Archivio di marzo 2014

FOGHAT – Last Train Home

di Paolo Baiotti

28 marzo 2014

Foghat,_Last_Train_Home_Album_Cover

 

FOGHAT

Last Train Home 

2010    Foghat Records   

 

Alla fine degli anni sessanta Roger Earl (batteria), Lonesome Dave Peverett (chitarra e voce) e Tony Stevens (basso) fanno parte dei Savoy Brown guidati dal chitarrista Kim Simmonds. La loro popolarità è in crescita negli Stati Uniti dove sbarcano a seguito del successo di Looking In entrato nei top 40 di Billboard. Durante il tour americano le divergenze tra Simmonds (che voleva guidare da solo il gruppo) e gli altri si accentuano fino alla clamorosa separazione. Kim prosegue con i Savoy Brown, tuttora attivi con il chitarrista come unico leader e membro originario, mentre gli altri formano i Foghat con l’aggiunta di Rod Price, accentuando le influenze rock rispetto al blues e al boogie della band precedente. Lavorano duro, suonano ovunque e pubblicano parecchi album  diventando molto popolari negli Usa, collezionando dischi d’oro e un paio di platino, Fool For The City del ’75 e il seminale Foghat Live del ’77 (doppio platino), uno dei classici live di rock blues degli anni settanta. Stevens lascia nel ’74 sostituito da Craig MacGregor, ma gli altri resistono insieme fino all’80 quando Price abbandona, seguito cinque anni dopo da Peverett. La band non si scioglie perché Earl prosegue con altri musicisti finchè negli anni novanta tornano anche Peverett e Price. Nel ’98 Lonesome Dave si ammala, resiste qualche mese, ma deve lasciare la band alla fine del ’99 e questo mondo nel febbraio successivo. I Foghat non si sciolgono e con un paio di aggiustamenti proseguono fino ai giorni nostri con Earl, MacGregor al basso, Bryan Bassett alla chitarra (ex Wild Cherry e Molly Hatchet) e Charlie Huhn alla voce e chitarra (ex Humble Pie, Ted Nugent e Victory). La scelta di un cantante influenzato dall’hard rock come Huhn accentua la durezza del suono, ma senza esagerare in quanto Charlie ha una voce non troppo lontana da quella di Peverett. Questa line-up si dimostra solida e adeguata a riproporre i successi dei seventies, mantenendo un discreto seguito e pubblica anche dischi nuovi in studio come il discreto Family Joules  e questo Last Train Home, un ritorno al blues da tempo desiderato da Earl. Con l’aiuto del fratello Colin alle tastiere, Jeff Howell al basso e di un paio di ospiti, i Foghat alternano covers più o meno famose a qualche originale incidendo a New York negli Eko Studios e nei Boogie Motel South di proprietà della band. Ovviamente è un blues impregnato di rock, energico e potente, ma rispettoso degli originali, con la slide di Bassett protagonista in molte tracce a partire dall’opener Born For The Road, per proseguire con la title track e con lo slow di Elmore James It Hurts Me Too. Elettrica e slide si alternano e sovrappongono in Louisiana Blues di Muddy Waters, un classico dei Savoy Brown dai tempi di Blue Matter e nel notevole slow So Many Roads. Il trascinante strumentale 495 Boogie con l’armonica dell’amico Lefty Lefkowitz e il cadenzato medley Rollin’ & Tumblin’/ You Need Love ci portano alla parte conclusiva che comprende due brani con la voce e la chitarra di Eddie “Bluesman” Kirkland, uno degli ultimi originali del blues (dal ’49 al ’62 con John Lee Hooker prima di intraprendere una carriera solista). Il lento In My Dreams e il mid-tempo Good Good Day sono le chicche del disco, due tracce di blues puro nelle quali i Foghat si dimostrano eccellenti accompagnatori anche senza spingere sull’acceleratore.

Premio Tenco 2013

di admin

27 marzo 2014

di Ronald Stancanelli

 

Quello che si evince avendo ascoltato per il Premio Tenco edizione 2013 una marea di cd italiani è la stragrande marea di pezzi se non  interi album che si rifanno al passato con reinterpretazioni appunto di pezzi editi nell’arco degli anni passati.

Bisogna capire se ciò è sinonimo di carenze di idee attuali o se questo rappresenta un enorme e deferente tributo alla musica che fu ma in entrambi i casi ci sembra di notare un deciso trasporto verso un passato musicale che ci è appartenuto e che oggi difficilmente si riesce a replicare con la musica odierna

 

Questo ultimo Premio Tenco è stato caratterizzato dall’essersi ramificato e spostato in luoghi differenti che ne hanno stravolto la struttura orma ben consolidata in quel di Sanremo, anche se negli ultimi tempi vi eran stati segnali e crediamo volontà di collocarlo in diversa sede da quella ligure staccando col passato che graniticamente dava la rassegna in tre giorni nella città rivierasca.

Ora non ultimo anche complice il fatto d’aver perso importanti sovvenzioni si è cercato di guardarsi attorno; ad esempio la finale con premiazioni varie è stata fatta al Petruzzelli di Bari.

Essendo quindi decisivo il fattore economico, anche se non solo, alla fine scelte drastiche son dovute esser attuate ma, fortunatamente a volte un ma salta fuori, e dal palco, lo stesso in verità, ma in questo caso del Festival, un Fazio meno nebuloso del solito non solo ha citato il Tenco, credo non fosse mai successo, ma ha annunciato che parte di quei finanziamenti per un avvenimento culturale come il Tenco saranno nuovamente disponibili. Così abbiamo sentito in diretta e così ci si augura nella nostra Italietta ove un giorno si fa e un giorno di disfa e un giorno si dice e quello successivo si smentisce.

Passiamo quindi a esaminare la miriade di album che abbiamo ascoltato in questo periodo e se, per noi, alcuni meritori di grandi fortune, non sono neanche arrivarti nelle cinquine finali mentre cose nefande son state baciate da gloriose votazioni esuliamo dal commentare gli esiti finali e di come poteva essere e non è stato evitando anche  il come fu, limitandoci alle recensioni. Abbiamo veramente ricevuto tanto materiale e altro l’abbiamo comprato e adesso passando a raccontarne della sua disamina possiamo solo per restare nella più assoluta parzialità dire che l’ordine di posizione delle recensioni non è direttamente proporzionale a valori o meriti ma frutto di una casualità,  sorteggio che ci ha fatto numerare i vari cd e poi inserirli grazie a detta lotteria.

Buona lettura.

 

EL SANTO  

Il Topo Che Stava Nel Mio Muro   (2013)

Come da un distante mondo alieno arriva il disco di questa formazione alternativa. Album particolare, acido, a tratti cacofonico, ma che dopo vari ascolti arriva al suo obbiettivo, ovvero lasciarsi ascoltare con un piacere acquisito strada facendo. Ci racconta tra note sghembe, a tratti metalliche, dolenti  e disadorne del malessere odierno e, avendo l’accortezza di un attenzione particolare ai testi possiamo sicuramente definirlo un interessante esperimento ed un riuscito  saggio artistico. Lo stesso Finardi d’altronde  in questi giorni esemplifica i malesseri odierni in Come Savonarola condendolo con ritmi hard e sofferenti.

Ottimamente autoprodotto ha eccellenti momenti in Il salario delle formiche cantata da Federica Vino e nell’ermetica Dean. Il nome della band deriva da Rodolfo Guzman Huerta, wrestler e attore messicano noto con lo pseudonimo di El Santo.

 

MANDILLÀ  

Da O  Vivo   (2013)

I Mandillà sono un gruppo nato nel 2008 dall’incontro dell’interprete e traduttore di George Brassens, Giuseppe Avanzino con il musicista e produttore Corrado Barchi. Da o vivo, come si capisce dal titolo in genovese, è un album dal vivo che raccoglie undici pezzi di Fabrizio De Andrè dei quali tre estratti da Creuza de ma e altri otto tradotti da loro. Operazione quella di tradurre brani dall’italiano in genovese mirabilmente già fatta dal cantautore Piero Parodi con Bocca de Reusa sia su singolo che su LP nel 1971 e poi ripetuta in forma maggiore nell’album Gatti Randagi del 1995 ove varie canzoni furono riproposte, dopo debita traduzione, in vari dialetti e anche in inglese. Album piacevole, questo Da o vivo, che entra nella miriade di cover, cd, tributi, libri, manifestazioni dedicate a De Andrè. Si ascolta volentieri come una semplice pennellata di puro divertissement con anche un sentito e doveroso omaggio a Don Gallo al quale viene dedicata la riuscita trasposizione in dialetto di La città vecchia, ovvero A Cità vegia mentre curiosa è la riproposizione in genovese di A rionda, in origine Girotondo da Tutti morimmo a stento. Infine un cenno alla suggestiva Volta la carta molto più lenta di quella che eravamo stati abituati a sentire dallo stesso Fabrizio o di come da tempo la propone anche Massimo Bubbola dal vivo. Se vi capitano a tiro i Mandillà andate a sentirli per una serata all’insegna del più puro nostalgico divertimento.

  

MARIA DE VIGILI  

Motori E Introspezioni   (2012)

Esordio di decadentismo in stile P J Harvey per Maria de Vigili con dodici brani tutti a sua firma escluso uno di Battiato, ovvero Aria di rivoluzione, tratto da Sulle corde di Aries del 1973  e uno  da Baudelaire. Tra grunge e minimalismo a tratti zoppicante denota anch’esso, come tanti lavori attuali, quel malessere odierno che tanti mettono in musica quantunque a volta essa raggiunga limiti di cacofonia difficile da sopportare. Prodotto dalla stessa De Vigili assieme a Stefano Orzes ha i suoi picchi di interesse in Albatros, tratto appunto da Charles Baudelaire e in Kadhy Blues. Registrato proprio negli infausti giorni del terremoto emiliano.

 

FAVONIO 

Brutto Di Faccia Brutto Di Cuore   (2012)

Pare che in Puglia il nome Favonio venga usato per indicare il caldo vento proveniente dal sud ed è anche e soprattutto  il nome di una band foggiana che ci ha deliziato col suo Brutto  di faccia, brutto di cuore sul cui  valore intrinseco nulla abbiam da eccepire  se non parlarne a iosa in modo positivo esclusa però la copertina, decisamente poco affascinante pur se curiosa,  che pensiamo possa forse penalizzarne le vendite, anche se nel corso di ripetuti ascolti ne capiamo il senso che effettivamente ben si amalgama con i testi ivi contenuti. Allegro, divertente, a tratti solare affronta una dozzina di curiosi ed interessanti racconti in musica che ne fanno per noi uno dei must di questa edizione Tenco 2013. Ben suonato, ottimamente arrangiato, splendida e di chiarissima dizione la voce di Paolo Marrone. In un paio di brani ci rammenta il cantautore genovese Claudio Roncone, nell’Albero del melograno ci sovviene il buon Fabrizio  mentre nella fantastica sincopata L’uomo del Tavoliere il pensiero ci porta al Capossela più cadenzato. Canzone questa scritta dal musicista popolare Matteo Salvatore, pare sia l’unica in lingua, il resto era tutto in dialetto, che nobilita ancor di più un lavoro decisamente interessante ed affascinante, oseremmo dire incantevole. Fantastica anche la title track. Veramente bravi. Da rimarcare ancora che il disco si apriva con la bellissima  cover di Franco Fanigliulo, dal titolo A me mi piace vivere alla grande che lo scomparso cantautore spezzino portò a Sanremo nel 1979. Bello e riccamente illustrato il libretto interno.

