Archivio di novembre 2017

Domenica 3 dicembre la prima edizione della Fiera del Disco di Seregno

di admin

29 novembre 2017

fiera del disco[548]

Seregno (MB) si appresta ad ospitare la prima edizione della Fiera del Disco, presso il Club “Honky Tonky”, in Via Comina 35/37.
Apertura dalle ore 10 alle ore 19, INGRESSO LIBERO.
Per maggiori informazioni: Facebook: Rock Paradise Fiera del Disco.
Telefono: 338 4273051

MARIA LAPI – Tra Me e il Mare

di Ronald Stancanelli

23 novembre 2017

Maria Lapi[542]

MARIA LAPI
Tra me e il mare
2017

Tra le proposte ultime che vedono ai vertici il genere femminile mai in auge come in questo periodo con uscite interessantissime sia straniere che nostrane, ci sembra giusto accludere l’ottimo anche se breve lavoro che Maria Lapi con il titolo Tra me e il mare propone in solare ed aggraziata veste. La fanciulla, che ha la fortuna di possedere una voce dolcemente rotonda e di conseguenza piacevolissima, non è al suo esordio come parrebbe ma aveva già dato alle presse un disco lontano nel tempo ormai sette/otto anni che si intitolava Ignote Melodie che ahimè non conoscemmo e non conosciamo.

Ma fortunatamente ci è stato inviato da Trame Comunicative questo luminoso e brillante supporto musicale che ci sta allietando da qualche giorno irradiando la sua benefica e magica solarità in tutta la stanza. Di primo acchito mi ha fatto venire in mente la altrettanto brava Marian Trapassi ma è questa mia una sensazione molto personale salvo restando che entrambi i lavori delle due musiciste sono decisamente accattivanti e di intenso spessore. In questo Tra me il mare oltre alla voce della Lapi, vincenti sono produzione e arrangiamenti che “lanciano” l’album verso vette di inusitato sincopato piacere essendo ogni arrangiamento di ogni singolo pezzo ben ponderato e perfettamente integrato nel senso delle parole che lo compongono. Tra brani più lenti e rilassati come Stregata dalla luna e quelli più ritmati e colorati come C’era da fare ci sta un mondo di altri otto brani che concorrono a costruire un dischetto molto interessante ove musiche, voce, parole, arrangiamenti e inflessioni gli farebbero dare, se la nostra rivista sia cartacea che virtuale li desse, tranquillante ben quattro stellette.

La cosa che adesso credo possa interessare maggiormente al lettore sia il sapere l’autore dei testi e in questo caso anche delle musiche che sono della artista in questione a parte un pezzo, Conversazione di Amurri-Canfora scritta precedentemente per Mina, e questo va decisamente a vantaggio della bella e brava cantautrice. Qua ormai si è ammalati di esterofilia in tutti i campi, a volte forse a ragione ma spesso anche a torto e parlare e cercare di divulgare artisti nostrani che probabilmente non godono di una giusta e doverosa visibilità credo non solo sia ragionevole ma imprescindibile. Ben vengano quindi l’album della Lapi e artisti come, vado a braccio su alcuni che ultimamente mi hanno emozionato, appunto Marian Trapassi, Mimosa, Luigi Maieron, Lara Molino, Michele Gazich, Vale & The Varlet, Johann Sebastian Punk, Tiziano Mazzoni, Alice Pisano e tanti altri ancora, fortunatamente. Tornando al lavoro della Lapi, tenui, delicati, eterei alla Excupery come disegni o acquarelli i testi e immediate ed essenziali le musiche ove le chitarre di Samuele Rampanti, il basso di Fabrizio Fogagnolo, la batteria di Stefano Tedesco, il violoncello di Mattia Boschi, il contrabbasso di Ivo Barbieri e la tromba di Raffaele Kohler si rendono oltremodo piacevoli sin dal primo ascolto. Simpatico il disegno di copertina e belle le foto interne della Lapi. Nell’apparente semplicità si nascondono dischi di indubbia essenzialità. Un gran bel cd indubbiamente da consigliare senza remore alcune.

