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Rock & Pop, le recensioni di LFTS/6

di admin

25 agosto 2010

LIVE MADNESS

a cura di Paolo Baiotti

Il mercato discografico è difficilmente controllabile. Etichette indipendenti o affiliate alle majors si moltiplicano, come le pubblicazioni di dischi incisi dal vivo. L’abitudine di registrare Instant Live e di venderli dopo i concerti ha preso piede; iniziato con jamband come Widespread Panic e Phish, il fenomeno si è ampliato a gruppi di ogni genere musicale, dagli Allman Brothers ai Pearl Jam, dagli Who ai Black Crowes. Per non parlare delle reunion, ormai all’ordine del giorno. Tra le pubblicazioni più recenti ne abbiamo scelte alcune di particolare interesse per gli appassionati di classic rock e rock blues.  

 

BAD COMPANYbad company
Hard Rock Live
2009 Image CD+DVD

Nati dall’incontro di Paul Rodgers (ex Free) con Mike Ralphs (ex Mott The Hoople) sono stati una delle band più popolari degli anni ‘70. Classico hard rock con influenze blues e un pizzico di country, caratterizzato dalla formidabile voce di Rodgers, con la brillante sezione ritmica formata da Simon Kirke (batteria, ex Free) e Boz Burrell (basso, ex King Crimson). Hanno registrato sei albums tra il 1974 e il 1982, poi si sono sciolti. Nel 1986 Ralphs e Kirke hanno riformato il gruppo senza Rodgers, ottenendo risultati discreti. Nel 1999 c’è stata la prima reunion con Rodgers in occasione della registrazione di alcuni brani nuovi per la doppia eccellente raccolta Original Bad Company Anthology. Dieci anni dopo Rodgers, Kirke e Ralphs sono tornati insieme per un concerto a Hollywood Fl. recentemente pubblicato dalla Image (nel frattempo Boz è morto, sostituito da Lynn Sorensen al basso). Non mi aspettavo molto, invece il concerto è eccellente. Rodgers è in gran forma, sia fisica che vocale, confermandosi uno dei migliori vocalist in ambito rock blues. Ralphs se la cava egregiamente, affiancato dalla preziosa chitarra da Howard Leese (ex Heart) e la sezione ritmica non è da meno. La scaletta ripercorre la storia del gruppo, con sei brani tratti dall’omonimo album d’esordio tra i quali la title track, lo splendido slow Seagull e la trascinante Can’t Get Enough. Da Straight Shooter spiccano il singolo Feel Like Makin’ Love, perfetta fusione di rock e melodia e la ballata Shooting Star. Run With The Pack e Simple Man sono le tracce migliori dal terzo disco, mentre la title track Burning Sky è l’unico estratto dal quarto lavoro, inferiore ai precedenti. Il DVD ha un brano in più e una buona qualità visiva. Il buon esito della reunion ha convinto la band a effettuare un tour inglese nell’aprile del 2009, seguito da dieci date estive negli Usa, replicate quest’anno.

 