  

SARAH STRIDE 

Canta Ragazzina   (2013)

Album omaggio/tributo con otto cover che la cantante comasco/milanese dedica ad altrettanti artisti che le portavano in giro quando la nostra era ancor lontana dal divenire cittadina di questo mondo. Artista a tutto tondo, interessata a teatro, architettura, video arte, design, architettura e anche scrittrice canta indifferentemente in italiano che in portoghese, inglese, ebraico e slavo.

Esordisce nel un anno prima con l’interessante album omonimo. Bella voce roca e armoniosa quanto basta per rammentarci Giuni Russo o Tori Amos che proprio nella voce avevano/ha la punta di diamante della loro carriera. Tanto per far capire il lettore dove la Demagisri, suo vero cognome, sia andata a scavare citiamo tre brani  ovvero La notte, Ma che colpa abbiamo noi e Te lo leggo negli occhi, ma tutti e otto sono meritori in egual misura. Brava e, come oggi da noi scoperto, artista a 360°.

 

RON 

Way  Out   (2013)

A proposito di cover il nostro amico Rosalino Cellamare, come racconta nel libretto del cd, è andato a recuperare una dozzina di  canzoni prevalentemente poco note traducendole in italiano e provandole e riprovandole nel salotto di casa sua sino a quando con l’aiuto di sette amici musicisti ha deciso, sempre nell’ambito del suo appartamento, di inciderle. Ne è così uscito questo Way Out denso di canzoni soffusamente dolci e tranquille. Per intenderci lo stile è quello pacato, gentile e misurato di Davd Gray che qui è tra l’altro con  presente con Freedom, tratta dal suo A New Day At Midnight che Ron traduce in Libertà, entrambe molto belle. Splendida anche Orgoglio antiproiettile che il cantante somalo K’naan scrisse nel 2011col titolo di Bulletproof Pride, cantandola con Bono in una serata di beneficenza.

Album piacevole, ma lontano dagli standard di mercato e cassetta che possono aver caratterizzato molta della sua precedente produzione. Qua c’è un delicato regalo che Ron ha concepito in serate di rilassamento personale e che ha voluto fare in primis a se stesso  e poi soprattutto a coloro che ne seguono da tanto tempo i passi e che si ritroveranno anche in questo album magari spartano e un po’ minimale ma decisamente avvincente. Da dimenticare la copertina!!

  

CLAUDIA CRABUZZA i CLAUDIO GABRIEL SANNA  

Un Home Del Paìs

Cancons i Records de Pino Piras  (2013)

Sicuramente uno dei capolavori giuntici per questo Tenco. Questo disco cantato da Claudia Crabuzza, autrice e cantautrice sarda, voce del gruppo Chichimeca coadiuvata dalla voce e dalla voce di Claudio Gabriel Sanna storica voce dei Calic, omaggia in modo toccante ed appassionante brani del cantautore di Alghero Pino Piras, scomparso venticinque anni fa. Dodici canzoni di elevatissimo spessore culturale e musicale con almeno due momenti di puro lirismo ante litteram come La ginqueta e Lo pare spiritual. Progetto ideato e prodotto dalla Crabuzza si eleva come uno degli album sia folk che di tributi più interessanti usciti nel nostro paese negli ultimi tempi. Salvatore Maltana al contrabbasso, Gianpaolo Sanna alla chitarra, Dario Pinna al violino e viola, Paolo Zuddas alle percussioni e Beppe Pelazza sono in viaggio con la Crabuzza e Sanna su questa barca che solca le acque di Alghero e che ci regala un album che profuma di mediterraneo e che nel suo incedere sembra a momenti sardo, portoghese, spagnolo, arabo, genovese. Un concentrato di sapori folk che abbracciano tutto e tutti e che rendono l’ascoltatore più ricco e prezioso di quanto non lo fosse prima di mettere questo dischetto nel lettore. Ricordiamo che i due hanno a Udine vinto nel 2012 il Suns, concorso per lingue minoritarie presentando appunto un brano da questo album. Se abbiam ben capito la Crabuzza la potete trovare nel centro storico di Alghero ove ha aperto La Botteghina, piccolo ritrovo Slow Food con cibi sani e… voce eccellente se avrete la fortuna di sentirla lì intonare una canzone.

  

CONTROFASE     

Rispettabili Criminali e Comuni  Mortali   (2012)

Politicamente forte ma vero, scomodo ma importante, semplice ma terribilmente complicato, esauriente ma inascoltato, dirompente ma ignorato… e così strumenti taglienti come lame e parole affilate come coltelli ci dicono, senza cantare, dei deliranti malumori che affliggono in continuità tutto e tutti nessuno escluso, compresi i bastardi che si crogiolano coi loro giochetti del cazzo, i loro strumenti del menga, le loro misture del piffero e… il baratro è quello che un giorno accoglierà pure loro e purtroppo anche noi. Maledetti! E si sa di chi parlano e parliamo. Un plauso ai Controfase per il coraggio e la voglia. Pietro Frigato, voce. Andrea Beggio, Barbara Schindler, Emanuele Zottino e Marco Ober una miriade di strumenti contro!  Come diceva il buon Lee Clayton “Industry why?”

 

GERARDO BALESTRIERI  

Quizas   (2013)

Quizas, pur contenendo soltanto  materiale di altri autori rivisitato è in toto un album di Gerardo Balestrieri che si appropria, in modo stupefacente, di detti tasselli musicali del passato rendendoli tout court materiale suo, con il suo dna e la sua impronta. Sicuramente uno dei tributi più “importanti” mai usciti in campo discografico. Come valore intrinseco d’importanza nel nostro paese possiamo citare Gatti randagi, ma li si trattava di artisti vari. Qua è un solo esecutore e musicista che si cimenta e diletta in un tributo/riconoscimento ad ampio spettro/raggio verso spiriti liberi che hanno precedentemente onorato il dio del pentagramma. Diciotto tasselli di insuperabile valore e livello esplicati con una forza, una grazia e anche un rispetto che non ha eguali. Se da questo Premio Tenco dovessimo estrapolare una minima manciata d’opere da consegnare ai posteri ecco Quizas ne sarebbe uno dei, pochi, esempi illuminanti. Balestrieri, al suo quarto album, si cimenta, o si diletta, diremmo mirabilmente, oltre che in italiano ovviamente, anche in francese, spagnolo, greco, inglese e chissà ancora cosa c’è nascosto tra i solchi di questo splendido disco che non abbiam ancora notato. Il Balestrieri, turbine di etnìe, città, movimenti viaggi ed esperienze, per una sua completa stroriografia vi rimandiamo a internet dove in  due pagine è esemplificata la sua intensa esistenza artistica,  coniuga artisti a lui, a noi, cari, ricoprendoli di una patina luccicante che vive da sola ed esalta cuori, tacchi, orecchie e pance di chi lo ascolta.  Per fare qualche  nome possiamo citare Renato Carosone, Tom Waits, Paolo Conte, Serge Gainsbourg, De André e almeno altrettanti artisti forse meno noti ma che in questo calderone di una trentina di brani abbarbicati ed attorcigliati l’uno con l’altro danno uno straordinario esempio di multietnicità culturale che raramente avevamo ascoltato a questi livelli nel nostro paese. Dai più nordici Balcani ai più meridionali lidi sudamericani si srotola la geniale impronta che Balestrieri appunto qui riassume raccogliendo e facendo  propri gioielli sparsi  come trecce al vento che anche i ricci non possono non apprezzare. Tra i dischi dell’anno! Superbo!

 

CAROLINA BUBBICO  

Controvento     (2013)

Presentato come versatile ed infaticabile album d’ esordio ai limiti dello strabiliante per non incorrere in topiche grandi come palazzi avendo noi di questo album un’idea totalmente differente abbiamo comunque soffermato la nostra attenzione in più ascolti proprio per renderci conto se eravamo noi a non riuscire a capirlo ma… Per carità,ormai ogni giorno ognuno si fa il suo bel disco o butta fuori il suo bel libro, quindi giustamente spazio a tutti e se siamo noi a non apprezzare questo leggero e tedioso swing chiediamo venia ma ogni volta che ci proviamo abbiamo serie difficoltà ad arrivare all’ultimo solco. Le auguriamo comunque  il meglio augurandoci d’esser noi semplicemente a non capirne o carpirne i contorni ma dobbiamo ammettere che il brano omonimo, che apre le danze, è decisamente bello anche se poi il disco si perde per vie traverse.

  

LORENZO MONGUZZI  

Portaverta  (2013)

Una decina di canzoni e un paio di audioscenette per il brianzolo Lorenzo Monguzzi, che da anni conosciamo grazie al valentissimo gruppo dei Mercanti di Liquore, che più volte ci hanno deliziato dal vivo. Spesso invece suoi spettacoli, anche quello con Marco Paolini, presente anche in questo disco, ci son scivolati accanto senza che riuscissimo ad andarci.  E tucc che voren sarà su la porta e inveci a mì me pias lasàla vèrta. Questo appunto  il succo di Portavèrta ottimo esordio solista  in un album come già detto spiritoso in modo brillante che ha il merito di farsi apprezzare subitaneamente al primo ascolto con una musica allegra e scanzonata quanto basta per farsela entrare immediatamente dentro. Tutti i brani a firma Monguzzi esclusa una cover, La costruzione da Chico “Buarque” de Hollanda/Bardotti/Jannacci. Nell’eccellente brano che da il titolo all’album vi troviamo echi delle sonorità di Davide Van De Sfroos mentre la canzone Bolle sembra un omaggio a Giorgio Gaber. Molto bella Senza giudizio con un bravissimo Stefano Nanni al pianoforte mentre colpisce la gentilezza di Fogliafarfalla. Strepitosamente divertente l’audioscenetta Bersagliere a rapporto che sicuramente Monguzzi e Paolini, è lui l’altra voce, eseguono in maniera esilarante dal vivo. Come dicevamo qualche riga sopra, nella manciata di album tra i tanti che  abbiamo ascoltato per questa edizione del Tenco che vogliamo conservare in un posto speciale, sicuramente un angolino se lo è aggiudicato anche questo incantevole Portavèrta.

  

ZIBBA E ALMALIBRE 

E Sottolineo Se     (2013)

Il ligure Zibba assieme agli Almalibre ci regalano una manciata, dieci per l’occasione, pezzi di Giorgio Calabrese* che l’artista con la sua particolare voce alquanto roca ci dona in una veste decisamente inusuale da crooner. Versioni diafane, annacquate in un mare di nostalgica e tranquilla memoria vintage che anche se non ci esaltano in modo preponderante sono eccellenti come piacevole sottofondo quando   si hanno ospiti amici amanti della buona musica oppure quando semplicemente facciamo dell’altro e qualcosa di piacevole e non disturbante debba far da colonna sonora in quel frangente. Chiude, ma purtroppo brevissima in questo contesto, la divertentissima “ brasileira” O frigideiro

[*Giorgio Calabrese paroliere, traduttore(in special modo dal repertorio brasiliano e francese) e autore televisivo genovese è autore di brani senza tempo come Domani è un altro giorno, Arrivederci, Il nostro concerto, E se domani…]

  

PATRIZIA CIRULLI 

Qualcosa Che Vale   (2013)

Patrizia Cirulli, cantautrice milanese, è autrice di un’operazione alquanto insolita, ovvero riproporre in toto l’album di Lucio Battisti dal titolo E’ già, probabilmente il meno noto, che il cantautore scrisse assieme alla moglie Grazia L. Veronese. Premetto che pur avendo una discografia alquanto cospicua di lp e cd, in casa mia non so più dove metterli!, questo album di Battisti decisamente mi manca e non solo, non lo conosco nemmeno. Lo scopro quindi in questa occasione e ne leggo tra le righe l’impronta del grande cantautore che amammo e che fu. La Cirulli, che non conoscevo, ma vi domanderete che recensore è questo che non conosce nulla!, mi/ci colpisce favorevolmente, ovviamente non solo per l’operazione non facile ma meritoria, per la sua straordinaria voce. Voce forte, decisa , concreta, voce con le palle. Superba. Caratteristica di questa riproposizione l’utilizzare vari chitarristi  che rendono ancor più interessante questo album che ha quindi dalla sua due componenti granitiche, l’utilizzo della chitarre, in questo caso rigorosamente acustiche,  e la voce della cantante. Tra i musicisti coinvolti ricordiamo Pacifico, Luigi Schiavone, Massimo Germini, già con Vecchioni e Van De Sfroos, Fausto Mesolella degli Avion Travel, Walter Lupi, Giuseppe Scarpato da anni con Bennato, il genovese Fabio Bonfanti, Simone Chivilò da anni con Massimo Bubbola, Carlo Marrale dei Matia Bazar, Mario Venuti e altri ancora.