MIMOSA – La Terza Guerra

di Ronald Stancanelli

23 novembre 2017

MIMOSA LA TERZA GUERRA[539]

MIMOSA
LA TERZA GUERRA
2015 Vintage Records- Arte Vox Musica

Per la serie non è mai troppo tardi ! Questo cd mi era giunto x posta il 16 ottobre 2015 e se l’avevo preso all’epoca in considerazione per il Premio Tenco poi era restato in una doppia pila di cd da recensire che sembravano due grattacieli e ogni tanto quando mi ricapitava in mano mi ripromettevo sempre di farne tesoro e buon uso, riascoltandolo e scrivendone appunto poiché detta mia volontà giungeva da ricordi ormai lontani che mi dicevano quanto detto l’album all’epoca lo avessi apprezzato. Ma si sa il tempo è tiranno, passa velocemente, quando ero bambino qualcuno mi ci aggiungeva “ e tu non perderlo inutilmente”! Invece riguardo questo cd il tempo l’ho fatto trascorrere, forse anche un po’ troppo ma ribadisco l’iniziale partenza di questa recensione, essendo nulla nella vita mai troppo tardivo eccomi a recuperarlo non dico prontamente ma giustamente!

Premetto che non conoscevo assolutamente detta fanciulla dal floreale nome di Mimosa che debbo dire mi aveva conquistato col suo dischetto sin dal primo ascolto. Era ( ed è) un disco tosto, con anima, graffiante, affilato, molto acuto e se il termine non è ne abusato ne esagerato un disco femminile punk del terzo millennio. Tanto la sua forza è dirompente, tanto la voce della cantante è piacevole, incisiva e granitica che non riesce a non insidiarsi sotto pelle all’ascoltatore semplicemente al primo ascolto. Ribadisco, non conoscevo la fanciulla se non per questo suo tributo artistico e dalla foto di copertina ove risaltavano i suoi profondi, scuri occhi intelligenti; foto questa che aumentava a dismisura l’interesse per detto supporto musicale. Per noi di Late generalmente orientati su filoni musicali americani o europei, anche se da anni il sottoscritto per il Premio Tenco aveva diffusamente iniziato ad occuparsi di artisti e supporti musicali nostrani. Per quanto concerne una doverosa ricerca sull’artista ho scoperto che la deliziosa fanciulla, che poi pur restando deliziosa ha però compiuto a ottobre trent’anni e quindi con alle spalle già una carriera, non lunghissima, ma di certa estensione e, decisamente interessante.
Dedicatasi da ragazzina allo studio del canto e del pianoforte in Milano ha poi iniziato a studiare recitazione frequentando il Laboratorio permanente su Shakesperae di Milano e poi il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, frequentando nel contempo la facoltà di filosofia. Nel 2002 l’esordio in teatro con più lavori tra cui un impegnativo monologo. Nel 2006 l’esordio nel cinema con la pellicola Sfiorarsi. Nel 2007 quello televisivo con Incantesimo che presumo fosse uno sceneggiato a puntate. Negli anni a venire altri film e nuove produzioni televisive che le fanno vincere nel 2011 il Music Contest in ambito teatrale in quel di Roma. Scrive musiche per spettacoli teatrali e prende parte alla soundtrack di Niente può ferrmarci. Per quanto concerne il versante teatrale grandi sono le soddisfazioni coprendo il ruolo di Giulietta per il Romeo e Giulietta di Proietti e poi assumendo le fattezze di Cordelia nel Re Lear e di Ero in Molto rumore per nulla. Sono comunque ormai oltre una decina le sue interpretazioni teatrali, quattro i film in cui recita e cinque le produzioni televisive alle quali ha dato il suo volto e la sua recitazione. Si arriva poi due anni fa all’esordio discografico vero e proprio, aveva già pubblicato sue composizioni in rete, con La Terza Guerra album che l’anno dopo vince il premio siae Miglior Musica e il Premio della Critica col pezzo Fame d’aria tratto dall’album in questione.

Album che in questo momento stiamo riascoltando e che bellamente riempie di note, parole, suoni e ritmi lo spazio attorno a noi.

