Archivio di agosto 2020

DAN TUFFY – Letters Of Gold

di Paolo Baiotti

31 agosto 2020

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DAN TUFFY
LETTERS OF GOLD
Smoked/Continental Europe 2020

Cresciuto a Kempsey nella regione australiana del nuovo Galles del Sud, da anni residente in Olanda, Dan ha un passato da punk rocker nei Wild Pumpkins At Midnight dall’83 al ’93, quando l’intera band si è spostata in Germania e poi in Olanda per cercare di sfondare in Europa. In questo periodo si sposa, ha due figli piccoli da mantenere, fatica a mantenere il ritmo dei tour…ma la band si scioglie e, dopo una pausa, riprende a fare musica in Olanda formando i Big Low e i Parne Gadje. Crea anche la Smoked Records che finora ha pubblicato una ventina di album e infine nel 2017 pubblica l’esordio solista Songs From Dan seguito tre anni dopo da Letters Of Gold, registrato parzialmente nella nativa Australia con musicisti locali e con musicisti europei.
Dimenticato il periodo punk, Dan è un cantautore che privilegia atmosfere intime ed eteree, con suoni sparsi e qualche inserimento di elettronica, accentuato in questo nuovo disco in presenza del produttore Zlaya, che ha anche mixato e masterizzato l’album. La voce bassa e il suono minimale e ipnotico caratterizzano Can’t Contain My Feeling, mentre Honey Flow ha sapori orientali ritmati da una batteria elettronica, Eternity si muove nel filone del country essenziale e Time Stole My Angel inserisce elementi di synth pop. Questi brani rappresentano la “bright side”, i successivi quattro la “shady side” in una divisione che ricorda quella del vinile. Sandy Track è un mid-tempo con una chitarra a strappi con echi di J.J. Cale, No Sleep Until The Work Is Done un brano ipnotico tra blues e Mark Knoplfler, Home Fires una traccia quasi sospesa e sognante cantata con voce filtrata (ma la batteria è troppo invadente), Big Man un brano oscuro e minimale, con l’inserimento di un’armonica dolente.
Un disco prodotto con cura in cui i suoni sembrano prevalere sulla qualità delle composizioni.

BLUES ESCAPE (feat. Johanna Lillvik) – Blues Escape

di Paolo Baiotti

31 agosto 2020

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BLUES ESCAPE (feat. Johanna Lillvik)
BLUES ESCAPE
Paraply 2020

Blues Escape è il risultato dell’incontro tra la versatile cantante Johanna Lillvik e la blues band Hill Blue Unit in un jazz club nel novembre del 2016. Johanna non aveva mai cantato in pubblico blues o jazz: il risultato di quella serata si è ripetuto più volte, in quanto il gruppo è stato ingaggiato in Svezia e Danimarca per festival e serate nei club, ottenendo ottimi riscontri. Suonano un mix di blues, gospel, jazz, soul, ritmi latini e voodoo, boogie woogie, rythm’n’blues con particolare attenzione alla tradizione di New Orleans. La voce affascinante di Johanna è il fulcro del suono, ma il piano di Orjan Hill e il sax di Torbjorn Stenson si distinguono negli spazi solisti e in ritmica, accompagnati dalla batteria di Ake Goransson e dal basso di Lars Mellqvist, musicisti esperti e tecnicamente all’altezza.
Questo mini album di sette brani per quasi 30’ di musica, registrato al West Coast Piano Studio da Goransson, è un anticipo dell’esordio in studio previsto per fine anno. Brani sciolti, rilassati, old style, vibranti, da ascolto serale accompagnato da un buon bicchiere. Il ritmato boogie di Evil Gal Blues, la languida e sensuale That’s How I Got My Man, il blues pianistico Trouble In Mind e The Dream /Marie Laveau profumata di sapori della Louisiana sono le tracce migliori di un dischetto che, pur non inventando nulla ed essendo rivolto al passato, risulta brillante e accattivante.

FABRIZIO POGGI – For You

di Paolo Crazy Carnevale

13 agosto 2020

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Fabrizio Poggi – For You (Appaloosa/IRD 2020)

Un inizio insospettabilmente notturno, guidato in punta di contrabbasso da Tito Mangialajo Rantzer, per questo nuovo disco di Fabrizio Poggi, uno dei più attivi e interessanti musicisti italiani dediti alle radici del suono americana. Poggi, che tra carriera solista e Chicken Mambo ha oltre una ventina di produzioni alle spalle, per non dire delle collaborazioni con sparring partner d’eccezione al di là e al di qua dell’oceano Atlantico, ha dato alle stampe questo nuovo disco la scorsa primavera. Un disco breve ma intenso, ricco di sonorità che mescolano il blues ed il gospel con al musica notturna e vibrante delle metropoli, composto prevalentemente da brani tradizionali rimaneggiati e arrangiati sapientemente da Poggi e dal suo producer Stefano Spina (impegnato anche alla chitarra elettrica, alle tastiere, al basso elettrico e alla batteria).