Grande, grande album con una interprete eccezionale. Un plauso anche all’amico Francesco Paracchini che le ha dato il la a compiere questa bella operazione musicale.

  

ROBERTO VECCHIONI 

Io Non Appartengo Più   (2013)

Parlare di Roberto Vecchioni dopo che non acque, ma mari son passati sotto i ponti e dopo averlo visto tante volte dal vivo ancora dagli anni settanta a l’altro giorno non è facilissimo. Dopo aver ascoltato suoi album bellissimi e sue canzoni profondamente coinvolgenti ed esserne restato colpito e commosso. Cosa dire ancora di un artista che ha per anni continuativamente nobilitato il Tenco con la sua presenza fino a far di ciò un record, numero di presenze consecutive che ora non ricordo neanche più con precisione tante ne sono state. Cosa dire ancora se non aggiungere questo Io non appartengo più, titolo decisamente gaberiano è un altro splendido pezzo di un puzzle che concorre a creare quel grande tessuto incomparabile che è la sua discografia. Lucio Fabbri, Massimo Germini, ne abbiamo parlato dieci righe sopra, Roberto Gualdi e un orchestra di sei elementi concorrono a questo bel disco di ennesima maturità e acquisita e accettata avanzata questione dell’età. Non citiamo brani a discapito di altri, tutto è piacevolmente bello e sulfureo e come lo zolfo odora della storia del tempo che passa. Disco ancora una volta vincente e  insinuante all’interno di ognuno di noi, ma come non si fa a non citare, pardon, l’elegia splendida di Sei nel mio cuore. La copertina risalta e si esalta nella versione in vinile. Accattatevi l’lp!!

  

DEE LEI  

Omonimo  (2012)

I pratesi  Dee Lei, fondatisi già Malaparte nel 2008 debuttano con questo album omonimo tra indie e rock alternativo d’autore. Prodotto da Paolo Benvegnù voce e chitarra in alcuni brani, è un esordio fulminante e importante. Per chi conosce i Wilco, da noi visti anni fa in un entusiasmante show a Ferrara, la band di Jeff Tweedy può essere un giusto parametro per far capire l’alternative country nostrano che la band toscana sviscera in queste dieci singolari ed avvincenti tracce tutte a firma Marco Sabatini esclusa una. Molti e svariati i temi toccati che avvincono e catturano l’ascoltatore con ripetute  soffuse sonorità, e alla fine resta il senso d’aver scoperto un alternativo ed interessante gruppo che ci auguriamo faccia ancor parlare di se, come in questo esemplare esordio.

  

CESARE BASILE   

Omonimo   2013

Cesare Basile musicista/cantautore catanese non dona volutamente un titolo al suo ottavo lavoro uscito all’inizio del 2013 per la Urtovox Records distribuito da Audioglobe, gloriosa label operante prevalentemente sul versante prog. Uscito anche in vinile per etichetta Viceversa. Inizio alla Ry Cooder nel brano Introduzione e sfida che vira poi in sonorità più mediterranee mentre echi di Daniel Lanois caratterizzano il ritmo sincopato di Paragelia, uscita come singolo,  e nel terzo brano Canzoni Addinucchiata par invece d’essere dalle parti dei nativi americani con echi di Robbie Robertson e John Trudell. Un crescendo ove  i nostri ritmi meridionali tendono fondersi con sonorità americane dando vita a un connubio particolarmente  interessante e se ci mettiamo che il penultimo brano si chiama Lettera di Woody Guthrie al giudice Thayer maggiormente capiamo da dove il nostro musicista volesse partire. Dove voglia arrivare invece lo capiamo benissimo ascoltando più volte il cd che nella sua estensione romantico/mediterranea ci colpisce notevolmente portandoci a rimettere da capo il tutto ogni qualvolta finisce. Il disco si chiude con un capolavoro immenso, Sotto i colpi di mezzi favori,  che nobilita in modo superlativo questo eccellente lavoro.

Un piacere a ogni ascolto. Ogni ascolto è un vero piacere.

  

EMANUELE BELLONI  

E Sei Arrivata Tu    (2013)

Questo disco contiene uno dei brani più belli che ho ascoltato, tra qualche centinaio, in questo periodo che corrisponde al Tenco 2013. Si tratta di La ballata del fuoco e l’acqua. Purtroppo il cd ricevuto è un cdr e non abbiamo note di copertina che possano agevolarci il compito. Compiamo qualche ricerca: Caratterizzato dal suono del musicista carioca Giunga che Belloni aveva conosciuto due anni prima a Roma e da altri dieci musicisti E sei arrivata tu, suo album d’esordio è un lavoro gentile e delicato come sono certe tele d’acquarelli. Undici momenti musicali con aggregata la voce delicata del cantautore che in maniera lieve costituiscono l’ossatura in un eccellente primo lavoro. Direi che tutti pezzi sono belli equivalendosi ma a parte quello gia citato che è un piccolo grande gioiello colpiscono al primo ascolto anche la soave Lo sceriffo del West, che credo d’aver letto sia stato il primo pezzo scritto da Belloni alcuni anni fa e poi la gustosa e piacevolissima Provateci un po’ a prendermi con una ritmica notevole e una fisarmonica da favola.  Bel disco e splendida copertina. Guardata in rete!! 

 

GIULIA  DAICI    

Tal  Cil  Des Acuilis    (2012)

Come l’anno scorso con Elsa Martin un altro cd in friulano gira nel nostro lettore. Tal cil des acuilis, praticamente Nel cielo delle aquile è un omaggio ovviamente alla sua terra e alle sue radici.

Già autrice di un EP e un album in italiano la Daici ci  informa che questa esperienza dialettale non è ne sarà una tantum nel suo panorama musicale  artistico bensì uno dei tasselli che a venire formeranno il mosaico della sua carriera che vuole scorra parallelamente tra lavori in italiano e in dialetto. Dieci pezzi, di cui sette a sua firma sono l’ossatura di questo album che pur in un dialetto decisamente tra i meno utilizzati e conosciuti riesce a rendersi piacevole al primo ascolto, cosa che capitò anche l’anno scorso con la Martin, facendoci capire che il friulano nello stesso modo di altri dialetti che hanno annualmente miriadi di uscite discografiche può avere un suo giusto spazio.

Vari musicisti hanno contribuito a rendere questo album uno dei più belli che abbiamo ricevuto per questa rassegna del Tenco e non ci siamo peritati dal farlo sapere alla cantante nelle occasioni in cui abbiam potuto. Fil rouge di tutto il lavoro un riandare alle proprie radici lavorando di memoria e ricordi che intersecandosi tra loro regalano queste belle sensazioni, e il pezzo Lis nestris sensazions ne è la prova tangibile, che rendono il disco decisamente interessante e non ultimo il fatto che pur essendo opera in un dialetto difficile, non tanto per se stesso ma per la zona un po’ decentrata di provenienza, è rivestito con grande maestria e intelligenza da sonorità allegre e moderne che lo rendono piacevole subito al primo ascolto. Cosa generalmente un po’ rara per album in dialetto che necessitano di svariati ascolti per essere ben assimilati. Esemplificativo di quel che stiam dicendo anche il brano Scusimi nella sua solare musicalità. Un dolce coro di bambini abbellisce Serenade di lùs ma più lo ascoltiamo più ci rendiamo conto che la componente primaria che rende questo album piacevolmente bello è la splendida soave  voce della cantante, voce di una dolcezza infinita.

Produzione artistica ed esecutiva a cura della Daici e di Simone Rizzi, che firma anche tre brani, e arrangiamenti, molto belli,  sempre a cura di Rizzi. Parlavamo righe e righe sopra di quegli album che hanno  nobilitato questa edizione del Tenco e che terremmo sempre cari nei nostri cuori e rotanti  spesso sui nostri lettori(cd), ecco questo è uno di quelli.  Ovviamente dato l’alto spessore di questo lavoro nel libretto troviamo testi sia in dialetto che nella traduzione italiana.

  

EVASIO MURARO   

Scontro Tempo    (2013)

Evasio Muraro voce chitarra acustica, Lorenzo Rota sassofono baritono, Fabio Cerbone chitarre, Cucu basso e Cesare Bernasconi batteria e percussioni sono la spina dorsale di Scontro tempo terzo album del cantautore lombardo autore di testi e musiche di tutte le dieci canzoni che lo compongono. Non può piovere per sempre e Muraro ce lo rammenta in questo ennesimo bel lavoro fatto di racconti fortemente cinematografici, sapidamente in bianco e nero. Ci ha sempre abituati a testi, storie, racconti di notevole creatività e grande equilibrio e questo disco non lo smentisce e non solo lo conferma ma arricchisce il suo percorso con un altro bagaglio di notevolissimo spessore tra l’altro correlato di  splendide  musiche eccellentemente suonate con atmosfere introspettive di toccante sensibilità. Un bianco e nero dai mille colori. Ottimo album. Prodotto da Chris Eckmann leader dei Walkabouts, recentemente visti dal vivo nella loro splendida genialità, quindi un minimalismo d’autore e una garanzia assoluta. All’interno della spessa confezione cartonata un racconto di Marco Denti che trae ispirazione dai testi di Muraro chiude il cerchio perfetto di questa produzione.

 

LAURA COPIELLO     

Nina    (2013)

Sono restato affascinato da questo album di Laura Copiello che in tredici solidi frammenti cerca di raccontare con dolcezza e affetto un breve ma intenso percorso di Eunice Kathleen Waymon in arte Nina Simone. A parte l’importanza del progetto, non  mi pare che di Nina Simone si parli ne frequentemente ne con la deferenza che meriterebbe, quello che colpisce è l’amore che traspare in questa operazione. Dicevamo che la Simone è stata forse messa in un angolo al di la di qualche mera operazione di marketing pubblicitario ma fortunatamente e sottolineiamo fortunatamente ci pensa la Copiello con la sua calda, anzi arroventata ed  emozionante voce in un vibrante cd che ho avuto la fortuna di ricevere per recensione ma che invece avrei dovuto comprare data la sua intrinseca bellezza e farlo mio per mia iniziativa e non per casualità. La copia ricevuta non contiene il libretto quindi non è dato sapere chi vi suona ma quello che conta è la voce e questa non ha bisogno ne di libretti, ne di libri, ne di libroni poiché vola da sola. PS Indubbia ormai l’utilità di internet nelle nostre vite anche se son sempre stato un amante del cartaceo più che della rete, quindi album con Moulaye Niang alla voce e percussioni, Dudu’ Kouate anch’esso alle percussioni , Claudio Conforto al piano e Danilo Gallo al contrabbasso; il tutto  prodotto da Sergio Cossu. Molto bella l’art grafica della copertina.