Mi sembra d’impazzire racconta di stress e alienazioni odierne con ritmi piacevolmente sincopati e la voce dura e tagliente della cantante autrice di tutte le canzoni, quindi in toto cantautrice. Brano questo che da il titolo a tutta la raccolta. Arance in odore di pulita ecologia entra in circolo con una intensa e robusta interpretazione della fanciulla che in Fame d’aria, pregna di un sospiro vintage rivolto alla musica, forse, del passato è pregevole e piacevolissimo pezzo. Molto bella direi struggente e mirabilmente raccontata Fakhita nella sua drammaticità odierna. Mirabilmente avviluppata tra necessaria ecologia e sintomi di sentimentale bisogno l’ironia della fantastica Voglio avvelenarmi un po’ seguita da Bambola, brano di indubbia originalità, la ragazza ha una notevole dote per specificare fatti e cose con interessanti giri di parole. Il ragazzo sbagliato è canzone ove la disanima di sentimenti contrastanti e contrastati è messa giù con mirabile bravura e ancor una volta Mimosa eccelle nel dipingere con sapienti e accorti tocchi i suoi pensieri poi sapientemente musicati con ritmìe moderne ed accattivanti. Ne La palestra della scuola l’artista eccelle ancora una volta nel disegnare odierne situazioni giovanili con tempra e bravura davvero notevole. Eccellente il connubio testi e tipologia di musica e ritmi utilizzati, ed è sicuramente questa la formula vincente del disco che a differenza di lavori similari di altri artisti che sono sempre tratteggiati di malinconica e disarticolata disarmonia. Qua invece nonostante a momenti e testi crudi e reali regna bellamente l’armonia dell’interpretazione e dei suoni utilizzati. Non ero io, drammatico testo sulla nota vicenda della ragazza, sfigurata dal fidanzato o presunto tale, con l’acido, è intanto pezzo che espresso in questi termini solo una brava scrittrice può scrivere. Denti altro pregevole tassello di intensa ragione, chiude un disco veramente bello di grande forza e spirito interiore di vita. Doveroso ascoltarlo e che consiglio a tutti ma specialmente ai più giovani che ne traggano esempio e riflessione per tutti i contesti possibili ed immaginabili.

Mimosa oltre a cantare suona pianoforte, mellotron, percussioni e sintetizzatori coadiuvata da Stefano Consigliano, batteria, Leo Pari, mellotron e Simone De Filippis, toy tastiere e percussioni. Disco intelligente cosa se non rara di certo non consueta oggi giorno. Consigliatissima straordinaria opera prima.

HAT CHECK GIRL – Two Sides To Every Story

di Ronald Stancanelli

23 novembre 2017

HAT CHECK GIRL TSTES[536]

HAT CHECK GIRL
TWO SIDES TO EVERY STORY
2016 gbm music

Two Side to Every Story, qua c’è una s in più, era un album del 1977 di Gene Clak, uno dei suoi più belli, almeno per noi, ricco di suggestioni con dieci brani che formavano un corollario così piacevole che lo collocavano tra le uscite più importanti dell’anno in corso.

Adesso di anni ne sono passati esattamente quaranta e tra le mani abbiamo un cd quasi dello steso titolo ma accreditato al gruppo, che poi è un trio, gli Hat Check Girl. Lei è Annie Gallup, voce, chitarra elettrica e steel guitar, loro sono Peter Gallway, voce, chitarra elettrica, tastiere, basso e aggiuntive percussioni e il notissimo session man Jerry Marotta qua ovviamente alla batteria e percussioni.

Trattasi di 10 brani scritti dal duo Gallup/Gallway in perfetto genere country folk in stile decisamente edulcorato, gentile e a tratti dolcemente vintage. Un album piacevolissimo che profuma di sinuose colline ed estese praterie ove i nostri amici musicisti tessono tele e trame di notevole limpidezza e purezza di suoni.

Potremmo citare a par loro artisti a noi cari ormai lontani nel tempo come Mary Mc Caslin, Jim Ringer o Suzanne McDermott, musici di gentilezza di intenti e suoni senza pari per indirizzare l’ascoltatore attento e preparato ma alfine ci limitiamo a consigliare questo dischetto ebbro della capacità di esercitare suoni e melodie di intensa bellezza ove i tre artisti coinvolti donano tutti loro stessi con drappi di inestimabile soavità. Un disco lontano dal rumore, dal frastuono, dal rimestio odierno e beatamente colorato e tinteggiato di suoni quasi eterei, impalpabilmente inafferrabili che possono regalare 45 minuti di purissima bellezza. Se avete amato gli artisti inizialmente citati lo scoprire oggigiorno questi altri tre sarà una piacevole sorpresa.

