelter, sempre con Griffin e la batteria di Billy Ficca, proprio quello dei Television.

I dieci minuti di As Tympani Melt In The Greel Heat sembrano un po’ eccessivi, ma è evidente che i Puzzlebox si devono essere divertiti parecchio a jammarci intorno: troviamo di nuovo Jackson, la pianista Marylin Crispell (Pharoah Sanders), e ci sono Griffin e Hough.

Fall From Grace ci riporta alla musica cantata, con Bahr che sta un po’ a metà tra la voce di Roger Waters e quella di Richard O’Brien (ricordate il Rocky Horror Show?), Colin Carter dei Flash gli dà una mano, e alla batteria c’è di nuovo Ficca. Belt And Braces è un breve interludio jazz con la Crispell e Griffin in prima linea. Triangle, Circles And Squares è un’altra breve composizione in cui il basso dialoga col violino dell’ex King Crimson David Cross. Oslo vede Bahr in quasi solitudine a divertirsi soprattutto col Theremin, la voce recitante è di Stephanie Feyne.

Kicking The Wasp Nest è un solido brano d’impronta più rock, Bahr canta, suona la chitarra acustica e ogni genere di basso, Jeff Schiller si occupa dei fiati, Ficca incalza alla batteria mentre alla chitarra elettrica c’è Peter Banks, il chitarrista che gli Yes cacciarono nel 1969 per arruolare Steve Howe e in seguito fondatore dei Flash! Piace anche l’interludio acustico di Lifeguard In The Rain, cantato con una strizzata d’occhio a David Bowie, a seguire la chiusura affidata ad una seconda versione del brano iniziale eseguito però con altra strumentazione.

Paolo Crazy Carnevale

Il 15 gennaio la Fiera del Disco di Legnano

di admin

5 gennaio 2023

legnano

Si svolgerà come di consueto presso il Centro Sociale Pertini, in Via dei Salici,9 la tradizionale Fiera del Disco di Legnano.
Come sempre, ingresso e parcheggio libero.
Apertura ore 10,00 e chiusura ore 18,00

INTERVENITE NUMEROSI!

MAHOGANY FROG – Faust

di Paolo Crazy Carnevale

3 gennaio 2023

cover frog

Mahogany Frog – Faust (Moonjune Records 2022)

Winnipeg è la città canadese che tutti gli amanti del più canadese dei cantautori canadesi sanno essere stata la città d’adozione del loro beniamino: dimenticate però tutte le suggestioni a cui vi riconduce il pensiero di Neil Young e di tutti i suoi conterranei, siano essi i maestri della canzone d’autore o i rocker che dopo aver accompagnato Ronnie Hawkins, via John Hammond Jr. sono arrivati ad essere la band di Bob Dylan perché i Mahogany Frog sono canadesi di Winnipeg, ma la loro musica batte una bandiera differente, quella di un rock strumentale strettamente imparentato col prog-rock (ne è la riprova questo nuovo album che è un concept album nella miglior tradizione di questo genere musicale).

Il progetto dietro quest’opera è decisamente ambizioso e vede il quartetto impegnato nel rimusicare un classico assoluto del cinema muto quale il “Faust” di Murnau.

Tra suoni classicamente elettrici ed effettistica, i quattro canadesi, tutti anche maghi dell’elettronica, si sono messi all’opera e il disco è il risultato della loro fatica, disco che arriva dopo che questa colonna sonora postuma è stata eseguita dal vivo con proiezione della pellicola, la prima ha avuto luogo in un cinema di Saskatoon, amena località del Canadà occidentale che, guarda caso, ha dato i natali alla mamma di tutte le cantautrici, non solo quelle canadesi.

I Mahogany Frog, dopo ulteriori repliche a Winnipeg, Calgary e Edmonton, appena possibile si sono chiusi in studio dove sotto la guida di Grant Trippel hanno registrato i brani della loro rimusicazione, usando probabilmente anche delle basi provenienti dalle esibizioni live, come fa intendere la scarna nota di copertina.

Tragicamente tutto questo è accaduto nel febbraio del 2020, e non crediamo sia necessario dire altro riguardo a quell’anno e a quel mese, così il disco col Faust del gruppo canadese ha finito per veder la luce solo quest’anno, divenendo anche una sorta di omaggio della band al loro angelo custode discografico che nel 2022 ha compiuto sessant’anni.