  

MARRONE QUANDO FUGGE   

Il Pre-Fagiolismo   (2013)

Belin che tipo forte. Dal nome che Massimo Lepre s’è dato artisticamente diventando Marrone Quando Fugge. Belan che personaggio mi traspare dalla foto di copertina, mi sta subito simpatico ancor prima di iniziare l’ascolto di questo suo esordio. E qui resti spiazzato, ti aspetti tutt’altro tipo di roba, rap, hip hop o che ne so, ti aspetti casino infernale invece inizia con una calma suadente canzone pregna di splendide parole che si conclude con la voce di Anna Rasero, voce di dizione chiara e impostazione sensuale, che trae da un monologo di Emilio Locurcio una delle dichiarazioni d’amore più belle che abbiamo mai sentito. Da sentire con attenzione il secondo pezzo, Il Pre-Fagiolismo, concluso da una poesia letta da Zibba che è anche produttore artistico del disco. Molto carina Modestino Lu Spaccone in pieno stile caposelliano. E così proseguendo l’ascolto ogni pezzo ci cattura dandoci la certezza che il premio L’Artista che non c’era è decisamente strameritato. Troppi i musicisti coinvolti, per citarli saranno una ventina, ma tutti bravissimi. Registrato ad Asti, ma mix e mastering fatti a Uscio, pochi chilometri da casa mia. Testi e musiche di Massimo Lepre ovvero MQF. Ok, abbiam finito, andiamo a farci una fugassa al formaggio a Recco!!

  

REBIS  

Naufragati Nel Deserto   (2012)

Alessandra Ravizza e Andrea Megliola, sono un duo genovese che nella propria musica ha coniugato miscelandole, come spesso noi a Genova facciamo, sonorità arabe, liguri, balcaniche e mediterranee dando origine a un pop folk moderno di indubbia suggestione. Tutti brani sono a firma del duo che ha assunto il nome di Rebis dal latino ove le parole res bina sono sintomo di equilibrio ed unione degli opposti. Una cinquantina di minuti piacevoli ma  certamente non facili forse da assimilare immediatamente. La Ravizza compone e canta in varie lingue tra cui l’arabo e il francese, ci par d’aver capito che mastichi anche greco e turco e nel disco canta anche in siciliano!  Ultimamente hanno rappresentato l’Italia ad una manifestazione musicale in Cina, insomma un duo internazionale che fa dell’equilibrio la sua  prerogativa. Un paio di brani sono stati incisi nello studio di registrazione La Facility dell’amico Claudio Roncone in Genova.

  

ANDREA TARQUINI   

Reds  Canzoni Di Stefano Rosso   (2013)

Andrea Tarquini ricanta pedissequamente quello Stefano Rosso che aveva conosciuto al Folkstudio di Roma. Diventarono amici suonando insieme e la loro collaborazione musicale andò avanti con varie serate assieme in svariate tipologie di locali. Poi col passare del tempo le loro strade, pur sentendosi regolarmente, presero direzioni differenti. Tarquini racconta ancora che continuò a studiare la chitarra acustica iniziando a frequentare musicisti della scena bluegrass romana. Adesso passati gli anni ed essendosene andato il vecchio amico, pensa sia un  privilegio onorarlo con questo disco suonato con tanti amici e, stimolato a farlo anche  soprattutto da Luigi Grechi considerando che giusto sia un suo ricordo, in virtù del fatto che effettivamente non è che dopo la sua scomparsa Stefano Rosso sia stato ricordato più di tanto. Disco purtroppo breve con dieci brani dello scomparso cantautore  riproposti come li proponeva lui e un pezzo dello stesso Tarquini, Ho capito come, a Stefano dedicata. Giusta l’idea, ottimo il disco, accattivante la grafica, nostalgicamente political correcty ma perché lasciar fuori Una storia disonesta che tutti ricordiamo sempre con piacere e che stasera il sottoscritto si è andato a sentire da un vecchio lp che fa tanta nostalgia dando nel contempo un piacere smisurato. Un grazie a Andrea Tarquini per averlo riportato tra di noi anche se facciamo parte di quelli che non l’avevano mai dimenticato.

  

ENRICO RUGGERI  

Frankenstein   (2013)

Mistero dei misteri è come mai questo album straordinario, non parliamo della confezione con libro annesso che è strepitosa, non solo non sia entrato nella cinquina finale del Tenco ma non si sia ascoltato in giro, non se ne sia sentito parlare, non se ne siano viste recensioni.Non l’ho visto in alcun negozio!! Insomma inconcepibile. Non capiamo se Ruggeri oramai più uomo televisivo che cantante sia stato penalizzato appunto sul versante musicale per una dimenticanza delle maestranze riguardo al suo lavoro di una volta, ma questo disco non è bello ne bellissimo ma splendido. La rivisitazione di Frankenstein in chiave rock con musiche straordinarie, ballate con code progressive, testi di questo concept decisamente sopra la media. Stupore da parte nostra e quasi fastidio per aver dovuto notare questa assoluta indifferenza su un album che ripetiamo strepitoso, e badate bene che qui non vi sono fan sfegatati di Ruggeri, tutt’altro. Ma tutte le persone alle quali lo abbiamo fatto sentire son rimaste entusiaste dandoci conferma delle nostre convinzioni. Vi suonano Luigi Schiavone, Francesco Luppi, Paolo Zanetti, Fabrizio Palermo e Marco Orsi e vi collaborano Elio, Andrea Mirò e Davide Brambilla da anni con Davide  Van De Sfroos. Prodotto da Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone. Per me disco italiano dell’anno, per il resto che pascola fuori inesistente. Belin che mondo!

  

NICOLA GENOVESE  

Malvestito   (2013)

Nicola Genovese, lucano di origine ma cresciuto musicalmente in Toscana ama il jazz, suona indifferentemente piano, batteria e chitarra. Ėanche architetto e come crea ambienti ha plasmato e riempito gia due album che son stati arredati con oggetti di diversa stazza e fattura. Tra i musicisti che lo accompagnano oltre a un nutrito gruppo di elementi nostrani tra i quali Leonardo Baggiani e Alessandro Suggelli che lo accompagnano da tempo con la consolidata formazione NMG Trio si avvale di una violinista australiana e di una cantante del New Mexico. Un plauso allo stesso Genovese che ci ha inviato il cd con ben 5 pagine dattiloscritte mentre continuiamo a riceverne vari senza nessunissima informazione allegata!! L’album è piacevole e non essendo molto orecchiabile, sonorità jazzy da assimilare con calma, necessita di svariati ascolti per carpirne i misteri.Prodotto diretto e arrangiato da lui stesso medesimo e infine un cenno al libretto decisamente simpatico e ben fatto con i testi dei pezzi da lui scritti escluso uno tradotti anche in inglese. Concludiamo dicendo che canta a sua firma anche un brano in inglese e uno in spagnolo mentre si cimenta nell’unico non scritto da lui nella famosa Padam…..Padam che cantava con ardore la Piaf.

  

ALESSIO LEGA 

Mala Testa   (2013)

Alessio Lega, Targa Tenco 2004 per opera prima, ci dona a volte delle copertine cartonate straordinarie, ricordiamo la pittorica Sotto il pavé la spiaggia a e adesso questa fumettistica molto carina di Malatesta. Una piccola opera d’arte da collezione. Anche la Big Time merita un plauso per averci gentilmente inviato e donato il cd con tre pagine di comunicato stampa aggiuntivo. Dio  benedica anche loro come l’amico Genovese di cui sopra. Ormai non so quanti cd, libri, album, poesie abbia fatto Alessio. Ė sempre impegnatissimo e non mi stupisco mai quando scopro qualcosa nuovo di suo. Ho cinque lavori suoi, tutti molto belli e sentiti partecipatamene dall’autore che in ogni cosa che fa mette sempre una passione sfrenata e una bravura conclamata. Lega, che ama definirsi rivoluzionario e cesellatore in pantofole, nato in quel di Lecce e dimorante da anni nel milanese con questo suo album, il sesto, nel pieno senso delle sue convinzioni e dei suoi colti orizzonti ci regala l’ennesima opera di spessore ove la parte del leone la fanno sempre le parole che lui è abile a mettere in fila dando loro ragion d’essere. Il momento che ci avvince maggiormente è Monte Calvario fulgido esempio della sua arte d’arrotar parole. Ancora un piacere risentirlo.

  

ANTONIO PIGNATIELLO 

Ricomincio Da Qui   (2012)

Album d’esordio per Antonio Pignatiello con un lavoro nella sua prima parte in bianco e nero sospeso tra nebbie francesi dense di chanconniers , ombre, fumo, pioggia e …Francia intorno come la canzone Parigi di Paolo Conte qui tra l’altro riproposta. Nella sua seconda parte il cd assume un arcobaleno di colori come ne è pregno il nostro sud virando su atmosfere più calde contrapponendo questa solare meridionalità ai rimandi iniziali da Brel ,Montand, Ferrè e altri ancora. Della prima parte ci colpiscono la dolce elegia sentimentale di Folle, la bucolica ballata Non torna, di estrema intensità mentre dalla seconda parte dell’album quella geograficamente più vicina a noi il brano  25 anni dopo, da uno scritto di Franco Arminioche in modo terribile ci colpisce, commuove e indigna con questa talk song che riecheggia i drammi, mai sopiti, del terremoto del 1980 mentre allietano nel finale due Ninna nanne di atavica memoria. Tra i musicisti il sassofonista Pasquale Innarella. Presente anche un pezzo di Piero Ciampi, Tu no mentre tutto il resto è di Pignatiello che assieme a Giuliano Valori, coautore di alcuni pezzi, curano gli arrangiamenti. Un buon esordio per Antonio Pignatiello, cantautore notturno, come ama definirsi.

  

ALESSANDRO FIORI  

Questo Dolce Museo

Alessandro Fiori ex Mariposa esce con questo suo secondo lavoro solista Questo dolce museo, invero alquanto trascinato e leggermente tedioso a parte un paio di pezzi come la semplice filastrocca Giornata d’inverno che pur nella sua leggerezza si lascia ascoltare e Il gusto di dormire in diagonale che effettivamente può colpire per la sua originalità. Particolare pur nella sua ossessionalità anche Coprimi ma il resto, purtroppo, è noia.

  

MASSIMO BUBOLA 

In Alto I Cuori   (2013)

Sono lacrime parallele le rotaie del nostro cuore che ci seguono fino in fondo, oltre la curva del dolore. Da anni sosteniamo che nessuno nel nostro paese sia così bravo a coniugar parole come riesce in modo mirabile Massimo Bubola e ancora una volta queste parole messe in fila e da noi citate all’inizio della recensione  ci confermano che da decenni siamo nel giusto. Una cinquantina di minuti per ascoltare le nuove undici canzoni che formano il più recente album di Massimo. Bellissima l’iniziale Hanno sparato a un angelo che si colloca immediatamente tra le sua ballate più intense. Seguono Un paese finto che nella sua ritmica cadenza ripetitiva espone in modo semplice ma deciso i mali mai sopiti del nostro paese ferito giornalmente da cose ormai divenute insopportabili e Cantare e portare la croce che ne segue le tematiche. Ancora una splendida ballata da mettere nella bacheca dei suoi pezzi più belli con Al capolinea dei sogni dove la penna di Massimo tratteggia e imbastisce parole e la voce soffusa ma roca ci riporta ai fasti di Dostoevskij uno dei suoi capolavori. Lacrime parallele come detto è già brano epico mentre Analogico –Digitale, co-firmata con Beppe Grillo e Tasse sui sogni pur nella valenza granitica di ciò che vogliono significare  restano per la loro ripetitività  più difficili  da assimilare. A morte i tiranni non brilla come altri pezzi di Massimo, ma probabilmente dal vivo darà il meglio di se rispetto all’effetto che rende in studio. Sapida canzone di sentimenti contrastanti Una canzone che mi spacca il cuore pur nella sua intrinseca compattezza non par destinata ad entrare nel gotha della discografia del cantautore veronese mentre Ridammi indietro tanto è bella che sembra un outtake di Montresor  o Doppio lungo addio o Diavoli e farfalle come  uscita quindi dal suo periodo d’oro. Bellissima. Chiude In altro i cuori, title track e splendida conclusione per un album che ha dalla sua almeno cinque brani destinati ad entrare nell’olimpo di questo fantastico musicista e curvatore di parole che amiamo e seguiamo con passione e affetto dal suo secondo lavoro, quando appunto lo conoscemmo. Emozioni sgorgate a zampilli in questi anni ascoltando le sue canzoni e pazienza se l’uomo non ha un carattere facile, noi amiamo l’artista, il grande, grandissimo artista che c’è in lui.