MOTT THE HOOPLE
Live At HMV Apollo 2009
2009 Concert Live 3 CDmott

Anche i leggendari Mott The Hoople si sono riuniti dopo trentacinque anni. Tre concerti a Londra (diventati cinque) nell’ottobre del 2009 al glorioso Hammersmith Odeon, nei quali Ian Hunter (voce, piano, chitarra), Verden Allen (tastiere), Mike Ralphs (chitarra) e Overend Watts (basso) hanno commosso un pubblico quasi incredulo. Il batterista Dale Griffin, seriamente malato, ha partecipato ai bis, sostituito dall’esperto Martin Chambers. I Mott sono stati una band di culto, non hanno avuto un successo pari alle loro capacità, hanno gestito male la loro carriera a causa di problemi di management (e per i loro rapporti interpersonali turbolenti), ma hanno avuto grande influenza sul glam rock inglese degli anni ‘70. La carriera solista di Ian Hunter è stata alterna, con momenti di splendore (basta ascoltare il recente Man Overboard), mentre Mike Ralphs ha raggiunto platee immense con i Bad Company. Ma i Mott sono ancora adorati da un consistente zoccolo duro di fan e il concerto del primo ottobre, pubblicato integralmente su CD, conferma la grandezza della band e la solidità di un repertorio notevole. Forse Ian non è molto credibile a settant’anni a cantare testi da adolescente incazzato, ma se non altro è in buona compagnia! I Mott dal vivo sono sempre stati una band potente, trascinante, a tratti un po’ confusionaria; caratteristiche confemate nelle due ore abbondanti del concerto londinese, aperto da Hymn For The Dudes, seguita dalla grintosa Rock & Amp; Roll Queen e da una discreta cover di Sweet Jane. La prima parte molto tirata prosegue con One Of The Boys e Moon Upstairs; è il momento di rallentare con due splendide ballate, The Original Mixed Up Kids e la commovente I Wish I Was Your Mother (con Hunter all’armonica). Ready For Love è un omaggio ai Bad Company, poi si torna ai Mott con Born Late ‘58 (un po’ caotica), seguita dall’autobiografica Ballad Of Mott (deliziosa) e da una travolgente Angeline. Il secondo dischetto si apre con il devestante medley Walking With A Mountain / Jumping Jack Flash, seguito da The Journey (uno dei capolavori della band) introdotta da una strofa di Like A Rolling Stone. Siamo alla parte finale del concerto, con il classico The Golden Age Of Rock ‘n Roll, seguito da Hanaloochie Boogie e dal rock irresistibile di All The Way From Memphis. I  bis comprendono l’epica Roll Away The Stone e All The Young Dudes, superba title track dell’album omonimo prodotto da David Bowie che diede il primo grande successo alla band. La cover di Keep A Knockin’ e la melanconica ballata Saturday Gigs, cantata meravigliosamente da Ian, concludono un concerto sicuramente indimenticabile per chi ha avuto la fortuna di essere presente. Il terzo dischetto comprende un video e immagini di archivio. Reperibile sul sito http://www.concertlive.co.uk/.

 

                      

LYNYRD SKYNYRD
Live From Freedom Hall
2010 Roadrunner CD+DVDlynyrd

La sorte continua ad accanirsi contro i gloriosi Skynyrd; l’anno scorso sono deceduti lo storico pianista Billy Powell e il bassista Ean Evans (che aveva sostituito Leon Wilkeson, anche lui mancato improvvisamente), ma la band sudista non molla. Lo zoccolo duro della formazione attuale è costituito dal chitarrista Gary Rossington, unico sopravvissuto della band originale (un po’ malmesso pure lui), dal cantante Johnny Van Zant (fratello del grande Ronnie) presente dalla reunion del 1987 e dal chitarrista Rickey Medlocke, con gli Skynyrd per breve tempo anche negli anni ‘70. Un nuovo disco dal vivo è stato pubblicato in formato audio e video, registrato nel giugno del 2007 con Powell e Evans nella band e non è affatto brutto. Nonostante tutto i Lynyrd tengono benissimo il palco: la voce di Johnny è sempre all’altezza, Rossington cesella con la sua slide quando è necessario e Medlocke schitarra senza esagerare con il nuovo arrivato Mark Matejka (un po’ troppo ai confini con il metal in alcuni frangenti): Non possiamo attenderci sorprese dal repertorio, ma non è tutto scontato. L’unico brano recente è la ballata patriottica Red White And Blue, e questo un po’ mi spiace perchè gli ultimi album hanno qualche brano valido. Per fortuna vengono ripescate tracce meno sfruttate dal passato come le due splendide ballate Simple Man e The Ballad Of Curtis Loew o le più ritmate Workin’ e Travelin’Man (con un duetto virtuale tra Johnny e Ronnie ripreso in video). Sempre commovente Tuesday’s Gone, fluida e coinvolgente Call Me The Breeze. Inevitabile la doppietta conclusiva di Sweet Home Alabama e dell’immortale Free Bird, con la prima parte lenta e soffusa impreziosita dal piano di Powell e il cambio di ritmo che precede l’infuocata e indimenticabile cavalcata chitarristica che ha reso celebre Allen Collins (oggi sostituito da Medlocke). Il pubblico della Freedom Hall di Louisville, Kentucky, gradisce ogni minuto del concerto e noi non possiamo certo smentirli. Un’aggiunta sicuramente non indispensabile alla discografia degli Skynyrd, ma che non riesco a definire superflua.   

