Archivio di marzo 2017

JESSE DAYTON – The Revealer

di Paolo Baiotti

29 marzo 2017

dayton

JESSE DAYTON
THE REVEALER
Blue Elan Records 2016

Nato a Beaumont (come Johnny Winter), il texano Jesse Dayton è emerso nel ’95 con l’esordio Raisin’ Cain, un disco di americana con dosi importanti di country e un’indiscutibile influenza punk. Molto stimato come chitarrista, tanto da accompagnare grandi del country come Waylon Jennings, Kris Kristofferson, Willie Nelson e Ray Price, ha creato una sua label nel 2002, la Stag Records, incidendo cinque album in studio, un live e un disco di duetti oltre a un paio di colonne sonore nelle quali si è manifestata la sua duttilità (parliamo di film horror di Rob Zombie…non un regista da country radiofonico). Entrato in questo circuito, ha partecipato ad alcuni film e tv movies, scritto sceneggiature, diretto il film horror Zombex, recitato a teatro interpretando il ruolo di Kinky Friedman, suonato come chitarrista nella band di John Doe (X) e prodotto dischi per musicisti non proprio convenzionali (Eddie Spaghetti dei Supersuckers). Questo fervore ha rallentato la sua produzione discografica, ma non i tour, sempre appassionati e applauditi.

A quattro anni di distanza dal tributo a Kinky Friedman e a sei da One For The Dance Halls (il più recente album di brani autografi), Jesse torna con The Revealer, un disco che lo riporta all’attenzione del pubblico country-roots e nel quale appare convinto e motivato. Dodici brani incisi a Houston dove ritroviamo i tratti fondamentali della sua musica: un country ruspante, lontano dalla prevedibilità del mainstream radiofonico, influenzato dal rock and roll e dal rockabilly, con un’attitudine punk, espresso con una profonda voce baritonale che in certi momenti ricorda Waylon Jennings e in altri band di confine come Jason & The Scorchers.

Tra i brani di The Revealer spiccano la ballata Possum Ran Over My Grave (tributo a George Jones anche nelle tonalità vocali), la ritmata 3 Packer Goat scritta con Hayes Carll, il rockabilly-country Daddy Was A Badass, il rock and roll alla Little Richards di Holy Ghost Rock ‘n’ Roller percorso dal piano di Riley Osbourne, il country-rock Eatin’ Crow And Drinkin’ Sand e due eccellenti ballate acustiche, il folk-blues Mrs. Victoria (Beautiful Thing) e la conclusiva Big State Motel, intenso ritratto di un risveglio on the road. The Revealer è un disco sincero, intenso e riuscito, scritto e suonato con passione e buon gusto.

OSBORNE JONES – Only Now

di Paolo Crazy Carnevale

14 marzo 2017

Osborne Jones

Osborne Jones – Only Now (Continental Song City/IRD 2016)

Un country singer? Un duo? Una band? La confusione è dettata dal fatto che di qualunque cosa si tratti il nome sembra quello di un solista: a ben vedere però il cantante di questo disco è indicato nel booklet come David-Gwyn Jones e più avanti troviamo un chitarrista di nome David Osborne, il che fa passare alla conclusione più logica, vale a dire che Osborne Jones sia un duo o quanto meno un gruppo che trae il nome dai cognomi dei due personaggi principali, tesi avvalorata dal fatto che nel booklet l’unica foto ritrae solo due persone, di età intorno ai 45-50 anni.

Parlavo in apertura di musica country, genere in cui l’etichetta olandese responsabile del disco è specializzata, country ben suonato anche se non particolarmente entusiasmante o originale stavolta, devo ammettere che le proposte della Continental Song City mi avevano viziato in precedenza (con Wink Burcham e Carter Sampson) e questo disco molto sdolcinato mi ha un po’ deluso. Per carità, il cantante è ottimo, e in alcuni brani, come la title track e You Used sono riscontrabili alcune apprezzabili similitudini con l’Elvis Presley più country. Quello che manca sono decisamente le liriche: qui si ripercorrono le orme sonore della scuola texana dei singersongwriter filtrata attraverso l’imprescindibile country di Bakersfield (il disco è inciso in California), ma a lungo andare le dieci canzoni d’amore che compongono il disco rischiano davvero di far venire il diabete.
La produzione è affidata a Rick Shea, non a caso uno che col sound di Bakersfield ha legami profondi, come del resto il chitarrista Pete Anderson, presente su You Used, ma troviamo ospite anche il mitico Jerry Donahue e in tre brani il batterista Don Heffington. Bene escono senz’altro i suoni delle chitarre, che siano quelle degli ospiti o quelle del produttore, che passa con disinvoltura dall’elettrica, alla pedal steel, all’acustica al mandolino, ma la cosa non va oltre.