 

MARTA SUI TUBI 

Cinque, La Luna E Le Spine   (2013)

Esce il nuovo album dei Marta Sui Tubi, il quinto della loro carriera dopo cinque anni che il gruppo si è stabilizzato in cinque musicisti. Chissà se sarà anche un disco da cinque stellette. Album solido, genere molto americana infarcita di leggera psichedelia, potremmo scomodare Terry and The Pirates. Atmosfere altalenanti tra la più arsa dolcezza e una robusta e grintosa simmetria rock fanno di questo disco un excursus tra generi differenti ma ingarbugliati tra loro creando un risultato finale di indubbio interesse e di ritmo sempre esponenzialmente più alto, lontano ovviamente mille miglia dalle atmosfere del Festival di Sanremo ma questo l’ha puntualizzato subito anche il loro front man Giovanni Gulino. Per la prima volta anche un brano in inglese. Eccellente lavoro di sintesi musicale sintetica e penetrante  posizionata su più piani paralleli.

  

MARCO IACAMPO   

Valetudo    (2013)

Inizio carriera in stile rock col nome di Goodmorningboy  per Marco Iacampo che con questo secondo album in lingua italiana passa a  un folk rock che attinge da maestri del passato e così tra qualche acustica chitarra che fa tanto  Loy & Altomare possiamo trovare tra le righe anche echi di bossa nova  stile Caetano Veloso oltre al minimalismo di Nick Drake,  al country acustico di Jim Croce / Maury Muehleisen e a qualche sprazzo di Claudio Lolli  Decisamente si stenta a pensare che sia disco attuale e non  un album degli anni settanta. Per carità, cd semplice, che oggi come oggi avrà fatica pensiamo a trovarsi un suo spazio anche se  a volte guardare indietro alle amabili sonorità di una volta può far anche piacere considerando che Non è la California è un piccolo gioiellino. Iacampo che si cimenta oltre che alla chitarra al basso, flauto, piano e percussioni con l’aiuto di cinque validi musicisti scrive testi e musiche producendo il tutto.

  

DANIELE RONDA  

La Sirena Del Po   (2013)

Già paroliere in alcuni occasioni di Nek e di altri artisti divide il di lui manager per alcuni anni prima di decidere nel 2008 di mettersi in gioco ritornando nella sua Piacenza e incominciando a utilizzare per se stesso le sue composizioni. Un paio d’anni dopo da il via alla distribuzione dell’album Da parte in folk, che parzialmente aveva messo a punto l’anno prima ma che aveva bloccato in fase di uscita non essendone soddisfatto. L’album in dialetto piacentino ottiene nel circondario un ottimo successo con oltre 5000 copie vendute dando di fatto il la a un aumento della popolarità necessaria per lo sviluppo della propria carriera. Adesso La sirena del Po onestamente alquanto Van De Sfroos oriented gira sul nostro lettore dandoci la sensazione si di un deja vu, Davide docet, ma dall’impronta decisamente piacevole. L’album vende bene, oltre le diecimila copie e Ronda riceve molti attestati di stima e alcuni premi oltre  a effettuare un tour di una ottantina di date che ha un notevole successo. Tredici brani solari e divertenti. Il Ronda si fa ascoltare con reale piacere anche se in alcuni frangenti la similitudine con  Davide Bernasconi, che ha avuto il grande merito  di far riscoprire la canzone dialettale,  è quasi imbarazzante anche se Daniele Ronda sta cercandosi una strada tutta sua e il fatto che il piacentino differisca un po’ dal comasco  potrà essergli sicuramente vantaggioso per far si che una certa distanza  tra i due possa chiarire meglio i suoi prossimi obbiettivi. Intanto ha vinto il Premio Mei come miglior progetto musicale dialettale dell’anno.  Per concludere un eccellente  album del quale ricordiamo le sfolgoranti Si strappano le nuvole, La birra e la musica e La sirena del Po.

  

MASSIMO PRIVIERO  

Ali Di Libertà   2013

Album numero tredici per Massimo Priviero che continua il suo percorso di ambasciatore di solide e dure verità messe in musica. Rock duro e combattivo per colui che a inizio carriera venne prodotto da Steve van Zandt e che in anni di gavetta, concerti, brani splendidi, e corse e urla al vento è diventato uno degli esponenti più significativi del rock urbano nostrano. Lo ricordiamo esplosivo alcuni anni fa al Tenco sia sul palco che la sera al dopo Tenco. Che poi le similitudini dei suoi pezzi con Springsteen inizialmente  e poi con Willie Nile, Graham Parker, Murray McLauchlan, Bob Dylan, Dave Alvin e molti altri possano aprire dibattiti infiniti non fanno altro che rimpolpare e rinverdire i grandi meriti barricaderi e combattivi del coriaceo menestrello veneto. Per confermare quanto diciamo, nella presentazione del cd inserita nello stesso libretto  Priviero dice  che “Ho scritto questo album come se fosse un viaggio lungo la mia strada maestra…e abbiate cura di voi e di quello in cui è giusto credere.” Canzoni che sanno di sabbia, ruggine, radici, movimento, terre e libertà. Canzoni che prendono dritto nel cuore e che la sua voce più rugginea del solito aiuta a scolpire maggiormente dentro di noi. Testi e musiche e arrangiamenti di Priviero aiutato da Alex Cambise per questi ultimi e, suonano con lui lo stesso Cambise le chitarre e il mandolino, Onofrio Laviola piano organo e tastiere, Oscar Palma la batteria, Mauro Abbatiello il basso, Michele Gazich il violino, Riccardo Maccabruni la fisarmonica e poi ancora Keith Eisdale, Giancarlo Galli, Paolo Bonfanti e Tommy Priviero. Chiude l’album Bacio d’addio e mentre ascoltiamo la voce di Massimo Priviero che canta “Questa è la fine del viaggio unico amico mio…” anche noi pensiamo al tempo, agli anni, alle cose che passano, cambiano, finiscono e siamo partecipi di un percorso fatto in tutti questi anni in sua compagnia tra miriadi di luminose storie raccontateci in musica a volte piano a volte gridate ma sempre in grande reciproca compagnia.

  

SESTO MARELLI   

Acciaierie E Ferriere Lombarde Folk

Ovviamente, da Sesto San Giovanni i Sesto Marelli, ex Desperados, con il loro disco di esordio che si potrebbe pensare disco duro in stile hard punk ma che invece già dal  titolo Acciaierie lombarde folk, denota l’impronta country-folk che il gruppo in circa quaranta minuti intende percorrere tra echi, fatte le debite proporzioni, dei Modena City Ramblers e dei mai dimenticati Gang. La provincia che non smette di sognare, lasciando la Madonna sull’altare ma che urla sono vivo lasciatemi gridare. Opera interessante, tonica e acerba nello stesso tempo ci consegna un gruppo che sicuramente avrà nel suo proseguo sempre qualcosa da dire e come dicono loro Che la festa cominci. Eccellente e cartavetrosa quanto basta la voce del leader Roberto Carminati che sembra perfetta per quello che la banda propone. Da sentire, ma prevalentemente  in un locale saltellando allegramente  e bevendo qualcosa che tra le quattro pareti di casa ove detto sound sarebbe penalizzato.

  

ALESSANDRO GRAZIAN  

Armi   (2012)

Inizio metallico sparato a bomba con armi , brano omonimo del disco di Alessandro Grazian, pittore e musicista padovano che però già nel secondo brano, Soltanto io, ridimensiona la sua artiglieria votandosi a pezzo diametralmente opposto spennellato di una calma disarmante. Solo negli ultimi brani, rispettivamente Non devi essere poetico mai e Il mattino, si ritorna a sonorità elettriche, addirittura con spruzzate reggae nel primo,  per concludere un disco comunque all’acqua di rose che certamente brutto non è ma neanche lavoro da restare scolpito nella memoria.

  

FRANCESCO DE GREGORI  

Sulla Strada  (2012)

On the Road. Francesco De Gregori dice che  nonostante il libro di Kerouac sia da anni considerando un must per ogni generazione a venire lui non l’ha mai letto e lo fa suo proprio in questo periodo. Spartana confezione cartonata per questo disco ennesimo della sua discografia, ormai si è perso il conto e se non ci sbagliamo dice anche che volutamente non son stati inseriti i testi dando così l’obbligo all’ascoltatore di farlo con maggior attenzione. Elegia o elogio del viaggio nel brano omonimo che apre questo disco che possiamo chiamare della nuova maturità, dell’introspezione o del proseguire il percorso viaggiando più saggiamente e con circospetta ponderazione. Passo d’Uomo accentua quanto detto col felpato passo di una ballata dylaniana d’antica memoria mentre Belle Epoque, che esula stranamente dal contesto musicale solito del cantautore romano, getta musicalmente un reggato ponte tra passato e presente mentre ancora la memoria fluttua per trasversali vie. Omero al Cantagiro continua con lo sguardo benevolo, forse, ma non tanto, oppure si, al movimento del passato coniugando appunto musica e viaggio quando tutto era più spartano, ingenuo, semplice, forse banale ma tanto tanto più vero del movimento attuale. Siamo al quarto pezzo e l’album ci è già entrato sottopelle come una buona parte del suo repertorio passato che passo per passo, perla dopo perla si è condensato da tempo attorno a noi e con noi prosegue viaggi e cammino. Semplice è invece un po’ meno immediata mentre Showtime  la Buonanotte  Fiorellino dei tempi nostri, filastrocca arroccata su un mid tempo essenziale e schietto. Come un quadro minimale esposto in un museo di ricordi inerenti le vecchi conflitti  La Guerra continua un epopea di tasselli bellici che De Gregori ha posizionato qua e la nella sua estesa discografia. Si cambia registro con la sorprendente Guarda che non sono io, per la nota ritrosia a essere autobiografico del cantautore che potrà smentire sin che vuole ma l’uomo con le buste della spesa che viene fermato e neanche infastidito ma contrariato prosegue per la sua strada, la solita strada, sappiamo decisamente che è lui. Lo vediamo, col suo sguardo rivolto al suolo, il peso delle buste piene, la voglia di svicolarsi, la gentilezza nel farlo e vediamo la sua barba e il suo cappello riprendere il cammino seguito dallo sguardo di chi l’ha riconosciuto e … lo guarda andare. Verso la sua strada. Il suo viaggio. Il suo mondo personale, che nelle sue canzoni può essere anche il nostro, ma solo su  palco racchiuso in quelle canzoni. Ragazza del ’95 è il trait d’union, ritmico e allegro, lo scherzo che attenua i movimenti importanti nella musica classica che porta a Falso movimento, ove l’autore improvvisamente si apre, scosta mezza persiana e ci dice dal suo eremo quanto è contento chiudendo con un aperto sorriso un album che trova posto tra quelli più belli del suo scintillante percorso. Nicola Piovani e Malika Ayane si aggiungono alla dozzina di musicisti ivi impegnati.