 

 

URIAH HEEP
Live At The Sweden Rock Festival 2009
2010 Edel CDheep

Il chitarrista Mick Box continua a guidare gli inossidabili Uriah Heep, una delle band più longeve dell’hard rock britannico. L’attuale formazione comprende il bassista Trevor Bolder già presente negli anni ‘70, tornato nel 1983 dopo qualche anno di pausa, Bernie Shaw (voce) e Phil Lanzon (tastiere) nel gruppo dalla seconda metà degli anni ‘80. Solo il batterista Russell Gilbrock è un acquisto recente. Dunque una band esperta e amalgamata che nel 2008 ha pubblicato un album in studio, Wake The Sleepers, seguito da un lungo tour. Molto popolari nei paesi nordici e nell’est europeo, gli Heep sono tornati a suonare negli Usa e mantengono un seguito significativo. Dal vivo non tradiscono; hanno un repertorio consistente che alternano con qualche brano nuovo. Questo dischetto registrato il 3 giugno dell’anno scorso si apre con Sunrise, in bilico tra hard rock e progressive con gli intrecci tra chitarra e tastiere che hanno sempre caratterizzato il gruppo. La ritmata Steelin’ precede il classico Gypsy, un riff che gli headbangers riconoscono all’istante. L’up tempo di Look At Yourself evidenzia le qualità di Bernie Shaw che riesce a riproporre anche le parti urlate di David Byron, il cantante della formazione originale. Ghost Of The Ocean e Angels Walk With You, tratte dal disco più recente, non si distinguono particolarmente; meglio l’epica July Morning, una delle composizioni più complesse degli Heep con cambi di ritmo e un assolo in crescendo notevole. La frenetica Easy Living e il bis Lady In Black chiudono il dischetto, di buona qualità audio pur essendo un “official bootleg”. Altri concerti sono stati registrati e possono essere acquistati sul sito www.concertlive.co.uk .

 

 

JIMMY THACKERY AND THE DRIVERS
Live In Detroit
2010 Dixie Frog CDthackery

La discografia di Thackery con i suoi Drivers (formazione più volte cambiata) ha superato quota dieci. Nel corso degli anni il rock blues dei primi tempi sullo stile dei Nighthawks (band di provenienza di Jimmy) ha assunto sfaccettature diverse, con influenze rock, country, soul e surf. Questo è il secondo disco dal vivo dopo Wild Night Out del 1995. Registrato in un club di Auburn Hills nel novembre 2009 ha la particolarità di privilegiare tracce strumentali. L’opener Don’t Lose Your Cool di Albert Collins, un blues veloce swingato e trascinante, apre la serata con una serie di improvvisazioni di Jimmy, accompagnato dagli esperti Russ Wilson alla batteria e Mark Bumgarner al basso, seguito da Solid Ice, title track dell’album del 2007, brano d’atmosfera di gran classe con la chitarra protagonista di un primo assolo composto e di un secondo scatenato. Daze In May ci riporta agli anni ‘50 tra rockabilly e surf; leggero e scorrevole, confermando la poliedricità del musicista. Il mid tempo blues Big Long Buick è il primo brano cantato, mentre Land Locked è uno strumentale surf-rock intenso e convincente. La dura Detroit Iron è inferiore alle precedenti, meglio il raffinato slow Love My Baby di Memphis Slim (l’assolo centrale è da antologia), cantato con i giusti toni morbidi. La grintosa Bomb The Moon è il quinto e ultimo strumentale, forse il meno azzeccato, Eat It All un mid tempo con un crescendo interessante (ma la voce ha qualche limite). Si chiude alla grande con Blinking Of An Eye, dimostrazione dell’evoluzione di Thackery come compositore, una canzone lenta e sofferta tra soul e pop, nobilitata da un assolo eccellente.