L’armonica è ovviamente protagonista a trecentosessanta gradi, come del resto la voce soul e densa di sfumature di Fabrizio, ma la particolarità sta proprio nell’uso di strumenti più inusuali come il contrabbasso e i fiati che ci riportano in fumosi club metropolitani, distanti anni luce dai juke joint campagnoli a cui il titolare aveva dedicato non molti anni fa un altro riuscito disco.

For You, che ruba il titolo ad una canzone di Eric Bibb qui inclusa, parte con le riletture di Keep On Walkin’, If These Wings e Chariot (che altro non è che la nota Swing Low Sweet Chariot), riletture che profumano, o forse meglio dire odorano, di Harlem e della Grande Mela delle ore tarde.

Fiati, armonica e il suddetto contrabbasso sono la colonna portante di tutte e tre le composizioni, per contro invece la successiva Dont’ Get Worried (altresì nota come Keep Your Lamp Trimmed and Burning), è elettrica vibrante, accattivante. Le fa seguito il gospel di I’m Goin’ There, altro brano particolarmente riuscito, notturno ma in modo diverso.

A questo punto tocca alla cover di Eric Bibb, aperta da un accenno di vibrato dell’armonica che sembra Neil Young, poi parte la voce e l’unico strumento a supportare Poggi in questa versione è il piano di Stefano Intelisano (vecchio amico dai tempi dei Chicken Mambo) e nella seconda parte una sezione d’archi sintetizzata. Il brano sfocia nella successiva My Name Is Earth, la prima delle tre composizioni che portano la firma del titolare, il brano è molto arrangiato, con un bell’intervento all’organo di Pee Wee Durante ed un robusto coro in cui si inserisce la voce dell’ospite Arsene Duevi, originario del Togo; notevole la coda strumentale che termina, in linea col brano che è un omaggio a Madre Terra, con una serie di voci di bambini che restano in sottofondo anche sulla partenza di un altro traditional dalle movenze più smaccatamente blues di matrice elettrica, Just Love, in cui brilla la chitarra elettrica di Enrico Polverari.

Con Sweet Jesus, Poggi ci omaggia di una canzone originale più allegra, sorretta da armonica e chitarra pizzicata e archi, il tutto prima del finale di It’s Too Late, struggente e corale composizione scritta con Arsene Duevi, che vi suona anche l’acustica e canta nella sua lingua.

LUCIANO FEDERIGHI e DAVIDE DAL POZZOLO – Viareggio And Other Imaginary Places

di Paolo Crazy Carnevale

10 agosto 2020

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LUCIANO FEDERIGHI e DAVIDE DAL POZZOLO – Viareggio And Other Imaginary Places (Appaloosa 2020)

Appaloosa Records da quando è rinata a nuova vita sta decisamente muovendo passi più interessanti e arditi che non ai tempi dei suoi pionieristici ma pur sempre indispensabili esordi.

Soprattutto ha cominciato a dare significativamente spazio anche agli artisti di casa nostra che si cimentano con generi musicali affini a quelli degli artisti stranieri trattati dall’etichetta, vale a dire rock, cantautorato, americana, country-rock, folk-rock, blues.

Quest’ultimo disco uscito nel bel mezzo della pandemia però non ci convince appieno come era accaduto con altre produzioni di nostri connazionali (pensiamo a Francesco Piu o a Fabrizio Poggi, o a certe cose di Charlie Cinelli, non tutto però): il pianista, scrittore, giornalista, illustratore viareggino Luciano Federighi non è nuovo in casa Appaloosa e questo suo disco condiviso col sassofonista Davide Dal Pozzolo sembra più che altro un momento di musica condivisa in maniera informale che un progetto discografico vero e proprio, e la produzione a livello di ascolto poteva essere molto meglio (tanto per fare un esempio, la terza traccia del CD, Darkness Will Never Hurt You, ha la voce che nei primi versi è molto più bassa rispetto al resto). Non siamo amanti della musica troppo leccata e perfettina, ma qui un po’ di lavoro al mixer e un po’ di attenzione alla mescola dei suoni non avrebbe fatto male.