  

MAURO ERMANNO GIOVANARDI   

Maledetto Colui Che Ė Solo  (2013)

Maledetto colui che è solo è il bellissimo lavoro che Mauro Ermanno Giovanardi, una carriera densa di avvenimenti, corse ciclistiche, svariati gruppi tra cui i La Crus, dischi, ep, festival, premi e ne avremmo ancora per un paio di righe, accompagnato dal Sinfonico Honolulu fa uscire in dodici eccellenti pezzi, di cui tre nuovi, alcuni già editi riadattati per l’occasione e alcune cover strepitose.

Album che  dura circa i canonici 42 minuti che solevano durare una volta gli lp prima che l’avvento dei cd iniziasse a dilatarne i tempi in modo esageratamente eccessivo. Qua, come nel De Gregori di poco fa, anche li 42 minuti,  siamo grazie a Dio nella normalità.

Credo che uno dei pregi di questo lavoro sia la riscoperta di Nel Ghetto, brano di Alberto Radius originariamente su Gente di Dublino, disco straordinario, alquanto dimenticato e mai rieditato su cd, tra i più interessanti nella discografia italiana dei primi anni ottanta. Bellissima l’esecuzione mentre ottimi anche gli altri brani a firma altrui tra cui una Ho visto Nina volare  che incredibilmente, tanto è ben fatta, per una volta non fa andare al confronto con l’originale, cosa che sempre si fa quando si sente un brano di Fabrizio eseguito da qualcun altro. Da Ciampi invece  Livorno eseguita con Nada, Storia d’amore da Celentano, Non è l’amore che va via di Capossela e Noi duri di Fred Buscaglione. Eccellenti i pezzi a sua firma come detto ripartiti tra vecchi e nuovi con Accarezzami Musica e Anche se non lo sai di livello emozionale sopra la media. Ricordiamo infine l’apporto del Sinfonico Honolulu, orchestra italiana di ukulele di nove elementi, di valore internazionale.

  

DANILA SATRAGNO 

Jazz   (2013)

Danila Satragno, collaboratrice di vari artisti tra cui Ornella Vanoni, consigliamo per conoscerla meglio il libro della stessa Ornella recentemente edito Una bellissima ragazza, propone in questo curioso Sanremo in Jazz dieci brani tratti appunto dalle manifestazioni rivierasche rigorosamente, come il titolo dice, in veste jazzata. Si avvale dell’aiuto di musicisti di livello e spessore internazionale come Dado Moroni, Franco Cerri, Rosario Bonaccorso e Nicola Angelucci. Tra i brani, che in questa veste possono soddisfare o tediare l’ascoltatore a seconda dei gusti, ricordiamo volutamente di epoche differenti  Nessuno mi può giudicare, 7000 caffè, Nel blu dipinto di blu e Che Sarà. Molto bella la voce della cantante, che ricordiamo oltre ad aver scritto alcuni libri, ha insegnato la giusta ed equilibrata modulazione della voce  a vari artisti ed è nell’ambiente musicale decisamente un’istituzione. Piacevole il disco anche se soffre troppo della sindrome da piano bar.

 

DEBORAH PETRINA   

Petrina    (2013)

Eccellente intro musicale in questo disco di Deborah Petrina, molto bella la foto della copertina del disco  che cattura ed induce chi la guarda a mettere subito il dischetto nel lettore. Lavoro con interessantissima miscela dei suoni. Formazione professionale pianistica classica per questa artista musicista, danzatrice e performer a 360 gradi. Due brevi e importanti collaborazioni di John Parish, collaboratore di P J Harvey e di David  Byrne nobilitano un bellissimo lavoro di un artista che per la sua bravura meriterebbe sicuramente diffusa notorietà, confessiamo che non la conoscevamo, e questo disco ce la rivela come grande sorpresa. Non è certo opera di cassetta o destinata al grande pubblico ma considerando che la fanciulla ha scritto testi, musiche, curato la produzione sia artistica che esecutiva con estrema maestria siamo sicuri che un posto preminente nella musica se non di nicchia ma di culto se lo stia già meritando e il nome dei due artisti succitati che appaiono nel suo disco ce lo stanno a testimoniare.

   

NUMERO 6  

Dio C’è    (2012)

Dovrebbe essere il quarto album, oltre un paio di ep, questo per i Numero 6 gruppo genovese attivo dal 2003 che ha anche accompagnato il reading del libro di Enrico Brizzi Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro. Si parla di indie per la band ligure ma, almeno da questo album, si evince solo una semplice linearità pop che nulla toglie e nulla aggiunge a quanto già non si senta quotidianamente qua e la. Certo che non si può dire che non si lascino ascoltare con simpatia, buono per quando si guida spensierati o ci si fa la barba ancor un po’ assonnati.

 

GIOVANNI TRUPPI  

Il Mondo Ė Come Te Lo Metti In Testa  (2013)

Da grande voglio fare il giovinastro ci viene detto in questo atipico album registrato in presa diretta senza sovraincisioni alcune da Giovanni Truppi, voce, chitarre, pianoforte e Marco Buccelli, batteria. Atipico dicevamo per una sua folle impronta punk-delirante che ci consegna quattordici brani urlati e cantati quasi sguaiatamente che ci ricordano l’esagitazione di Ugolino cantante degli anni settanta, ma lui era solo scompostamente incazzato, autore di un manciata di brani di culto che ancor oggi ricordiamo con malcelato piacere. Di conseguenza non riesco a non farmi blandamente piacere anche questo sincopato furibondo eccentrico personaggio ma, devo farlo da solo se no i miei amici mi chiappano e rinchiudono da qualche parte. Diciamo che a tratti ricorda anche il Tricarico più sconclusionato. Ovviamente per restare in tema anche la copertina è alquanto folle anche, se data l’impronta eclettica del prodotto,  assolutamente accettabile. In questo momento sta semicantando/recitando/farneticando in modo tutto meno che aggraziato  “…Adesso mi sento come quando strappo la multa senza pagarla…”. Genialmente folle. Da provare per credere.

 

 NICOLA PISU 

Storie In Forma Di Canzoni   (2013)

Secondo album autoprodotto per il sardo Nicola Pisu del ricordiamo la sua collaborazione e amicizia con Don Andrea Gallo nel quale l’artista affronta forse perigliamente ma con buoni risultati, fondamentali tematiche legate all’esistenza odierna e così scorrono tra le pieghe delle sue canzoni la paura dell’oggi, l’indifferenza attuale, e poi sentimenti, paure, cronache, passioni, conflitti. Un disco da ascoltare con attenzione con tanti suoi amici che vi partecipano, a titolo gratuito, e due brani  sicuramente di grande livello ovvero Buon vento e Di Barbagia, De Andrè oriented, ma onestamente tutto l’album è eccellente elevandosi nella media delle cose che quotidianamente escono anche se con disappunto pensiamo che pochi ne saranno a conoscenza. Molto bella la presentazione che in seconda di copertina Pisu scrive a suo pugno da cui si evince  decisamente lo spessore e la simpatia del personaggio.

  

FRANCESCA MESSINA  

Femmina Ridens    (2013)

Otto brani solamente ma molto tosti per Francesca Messina che senza mezzi giri di parole mescola ritmi elettronici ripetitivi ma essenziali per le tematiche che esprime in questo Femmina Ridens ove lo scopo di giungere a un fine ben ricercato è instradato appunto da precise sue scelte ponderate che alla fine risultano vincenti. La voce è a tratti stridula, i ritmi non si modificano dall’inprint iniziale? Non importa è questo che l’artista vuole ed è il binario giusto per ottenerlo e arrivarci. Un disco questo importante che anche se può  rammentare empiricamente e portare similitudini, ma brevissime anzi istantanee, con altre artiste, ha una sua ben precisa e geometrica stabilità e riluce di forza e vita propria facendo defluire battiti del cuore, bit mentali e tocchettii di fugaci immagini. Un caleidoscopio di suggestioni probabilmente apprensive ma proprio per questo essenziali ed imprescindibili per un lavoro, certamente non facile, ma che come fosse pop art si esalta nella sue intrinseche  luci al neon che si accendono e spengono alternativamente in estrema rapidità. Diremmo essenziale e necessaria oggi come oggi un opera così e perfettamente a suo agio, crediamo,  come colonna sonora degli ambienti più moderni del Centre Pompidou di Parigi

  

L’ORAGE 

L’eta’ Dell’oro  (2013)

Album che appena comprato, dopo averne letto e sentito a destra e a manca, inaspettatamente ci ha alquanto deluso. Gli Orage escono con il loro terzo lavoro probabilmente penalizzato da una eccessiva lunghezza, circa 73 minuti, a meno che non lo si voglia considerare alla stregua di un doppio lp, ma è troppo lo stesso non essendo, almeno per ora assolutamente L’Orage un gruppo da doppio album. Il combo valdostano si avvale in questo lavoro della presenza, di Francesco de Gregori che canta con loro La teoria del veggente in versione dal vivo e del quale eseguono poi il Il panorama di Betlemme. Il disco che si lascia ascoltare con una certa semplicità vive anche di detta  presenza degregoriana e pur avendo sentito paragoni, per noi a sproposito, il gruppo è decisamente lontano da band come i Gang, i Modena City Ramblers, I Luf , i Lou Dalfin o i Sulutumana. Troppo  ripetitivi e ancora molto acerbi e con le voci assolutamente non all’altezza dei gruppi appena citati, cosa che ne limita notevolmente la potenzialità. Ma come dice Kerouak e anche De Gregari, sulla strada e per la strada le risposte. Per ora meglio continuare a percorrerla.

  

ANGELA BARALDI – MASSIMO ZAMBONI  

Un’infinita Compressione Precede Lo Scoppio  (2013)

Angela Baraldi assieme a Massimo Zamboni dopo due anni di spettacoli in giro per la penisola esce con un album in studio che è l’ennesimo documento artistico di questa  donna a tutto tondo che non si è mai fossilizzata su un solo versante per quanto concerne le forme d’arte che tende  costantemente a visitare. Processo entusiasmante dice lo Zamboni riferendosi a questo album che ha visto la luce tra ritagli di tempo sottratti a miriadi di impegni di entrambi ma che proprio per questo considerano  di importanza fondamentale. La voce di Angela è decisamente lo strumento portante di questo lavoro che rilascia visioni e sogni in quantità abbondante e importante mentre basilari sono i contributi dei musicisti che vi concorrono e che collaborano da anni con lei, Cristiano Roversi, Erik Montanari, Simone Filippi oltre a Giorgio Canali e Gianni Maroccoli rilevanti ospiti. Disco risoluto.

  

I GATTI MEZZI  

Vestiti Leggeri  (2013)

Troppo brutto per essere vero. Stendiamo un velo pietoso e non andiamo oltre.

THE PIEDMONT BROTHERS – Back To The Country

di Paolo Crazy Carnevale

18 marzo 2014

piedmont

THE PIEDMONT BROTHERS BAND
Back To The Country
(MZ 2013)

Quinta fatica discografica per la band pedemontana facente capo a Marco Zanzi e Ron Martin, rispettivamente lombardo il primo e del North Carolina il secondo, votata alla proposta di un country-rock di qualità confermato dall’ispirazione dei brani inclusi in questo Back To The Country.