RICK ESTRIN & THE NIGHTCATS – Groovin’ In Greaseland

di Paolo Crazy Carnevale

23 novembre 2017

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RICK ESTRIN & THE NIGHTCATS – Groovin’ In Greaseland (Alligator 2016)

L’Alligator di Chicago da label di nicchia, quale era nata all’inizio degli anni settanta, ha acquisito, pur mantenendosi indipendente dalle deprecabili politiche discografiche delle majors, un consistente status di etichetta imprescindibile e fondamentale per quanto riguarda la musica blues contemporanea.

Il disco di Rick Estrin e dei suoi gatti notturni ne è la testimonianza: forse non si tratta di blues allo stato puro, tanto meno è blues conterraneo dell’etichetta (Estrin e soci sono di base a San Francisco), ma pur sempre di un bel disco si tratta, non irrinunciabile ma assolutamente godibile.

Estrin e la sezione ritmica del gruppo hanno inciso per anni come Little Charlie And The Nightcats, poi dopo un cambio di formazione che ha visto l’ingresso del chitarrista scandinavo Kid Andersen (davvero molto bravo) il gruppo è divenuto Rick Estrin & The Nightcats, riconoscendo a Estrin, voce, armonica e principale penna del gruppo la meritata leadership.

Estrin per la verità non è certo un pivellino, ha sessantotto anni e – se la voce non è delle più tipiche e belle in ambito blues – come armonicista e come autore è davvero notevole, tanto che le sue canzoni hanno avuto l’onore di venire incise da gente come Robert Cray e John Hammond Jr..

Questo quarto disco inciso dalla formazione attuale vede oltre ad Estrin e Andersen il batterista Alex Pettersen ed il tastierista/bassista Lorenzo Farrell, qui poco bassista (c’è una schiera di ospiti che supplisce) e molto impegnato con delle insinuanti tastiere che sono uno dei punti forti del prodotto.

Si inizia con il boogie blues The Blues Ain’t Goin’ Nowhere, solido e riuscito veicolo per l’armonica del leader e si prosegue con l’altrettanto interessante Looking For A Woman, mentre Dissed Again pare meno all’altezza della situazione. Molto meglio Tender Hearted, ballata notturna sorretta da un organo da brivido. MWAH! È l’exploit che non ti aspetti, uno strumentale a metà tra surf e garage, molto sixties ma col vantaggio di una produzione moderna, gran bel pezzo, non sarà molto in tema col blues, ma chi se ne frega!

Il blues per altro è dietro l’angolo e torna a farsi sentire subito con I Ain’t All That (con Farrell che suona il piano, Andersen alla chitarra ruvida mentre l’armonica s’infiltra benone nel mix) e con la seguente Another Lonesome Day, lenta e pianistica, di nuovo ottimo veicolo per dimostrare l’abilità di Estrin all’armonica.

Hands Of Time è più furbetta, accattivante con l’organo che tinge di funk la composizione e la chitarra che rifinisce; Cool Slaw è un altro strumentale, stavolta in chiave Booker T, non a caso l’autore è Farrell ma l’armonica è sempre presente. Più routinarie Big Money e Hot In Here mentre piacciono Living Hand To Mouth che ha un bel lavoro di Andersen e la conclusiva So Long (For Jay P.), altro strumentale, stavolta tutto ad appannaggio dell’armonica di Estrin che domina dall’inizio alla fine.

A Milano la Fiera del Disco e dell’Editoria Musicale

di admin

13 novembre 2017

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Il prossimo 19 novembre, a Milano, presso il PIME di Via Mosè Bianchi, 94 (MM Lotto) si svolgerà la prima edizione della Mostra del Disco e dell’Editoria Musicale.

La manifestazione avrà luogo dalle 10.00 alle 18.00
INGRESSO LIBERO

Late presente.

A Varese la 36ma edizione della Fiera del Disco

di admin

8 novembre 2017

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Sabato 11 e domenica 12 novembre si svolgerà a Varese, presso l’ATAHOTEL di Via Albani, 24 – zona ippodromo – la 36° edizione della Fiera del Disco di Varese.