Il lavoro, ha il pregio di non essere strettamente collegato alle immagini filmate a suo tempo da Murnau, anche se sarebbe interessante provare ad ascoltare la musica guardando il film, per apprezzare a fondo lo sforzo artistico di Graham Epp (guitar/keyboards/electronics/trumpet), Jesse Warkentin (guitar/keyboards/electronics), Scott Ellenberger (bass/keyboards/electronics/trumpet) e Andy Rudolph (drums/keyboards/electronics).

Dall’ascolto emergono tutte le caratteristiche della poliedrica formazione, da quella più rumoristica ed elettronica, a quella più dichiaratamente prog rock: ascoltate Dirge I, dalla prima parte, e troverete echi dei primi King Crimson, mentre Stoned I e Flying Carpet ci riportano ad atmosfere più spaziali a cui non mancano riferimenti ai Pink Floyd ma anche al Canterbury Sound, Smoky Reflection che apre la seconda parte del lavoro suona poi come un outtake di Dark Side Of The Moon, ma come avrete capito alla base di tutto ci sono le idee targate Mohagany Frog, adeguatamente colorate dalle tinte dark richieste dal tema del film. Tra i brani più intimi e accattivanti non si può non citare A Decision of The Flower, abbinato alla sequenza in cui Gretchen sfoglia ii petali di un fiore per determinare il suo amore per Faust.

Il tutto con gli strumenti abbinabili ai vari protagonisti, il piano elettrico è Gretchen, il basso e la batteria sono la voce di Belzebù. Le svisate di chitarra elettrica si possono ricondurre invece a Faust come fa intendere la breve Faust II che chiude il primo dei due dischi.

Faust è stato pubblicato anche in versione doppia in vinile, andata in esaurimento in un batter d’occhio ed è dunque disponibile ora solo in versione CD oi download sul sito bandcamp della Moonjune Records!

Paolo Crazy Carnevale

MASK OF CONFIDENCE – Mask Of Confidence

di Paolo Crazy Carnevale

1 gennaio 2023

cover

Mask Of Confidence (Ritmo & Blu/Moonjune Records 2022)

Una produzione quasi tutta italiana per questo disco distribuito dalla Moonjune: come sempre l’occhio e soprattutto l’orecchio di Leonardo Pavkovic sono rivolti alle musiche provenienti da ogni parte del globo e stavolta la sua etichetta ha dato credito ad un trio di musicisti non nuovi a chi segue le produzioni della piccola label che Pavkovic conduce da oltre un quarto di seguito con professionalità e buon gusto.

Mask Of Confidence è il titolo del disco e il nome del gruppo che annovera i produttori, polistrumentisti e compositori Fabio Trentini e Stefano Castagna e si completa con le percussioni e la voce di Jeff Collier (autore anche delle liriche).

I due musicisti italiani hanno dei curricula di notevole rispetto e da tempo conducono anche le sorti dello studio Ritmo & Blu, dove ha avuto la sua genesi e il suo sviluppo il lavoro che abbiamo tra le mani.

In principio il progetto denominato Mask Of Confidence si è evoluto con la prospettiva di diventare un disco strumentale, ma i due vulcanici musicisti ad un certo punto si sono domandati che cosa ne sarebbe venuto fuori se i brani fossero stati cantati, così da un primo abbozzo all’indirizzo di un prog strumentale molto evoluto e dai suoni ispirati alla musica dei Japan; visto però che il lavoro è rimasto in stand by per tutto il periodo acuto della pandemia, Fabio Trentini ha ben pensato di proporre all’amico e collaboratore Jeff Collier, a sua volta estimatore del gruppo di David Sylvian, di provare a pensare a delle liriche con cui completare i brani e farli diventare vere e proprie canzoni.

Collier ha naturalmente raccolto il guanto di sfida e il Mask Of Confidence che ora abbiamo tra le mani è un progetto ben definito in cui l’eredità dei Japan è più che tangibile, voci molto profonde, basso rotondo (pensiamo al breve strumentale Costa e alla corale Tooth And Nail), tappeti di tastiere e, last but not least, un piccolo parterre di ospiti titolati messi a disposizione dall’agenda dell’etichetta (attorno alla quale orbitano nomi di prima grandezza del panorama jazz rock fusion mondiale).

Incontriamo così la batteria di Pat Mastellotto (King Crimson, Stickmen), la touch guiter di Markus Reuter, artista fin tropo presente nelle produzioni Moonjune, a cui si aggiungono i fiati di Angela Kinczly e Giovanni Forestan.

Paolo Crazy Carnevale