La ricetta è precisa, apparentemente semplice, ma in realtà necessita di tanta passione oltre che di buone idee. L’idea alla base del disco è più o meno la medesima del terzo prodotto dell’ensemble (il quarto era una raccolta di outtakes), vale a dire una serie di composizioni azzeccate suonate dai vari componenti del gruppo – parlare di band è in realtà limitante perché questi Piedmont Brothers sono più una sorta di famiglia musicale – con la partecipazione facilitata dalla moderne tecnologie di personaggi che hanno fatto la storia del country rock. La vera carta vincente del disco, rispetto al suo predecessore, è che gli ospiti pur essendo più che presenti non rubano la scena ai titolari.

Le cover sono solo quattro, il che va tutto a beneficio della vena compositiva di Martin e soprattutto di Zanzi (non me ne vogliano gli altri fratelli pedemontani, ma Marco con le sue canzoni e i suoi arrangiamenti, per non dire della facilità con cui sa passare dalle chitarre d’ogni tipo a banjo, mandolino e all’occorrenza pianoforte, è da considerare senza tema di smentite la grande anima del gruppo): una bella And Settlin’ Down dei Poco interpretata da Richie Furay che è forse il brano meno “Piedmont” della raccolta, Colorado dei Flying Burrito Brothers cantata al femminile è perfetta e bellissima anche per merito della pedal steel di Gene Parsons, la dolce Carolina Star di Hugh Moffatt e infine In My Own Small Way di Rick Roberts. Il resto è tutto farina del sacco Piedmont, a partire dalla trascinante title track, (ancora con Gene Parsons e con una spruzzata irish) per arrivare a The Dark Stranger che vede presenti ben tre ex New Riders Of The Purple Sage, tra cui Buddy Cage alla pedal steel che conferisce al brano atmosfere tipiche del gruppo di San Francisco. True Aching Heart/Ceci’s Jig è un lungo medley in cui la tradizione nordamericana incontra quella irlandese a testimonianza del fatto che spesso le musiche di questi luoghi procedono su binari analoghi.

Belli anche lo strumentale Snowlakes, la song acustica All Is Not Lost, Waiting on A Train fermata e cantata da Martin, in cui Zanzi duetta con Gene Parsons, il primo con lo stringbender elettrico ed il secondo con lo stringbender acustico.

SUSAN CLYNES – Life Is…

di Paolo Crazy Carnevale

16 marzo 2014

Clynes Life

SUSAN CLYNES
Life Is…
(Moonjune Records 2014)

Le attenzioni della Moonjune Records, sempre attenta quanto si produce musicalmente a tutte le latitudini, sono rivolte stavolta ad una cantante autrice belga che debutta per l’etichetta di New York con quello che è a tutti gli effetti il suo primo disco ufficiale.

Susan Clynes, pianista e cantante si lancia sul mercato discografico con questo notevole prodotto interamente registrato dal vivo in tre differenti situazioni (da sola, in trio con basso e batteria e in duo con un violoncellista) che però per effetto del lavoro di mixer sembrano uscire da un’unica soluzione di continuità, quasi si trattasse di un’opera predefinita, con la sequenza dei brani (undici in tutto) studiata a tavolino.

Il punto di partenza è il jazz vocale, anche se poi ne restano le tracce solo in due brani, quelli incisi col trio (A Good Man e Ileana’s Song), in cui l’accompagnamento strumentale della sezione ritmica conferisce alle composizioni un abito smaccatamente jazz.

Di tutt’altra pasta le composizioni in cui la Clynes si accompagna al cellista Simon Lenski, quasi tutti brani di una certa durata in cui spesso Lenski sfiora il rumorismo particolarmente in Les Larmes, senza però mai togliere la scena alla titolare del disco che brilla in When You’re Dead e Pigeon’s Intrusion.

Il meglio forse sono le quattro tracce in cui Susan Clynes è in totale solitudine, padrona assoluta con la sua voce e il suo piano, con più d’un richiamo a cantanti come Essra Mohawk (a.k.a. la Sandie Hurwitz di zappiana memoria) o Laura Nyro. Se Le Voyage è uno strumentale da cui si potrebbe prescindere, Life Is, Tuesaday Rain e Linear Blindness sono invece particolarmente riuscite, quasi informali – i rumori di sottofondo del Bar Archiduc di Bruxelles in cui i brani sono incisi con tanto voci e bicchieri non disturbano affatto – e la conclusione affidata a Butterflies (di nuovo col violoncellista) è un crescendo entusiasmante che chiude degnamente il disco.

29ma Fiera del Disco di Varese

di admin

14 marzo 2014

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Fra pochi giorni si rinnoverà l’appuntamento con la Fiera del Disco di Varese, ormai giunta alla 29° edizione, che ancora una volta si svolgerà insieme alla 2° edizione della Fiera del Fumetto. Ci vediamo allora sabato 5 aprile e domenica 6 aprile all’AtaHotel di viale Albani, vicino all’ippodromo. Campa cavallo che il vinile cresce!

PHIL CODY – Cody Sings Zevon

di Paolo Crazy Carnevale

11 marzo 2014

cody

PHIL CODY
Cody Sings Zevon
(2014)

Sono passati dieci anni da quando Warren Zevon è passato a miglior vita, lasciando un grande vuoto nel panorama musicale. Nel corso di questi anni sono state pubblicate raccolte di sue canzoni eseguite da altri artisti, pubblicazioni postume d’archivio, qualcuno, come Bob Dylan ha eseguito le sue canzoni durante i propri concerti, ma se c’è un artista che è sempre parso particolarmente in sintonia con Zevon, questo è senza dubbio Phil Cody, cantautore e rocker oriundo dell’Ohio, ma da anni di base a Venice in California. Sono anni che Cody latita dal mercato discografico, credo che l’ultima apparizione sia stata proprio su uno dei due tributi a Warren Zevon, ma in realtà non ha mai smesso di comporre e suonare, anzi, ho avuto la fortuna di ascoltare parte del suo nuovo repertorio mentre lo stava rifinendo in studio e spero vivamente che queste nuove cose vedano presto la luce. Lo scorso febbraio, comunque, Cody ha messo in vendita online questo nuovo disco, tutto in onore del maestro e amico Zevon, che lo aveva ribattezzato Professor Shoemaker e voluto come spalla durante i suoi tour.

Dodici brani, ripescati un po’ da tutti i dischi di Zevon, registrati tra l’estate e l’autunno del 2013, perlopiù con il solo contributo di Steve “Guitar” McCormick, da anni amico e chitarrista di Cody, che ha accompagnato anche in un paio di tour italiani e che qui siede anche in veste di produttore suonando con Cody quasi tutti gli strumenti, salvo qualche comparsata di altri amici come il batterista Andy Kamman, il mandolinista Matt Cartsonis e il bassista Eric Lynn.

Un tributo molto intimo quello di Cody, che rilegge con passione, devozione, commozione le canzoni di Warren. Rispetto alle versioni originali scompare quasi del tutto il pianoforte – lo strumento di Zevon – e a pennellare i brani ci sono una moltitudine di strumenti a corda che McCormick sa introdurre e suonare come pochi, sia che si tratti di arpeggi, sia che siano svisate di bottleneck (McCormick è un cultore sfegatato di Lowell George). Il tutto registrato con una meticolosa attenzione all’unitarietà del suono. Indifference Of Heaven raggiunge qui un’intensità struggente, Don’t Let Us Get Sick non è da meno, Splendid Isolation – da sempre presente nelle scalette live di Cody – oltre ad essere una delle più belle composizioni di Warren è anche un’intensa cover. Johnny Strikes Up The Band viene spogliata del suo groove rock e rivestita da un bel mandolino, Boom Boom Mancini è il brano che apre il disco, ben supportato dalla batteria di Kamman, Mutineer è un’altra canzone intensissima con la slide che tesse armonie sotto il cantato, Hula Hula Boys mantiene tutte le sue malinconiche atmosfere hawaiane e Cody la canta con maestria doppiando la propria voce come solo lui sa fare. Play It All Night Long si regge quasi in toto su un arrangiamento di spoglie percussioni, mentre il finale è affidato a Lord Byron’s Luggage una delle composizioni recenti di Zevon, ancora con Kamman alla batteria, e a una bella rilettura di Desperados Under The Eaves, uno dei capisaldi del repertorio zevoniano, che era anche in chiusura del suo primo imperdibile lavoro su Asylum. Il disco è disponibile in download sul sito http://philcody.bandcamp.com/

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DAVID CROSBY – Croz

di Paolo Crazy Carnevale

8 marzo 2014

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DAVID CROSBY – Croz (Blue Castle Records/Alliance 2014)

Un disco solista di David Crosby nel 2014? E per di più intitolato col solo soprannome del titolare? Ci ho pensato su a lungo, questo dovrebbe essere il suoi quinto disco in solitudine, rimanendo nello stretto ambito della discografia canonica, considerando i CPR un gruppo – così come lo sono i Rides di Stills – ed escludendo le raccolte e qualche pubblicazione non del tutto autorizzata come il disco dal vivo per il programma radio King Biscuit Flower Hour.

Va subito detto, è un signor disco, fatto bene, suonato ancor meglio, ispirato. Ma va anche subito detto, a beneficio di chi fosse rimasto al primo, storico ed inarrivabile esordio del 1971, il Crosby dei giorni nostri è un’altra cosa. Non meglio, non peggio, semplicemente un’altra cosa.

L’altra faccia di una stessa medaglia se vogliamo, infatti il titolo sembra essere comunque una risposta al titolo del disco del ’71, If I Could Only Remember My Name – se solo potessi ricordare il mio nome – era il problema di David Crosby all’epoca, in mezzo c’era stato il secondo disco, dopo tempo immemorabile, che si intitolava Oh Yes I Can – certo che posso –, molto prima che la frase divenisse il motto di Barak Obama. E Crosby il suo nome se lo ricorda ancor oggi, anzi ricorda precisamente il proprio nomignolo, “Croz” appunto, titolo di questa nuova fatica che campeggia sulla copertina in cui il vecchio baffone è immortalato in un bello scatto opera del figlio Django.

Undici tracce, registrate perlopiù in vari studi californiani, assistito dall’altro figlio James Raymond – spesso alla firma da solo o con Croz e sempre dietro alle tastiere e altri strumenti – e da un manipolo di fedelissimi come Shane Fontayne, Marcus Eaton, Kevin McCormick e Stevie D, a cui vanno aggiunti per la cronaca anche Mark Knopfler nel brano di apertura, Wynton Marsalis e Steve Tavaglione.

La prima differenza che emerge col Crosby “smemorato” degli anni settanta è la conferma che il nostro ha quasi del tutto accantonato la composizione solitaria, ormai i brani sono in tandem e il sospetto è che Croz finisca con l’occuparsi più delle parole che delle note. Ma non è una novità, quasi tutte le sue canzoni dagli anni ottanta in poi sono così. Può piacere e può dispiacere – nel senso che le vecchie canzoni del Crosby erano indiscutibilmente uniche. Ma anche queste nuove, dicevo in apertura, sono in alcuni casi notevoli, tutto sta riuscire a mettere da parte quel primo maledetto disco che aveva il difetto di essere troppo bello. Perché il Crosby di adesso è uno che pensa ancora molto, uno che non ha mai dimenticato di essere stato uno degli indiscussi pontefici del movimento freak (per dirla con Bertoncelli), uno che non può permettersi di dire cose banali.

Le canzoni: Radio era già apparsa sul DVD concerto di CSN usc
ito nel 2012, si dimostra un buon brano e rimane presto nelle orecchie, meno invece Time I Have eseguita spesso nel tour estivo del trio che ha toccato anche la nostra penisola. What’s Broken, con Knopfler, apre il disco ed è un’altra buona composizione con la solista dell’ex Dire Straits a duettare con la pedal steel di James Raymond. Per il sottoscritto la palma di miglior canzone va a The Clearing, ma anche l’acustica If She Called – firmata da Croz in solitudine – affascina non poco, e che dire di Slice Of Time o di Set The Baggage Down, firmata con Fontayne, che inizia con un attacco di chitarra che per un attimo sembra riportarci ai vecchi tempi?