Federighi dimostra comunque una grande padronanza, del piano, dell’inglese per la scrittura dei testi e, soprattutto di una voce arrochita che non può non fare venire in mente certe cose di Tom Waits: ma badate, non si tratta di uno scopiazzamento, il timbro di Federighi è personale: nell’iniziale Lather Than You Think e in Mr. Lonesome sfodera addirittura sfumature sinatriane assolutamente azzeccate e, sempre a proposito del cantato, in A Sabbatical From The Blues tornano in mente certe cose di David Bromberg.

Il sax di Dal Pozzolo (talvolta impegnato anche al flauto) non è sempre azzeccato, è mixato troppo alto ed è troppo virato al jazz per un genere cantato in cui i testi sembrano avere particolare rilievo, troppo sofisticato al punto da finire per distrarre l’ascoltatore dai testi, che sono tra l’altro molto lunghi, talvolta verbosi e nel booklet sono riportati solamente in lingua inglese. Peccato, visto che l’Appaloosa di solito brilla per le belle e intelligenti traduzioni dei testi acclusi agli album di artisti americani.

MIA ARENDS/MICHAEL DERNING – Rough Music

di Paolo Baiotti

6 agosto 2020

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MIA ARENDS – MICHAEL DERNING
ROUGH MUSIC
Autoprodotto 2019

Coppia nella vita e nella musica da 45 anni, ma con poche incisioni alle spalle, Mia e Michael hanno pensato, dopo l’album Cover Art del 2007, di incidere un disco che si riallacciasse alla musica ascoltata da adolescenti, sia recuperando brani del passato sia scrivendone di nuovi dal sapore antico, utilizzando soprattutto le due voci e la chitarra acustica, con qualche inserimento di mandolino e slide da parte di Michael e dosati interventi di percussioni, violino e piano (Michael Thomas Connolly che ha mixato il disco), batteria (Brad Gibson) e violoncello (Colin Isner). Il risultato è un disco di cantautorato folk con venature jazz in cui sei tracce originali si miscelano senza difficoltà o bruschi stacchi con dieci cover. Delicate armonie vocali caratterizzano brani come Empty Pocket Blues e Joy, mentre la purezza del fingerpicking emerge in Pilgrims e Mind Your Own Heart. Una versione intima e minimale di Norvegian Wood ci ricorda l’eterna influenza dei Beatles, la sciolta Everybody Wants To Be A Cat e Moon Indigo di Duke Ellington, dove spicca l’interpretazione vocale di Mia, riaffermano la passione della coppia per il jazz tradizionale. Una scanzonata Baby It Must Be Love (Blind Willie McTell) e una delicata Blue Skies (Irving Berlin) ci traghettano al termine del disco, affidato alla jazzata That’s All (Bob Haymes) e alla breve Gone, un brano di Michael nel quale si inseriscono le percussioni.

DAVE GREAVES – Still Life/The Legacy Collection

di Paolo Baiotti

6 agosto 2020

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DAVE GREAVES
STILL LIFE – THE LEGACY COLLECTION
Inbred Records 2020

Negli anni settanta Dave Greaves, cantautore di area folk/rock, ha girato la Gran Bretagna in tour con Sandy Denny e John Martyn, ha lavorato con la Island, la Pye e la Demon. Nel suo percorso Dave ha fondato la Hull Truck Theatre Company, ha suonato la chitarra elettrica accompagnando molte formazioni americane di R&B in Europa e ha fatto parte di MG Greaves and The Lonesome Too con il fratello. Inoltre ha affiancato in svariate occasioni il cantautore texano Bob Cheevers.
Originario di Hull, vive a Scarborough. Non ha pubblicato molto, solo cinque dischi dal 1984 ad oggi da solo, con la Dave Greaves Band o con altri artisti. Da questi dischi sono tratti i 22 brani di Still Life, una raccolta esaustiva della sua carriera reperibile in doppio cd, prodotta da Bob Cheevers, che si può considerare una sorta di testamento musicale, tenendo conto dei seri problemi di salute del musicista. Sono canzoni personali, intime e toccanti con echi di John Martyn, Nick Drake, Eric Andersen o dei più giovani Greg Trooper e Tom Russell, come l’eccellente ballata Frank o Danny And His Girl, forse un po’ monocordi come la voce di Dave (in questo senso una raccolta doppia può sembrare eccessiva). Tuttavia la scrittura di Greaves è apprezzabile e anche la semplicità degli arrangiamenti si presta a questo tipo di canzoni morbide e delicate.
Nel primo cd, oltre ai brani citati, spiccano Fool’s Gold con preziosi arpeggi di chitarra, Rising Tide e la malinconica The Desperate Hours. Dal secondo disco sceglierei la scorrevole opener Me And Lucky, la ballata Phantasy con una raffinata chitarra e il piano in sottofondo, la sussurrata Unguarded Moment, l’intensa Sunflowers e la conclusiva Without The Asking.