La copertina non aiuta ad invitare all’acquisto; oltre ai brani citati non è male l’iniziale Down In Austin, ma dopo poche canzoni il disco non riserva ulteriori sorprese. Peccato.

PANDORA – Ten Years Like In A Magic Dream

di admin

6 marzo 2017

Ten Years Cover[258]

PANDORA – Ten Years Like In A Magic Dream (AMS Records, 2016)

Nati nel 2006 dal comune amore di un padre e un figlio per il “Progressive Rock”, i Pandora ritornano dopo diverse prove con questo Ten Years Like In A Magic Dream, un importante manifesto della loro visione sonora, che guarda al passato pur non radicandovisi perdutamente.

Con una buona esperienza alle spalle (Dramma di Un Poeta Ubriaco, Sempre e Ovunque Oltre Il Sogno, Alibi filosofico e l’Ep digitale Sprouts of Life, per finanziare la ricerca contro il cancro, Beppe e Claudio Colombo, i fondatori della formazione, proseguono con questa “antologia di inediti” la loro personale contaminazione tra i tipici toni del Prog sinfonico (per usare le consuete etichette) di: Emerson, Lake And Palmer, Genesis, Yes, in primis, ma anche Orme, Banco del Mutuo Soccorso e le angolari ed “energetiche sterzate” elettriche care tanto ai Dream Theater, quanto a molte attuali formazioni “neo prog”. Ten Years Like In A Magic Dream, rappresenta effettivamente un incontro tra questi due versanti, con un gradito sbilanciamento sul fronte sinfonico ben evidenziato dal notevole e versatile lavoro tastieristico di Corrado Grappeggia particolarmente efficace al synth. Il progetto vanta inoltre la prestigiosa partecipazione di alcuni ospiti illustri tra cui: Vittorio Nocenzi (Banco Del Mutuo Soccorso), David Jackson (Van Der Graaf Generator), Dino Fiore (Castello di Atlante) e Andrea Bertino (Rondò Veneziano, Archimedi, Castello di Atlante) che impreziosiscono alcune tracce con il loro contributo.

Pubblicato per AMS/BTF Records di Matthias Scheller, Ten Years Like In A Magic Dream conferma ancora la partecipazione dell’artista e pittrice Emoni Viruet ora vocalist ufficiale e da tempo importante ispirazione creativa del gruppo con le sue fantasiose opere e copertine.

Il repertorio dell’album spazia dall’esecuzione di brani propri, tra cui quattro classici cantati in inglese per l’occasione, alla rilettura di alcune pagine fondamentali di: Genesis, Yes, Emerson, Lake And Palmer, Banco e Marillion.

All’ascolto, i Pandora dimostrano competenza nell’affrontare il ricco repertorio prog,
affiancato a pagine personali ricche di rimandi e soluzioni che sicuramente delizieranno gli appassionati; a tal proposito è interessante citare Temporal Transition Passaggio Di Stagioni (Canto Di Primavera) che nasconde una piccola sorpresa raccontando inoltre un curioso aneddoto risalente alle origini della band nel lontano 1998…

Non svelerò altro, il segreto è gelosamente custodito in Ten Years Like In A Magic Dream, non rimane che ascoltarlo…
In definitiva, ciò che si percepisce qui è la particolare e sincera ammirazione per una tradizione musicale in grado di regalare emozioni uniche influenzando per decenni la crescita di ogni ascoltatore, aspetto da promuovere e premiare sempre e costantemente.

Marco Calloni.