I brani meno convincenti sono quelli con Marsalis alla tromba e Tavaglione al sax, sarà per la mia idiosincrasia per le atmosfere jazzate, sarà che questi strumenti mi sembrano fuori luogo nel contesto crosbyano, così come l’eccessivo uso di campionamenti in Dangerous Night.

Ma per il resto, datemi retta, questo è un disco che scalda il cuore e la voce del protagonista (non ve l’avevo ancora detto, ma è cosa risaputa) non ha perso un briciolo di smalto rispetto alle origini e se nella conclusiva Find A Heart il sax di Tavaglione finisce per irritarmi, le armonie vocali costruite da Croz – l’architetto dell’armonia, come lo ha definito Dylan – sono ancora e sempre da peli dritti!

FreaKraut – 3. NEU!

di Marco Tagliabue

5 marzo 2014

Immaginate di piombare nell’anno di grazia 1972 e di rovistare con la consueta bramosia fra le novità discografiche nel vostro bugigattolo di fiducia. Improvvisamente, fra Foxtrot e Fragile, vi capita fra le mani un album che non può fare a meno di attrarre la vostra attenzione. Una copertina completamente bianca sulla quale campeggia –fronte e retro- una grossa scritta trasversale in arancio fosforescente, Neu! Null’altro. Sembra il depliant pubblicitario del supermercato di fronte…che Paul Whitehead o Roger Dean siano andati completamente in acido? Immaginate di essere talmente sprovveduti ed autolesionisti da portarvi a casa quello strano oggetto. E di metterlo sul piatto. Basteranno i primi dieci minuti per cambiare la vostra percezione della musica rock e, magari, anche parte della vostra vita. Hallogallo è una lunga cavalcata giocata sulla cupa progressione di un fitto tappeto percussivo –niente basso, solo una batteria elettronica- stemperata dalle intermittenze lisergiche di una chitarra agile e sinuosa. Sembra strano, ma non c’è un inizio e non c’è una fine, non c’è nemmeno una voce o una parvenza di melodia: solo un vortice di frequenze multicolori che imprigiona fin dalle prime note, fra gioia e tormento, estasi e delirio. Semplicemente, uno dei momenti più alti del (non solo kraut) rock. Poi il suono sembra perdere ogni connotazione, arrivano solo i segnali d’avaria da qualche astronave misteriosa: i corrieri cosmici, evidentemente, stanno cominciando ad andare alla deriva (Sonderangebot). E’ il preludio alle meraviglie di Weissensee. I ragazzi, evidentemente, devono essere un po’ furbi, perché hanno presso Hallogallo, hanno rallentato il ritmo e ne hanno ammorbidito la progressione: le aperture delle chitarre sono più liriche, limpide ed eteree, le atmosfere più dolci e rilassate, ma il risultato è tale da costringere al perdono. Girate il disco. Vi accoglieranno rumori acquatici, vi sembrerà di perfino di udire i gabbiani fra strane astrazioni chitarristiche. Im Gluck è ambient prima dell’ambient ma, appena cominciate a distendervi, un martello pneumatico vi riporta alla realtà. (Si, proprio un martello pneumatico, con buona pace degli Einsturzende Neubauten che pensavano di detenere il copyright!). L’incubo ha un nome, Negativland, e, anni dopo, ispirerà anche la ragione sociale di una band. Ma questo voi, nel 1972, non potete ancora saperlo. Qualche schitarrata, poi un incalzare ritmico preciso ed affilato solcato da chitarre quasi noise. Uno stop fra clangori da catena di montaggio ed un’accelerazione improvvisa, e poi ancora rallentamenti e ripartenze a velocità sempre diverse sulle quali le chitarre continuano a ricamare le loro trame stridenti. Proto-industrial? Lieber Honig chiude l’album con una sorpresa: una voce afona e forzata intona una melodia tenue e dolcissima che sembra voler nascondere a tutti i costi. E’ incastonata fra le frasi asettiche di un organo ed i soliti rumori acquatici, che riportano al silenzio. A questo punto, e poi finiamo il giochino, immaginate di chiamarvi David Bowie e di rimanere folgorati da questo disco. Talmente stregati da mettere in cantiere un viaggio a Berlino dall’amico Brian Eno, già avvezzo a quell’aria da qualche tempo, ed una trilogia che rappresenterà una svolta per la musica rock. 40% del merito ai Neu!, 40% a Bowie e 20% a Eno: le percentuali potete anche cambiarle ma, in ogni caso, è nata la new wave. E, non dimenticatelo, siamo ancora nel 1972.

Neu!, da Dusseldorf, sono Klaus Dinger e Michael Rother, e rappresentano, insieme ai Faust, la frangia più iconoclasta (e più influente) del rock teutonico. Entrambi gravitano nell’orbita dei primissimi Kraftwerk: Dinger è nella line up dell’esordio a 33 giri dei futuri uomini macchina, ma molla tutto subito dopo l’uscita del disco per inseguire la nuova avventura. I due si chiudono in uno studio di registrazione e mettono su nastro la magnificenza di cui vi abbiamo appena reso partecipi in quattro notti, da soli, con il contributo in cabina di regia di Conrad Plank, altro musicista del giro Kraftwerk. Neu! vende abbastanza bene in Germania e in Gran Bretagna ma i due, progetto essenzialmente di studio, non riescono a capitalizzare per la difficoltà di riprodurre le loro sonorità dal vivo. Un tentativo di tour viene in breve tempo abortito. Neu! 2, edito nel 1973, ricicla genialmente grafica e soluzioni strumentali del predecessore. La copertina è identica: sfondo bianco con scritta in grigio e, sovrapposto, un grosso 2 lilla in vernice a spruzzo. Un’abitudine che i nostri manterranno anche nel capitolo successivo, in cui il fondale diventerà nero e la scritta bianca. Fur Immer apre l’album e richiama immediatamente Hallogallo, ne sembra addirittura un rifacimento in chiave quasi pop: il caratteristico incedere ritmico più marcato, qualche cambio di tempo, le chitarre meno estatiche, più dirette ed incisive. Spitzen Qualitat è una danza pagana per la società industriale: le percussioni martellanti scandiscono ritmi tribali, qualche cambio di tempo e disturbi elettronici in sottofondo. Gedenk Minute esibisce, nel lasso di tempo indicato, un rintocco di campane su correnti elettroniche mentre la successiva Lila Engel, che chiude la prima facciata, mostra la consueta progressione ritmica con le chitarre a fare scintille ed una voce sgraziata a scandire il ritmo. Il secondo lato fa letteralmente impazzire lo stereo: siete avvisati quindi, è perfettamente inutile prendersela con il vostro fedele compagno! Neuschnee e Super, già edite su singolo, ritmo marziale con splendidi arabeschi psichedelici la prima e proto techno la seconda, vengono riproposte in tutto cinque volte in versione canonica ed a velocità diverse; in mezzo, strano riempitivo, un estratto di Fur Himmer viene condito da qualche chiacchiera e ribattezzato Hallo Excentrico! Vale a dire come completare una facciata con avanzi e frattaglie manipolando qualche nastro e divertendosi con il cursore della velocità di registrazione: ardita sperimentazione o vuoto creativo? Un giochino, in ogni caso, cui nel futuro avrebbero messo le mani in tanti. Esisterebbe, per la verità, una terza pista che imputa alle voci di un prossimo fallimento della label la necessità per i nostri di affrettare le registrazioni magari, come abbiamo visto, con qualche trucchetto di troppo… Ad ogni modo Neu! 2 è stato ultimato in quattro giorni come il più compiuto predecessore: a questo punto a voi l’ardua sentenza. Molto probabilmente, gusto per la provocazione a parte, ad essere venuta meno è essenzialmente l’ispirazione, tanto è vero che le strade dei due si separano appena dopo la pubblicazione dell’album.

Rother, con il solito Conrad Plank in regia, si unisce a Hans-Joachim Roedelius e Dieter Moebius dei Cluster per il varo del progetto Harmonia, al quale sono ricondotti due album, Musik Von Harmonia (1974) e Deluxe (1975), più orientati al versante cosmico. Dinger, dal canto suo, inizia a confezionare i suoi La Dusseldorf. Ma prima c’è il tempo per un altro miracolo. Il solito Plank riacciuffa i due prima che le rispettive strade si separino definitivamente e, con un organico allargato a Thomas Dinger, fratello di Klaus, e Hans Lampe alle percussioni, Neu! risorge dalle proprie ceneri con una mirabile creazione. Neu! 75 è il disco più compiuto e, forse, il capolavoro della band. E se abbiamo parlato di miracolo non è soltanto per usare i soliti superlativi: è perché tale compiutezza sembra altamente improbabile, se non impossibile, se si pensa che i due -che vivono un po’ da separati in casa- non si vogliono affatto bene. Le due facciate dell’album, in ognuna delle quali è ben evidente una distinta paternità, quella di Rother e dei suoi Harmonia nella prima e quella dei futuri La Dusseldorf nella seconda, sono lì apposta a dimostrarlo. Eppure Neu! 75 è il disco nel quale l’anarchia dei capitoli precedenti si sviluppa finalmente in un senso compiuto, nel quale il duo, in punto di morte, scopre la quintessenza del proprio suono. Isi ha l’incedere ritmico tipico dei Neu! ed una melodia pianistica alla quale fanno da contrappunto le frasi del sintetizzatore: il culmine dell’armonia e del buon gusto nella storia della band. Seeland rallenta il tempo, una chitarra traccia algide linee lisergiche attorno alle quali ruota la sezione ritmica mentre il synth, senza disturbare, emerge a tratti. In Leb Wohl pioggia e sciabordii marini (un tema ricorrente, lo abbiamo visto) cullano una melodia pianistica alla Satie con un tenue cantato ed un filo d’organo in sottofondo: i Neu! sembrano prossimi al silenzio. Ma è mera illusione… Sulla seconda facciata, in Hero e After Eight, i due si fanno improvvisamente cattivi: è il krautrock punkizzato, erano gli Stooges e saranno i Sex Pistols, un’immensa forza centrifuga dalla quale nasceranno anche gli Ultravox! che, non a caso, hanno un punto esclamativo in comune con i nostri. In mezzo i dieci minuti di E-Musik, teutonica confusione fra ritmi meccanici e perversi che sfociano, nel finale, in una breve melodia pianistica sormontata da fruscii elettronici e da un canto d’oltretomba. Ora è veramente la fine. Mentre Rother, terminata l’esperienza Harmonia, si accontenterà di una carriera solista di secondo piano, Dinger, con il fratello Thomas e Hans Lampe, più il contributo esterno di Nikolaus Van Rhein alle tastiere e del bassista Harald Konietzko, pubblicherà nel 1976 l’omonimo debutto dei La Dusseldorf, al quale faranno seguito Viva, nel 1978, e Individuellos nel 1980. Tutte opere che, nelle pagine migliori, contaminano l’incedere selvaggio dei Neu! con temi più lirici ed impressionisti. Ci sarà infine il tempo di scoprire, a metà anni novanta con la pubblicazione postuma di Neu! 4, che i due avevano provato a far la pace fra il 1984 ed il 1985. Ma, ahimè, senza troppa fortuna ed ancor meno passione.

da LFTS n.70

Secondo voi…

di admin

5 marzo 2014

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…che cosa fa John Mayall non appena ha un minuto di tempo?