Ingresso come sempre libero, dalle 10.00 alle 18.00. parcheggio libero.

Facebook: Fiera Del Disco Varese

MACHINE MASS – Plays Hendrix

di Paolo Crazy Carnevale

4 novembre 2017

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MACHINE MASS – Plays Hendrix (Moonjune Records 2017)

Suonare Jimi Hendrix… credo non ci sia musicista, soprattutto chitarrista che non sia esente da questa tentazione che spesso si può rivelare insidiosa. Come è insidioso comunque sempre cimentarsi con altri autori se non si ha l’idea fulminante di come affrontarli.

I Machine Mass sono una formazione belga che calca le scene da un po’ di tempo ed ha già altri dischi al proprio attivo su etichetta Moonjune, dischi all’indirzzo di un prog-jazz abbastanza free e interessante. Devo dire che quando mi è capitato questo loro omaggio al mancino di Seattle sono rimasto incuriosito, e non poco: a giudicare dalla confezione il disco si presentava succulento, bella copertina con tanto di ripresa del logo/firma di Hendrix usato ormai per tutte le ristampe e come marchio dell’etichetta di famiglia. Purtroppo, come insegnava il vecchio Bo Diddley, “You can’t judge a book by the cover”!
Il chitarrista Michel Delville e soci danno l’impressione di aver voluto stravolgere eccessivamente le composizioni di Hendrix, elaborandole all’eccesso, rendendole spesso irriconoscibili, tranne laddove ci sono dei riff che non è possibile tralasciare o ignorare.

Inoltre, non dimentichiamolo, i brani di Jimi erano canzoni e qui, da buon gruppo jazz i Machine Mass li fanno diventare composizioni strumentali. E questo passi, non sono i primi a fare operazioni del genere, ma l’impressione è che al risultato finale manchino la rabbia, l’urgenza, la grandezza immensa delle versioni originali.

E, last but not least, l’originalità. Ascoltate Little Wing o Third Stone From The Sun: io non riesco a ritrovarmici, dove sono finite le composizioni di Hendrix?

Certo, con Purple Haze le cose vanno decisamente meglio, ma lì c’è quel riff di chitarra che se venisse eliminato da qualunque cover finirebbe per annientarla: la versione che ne danno i Machine Mass è apprezzabile, come anche il vestito di cui è ricoperta Spanish Castle Magic, lontano però anni luce da qualunque cosa Hendrix avesse potuto concepire.

Fire viene proposta in un’ossessiva versione quasi industriale che lascia intendere solo nella parte centrale il riff originale del brano, un po’ meglio vanno le cose con Voodoo Chile, ma il merito è in gran parte del brano che viene sviluppato partendo dalla su struttura originale, cosa che avrebbe giovato anche nell’approccio al resto del materiale qui incluso. Burning Of The Midnight Lamp dura poco più di tre minuti e offre una bella prova alle tastiere di Antoine Guenet, che del gruppo è il più recente acquisto. Segue una lunghissima You Got Me Floatin’ sostenuta dal drumming eccessivo ed eccessivamente preciso di Tony Bianco su cui Delville si prodiga in note distorte, financo citando l’assolo di Wild Thing suonato da Hendrix a Monterey che era già a sua volta una citazione dotta; poi la chiusura, breve, canonica e affidata a The Wind Cries Mary con tanto di voce campionata dell’autore.

Ricordo di aver letto in varie occasioni che se fosse vissuto più a lungo Hendrix sarebbe approdato alla musica jazz, che quella avrebbe potuto essere lo sbocco della sua vita artistica e musicale. Alla luce di quanto ho ascoltato in questo disco penso di poter affermare che in fondo sia stato meglio che Jimi se ne sia andato in quel momento se la sua prossima mossa sarebbe stata all’insegna di una musica cervellotica e senza convinzione come quella che si ascolta in questo tributo.
Peccato, perché in precedenza altri artisti Moonjune si erano cimentati con successo col repertorio di Hendrix, pensiamo a Boris Savoldelli e alla sua genialissima Crosstown Traffic, ai Doubt con Purple Haze.