( a cura di Paolo Baiotti)

Rock & Pop, le recensioni di LFTS/4

di admin

23 giugno 2010

ROGER LEN SMITH
Clear Blue Skies
2009 Big Rock Entertainment CD

roger len smith clear blue skies
Ecco un disco che non troverete con facilità nei negozi: Probabilmente non lo troverete affatto, perchè Roger Len Smith, in arte Raj è un piccolo grande cantautore senza distribuzione. Eppure il suo nome al pubblico italiano non dovrebbe suonare del tutto sconosciuto. Soprattutto a chi ha seguito il rock degli anni ‘90: Roger è stato almeno quattro volte nel nostro paese, al seguito di Phil Cody, in qualità di bassista, o con la propria band. Questo Clear Blue Skies è il suo quinto CD ed è un CD bello maturo, ben registrato, ben suonato, con belle canzoni e bei suoni: se avete avuto modo di ascoltare i suoi primi lavori la cosa risulta evidente, tangibile. Roger è cresciuto, e non poco: dal 2004 si è trasferito ad Austin, si è concentrato sulla propria carriera e suona regolarmente nel circuito texano, ma di tanto in tanto si sposta a suonare anche sulla west coast da dove era partito, e anche in altre località. Il CD che sto ascoltando si divide tra canzoni rilassate (che forse gli riescono meglio) e brani più rock ed è per così dire “benedetto” dalla partecipazione di qualche soggetto di non poca rilevanza, come Peter Rowan (che canta in tre brani), Victor Bissetti (dei Los Lobos) e il polistrumentista nonché produttore Kim Deschamps. Il disco si apre con l’accattivante Blue Street Signs, un brano che predispone subito bene l’ascoltatore, la successiva Batten Down The Hatches non è da meno. Tra i brani spicca il country spedito di Rhode Island Girl ben supportato dai cori di Rowan e da una bella alternanza tra banjo e dobro. Bella anche la title track da cui si evince una delle molte fonti d’ispirazione di Roger, vale a dire Tom Petty & The Heartbreakers: perché, è bene dirlo, questo ragazzone dell’Illinois deve davvero molto ai numerosi artisti che ha ascoltato nel corso della sua vita, le influenze sono molte e si fanno sentire, da Petty e Zevon fino a certe sonorità delle jam band (senza mai arrivare a brani dalla lunghezza chilometrica). Quello che fa di questo disco un bel disco è anche il senso della misura, undici brani per una quarantina di minuti, il giusto insomma. Con Amanda Always Told Me I’d Shine ci troviamo nuovamente alle prese con un bel brano country, quasi bluegrass ma senza esagerare, e ancora fa capolino la seconda voce di Peter Rowan. Tra i brani più smaccatamente rock spicca Throw Hands, dall’incedere incalzante e si fa apprezzare Don’t Wanna Be Alone Right Now che ricorda alcune cose del vecchio compagno d’avventure Cody. I dischi di Roger Len Smith sono reperibili attraverso il catalogo on line della CD Baby: http://www.cdbaby.com/Artist/RogerLenSmith.

Paolo Crazy Carnevale

ROGER LEN SMITH
New Dark Ages
2007 Big Rock Entertainment CDroger len smith new dark ages

Gran disco questo New Dark Ages, rispetto al suo successore pecca forse solo in eccessiva lunghezza, ma contiene canzoni, credetemi, che vale la pena di conoscere. Vale la pena anche che vi racconti un aneddoto riguardo a questo disco, che ho avuto modo di ascoltare nella sua interezza solo insieme al successivo, quando Roger me li ha spediti. All’epoca della sua uscita, un paio d’anni fa, ero relegato in casa a causa di una brutta caduta in bicicletta, barricato in compagnia di libri, dischi, DVD e naturalmente internet. Una mattina, controllando la posta quotidiana trovai una mail del giorno prima con cui Roger Len Smith partecipava agli amici il suo tour alle Hawaii e il broadcast di un’esibizione radiofonica col gruppo. Non ci misi molto a realizzare che grazie alle undici ore di fuso orario, il broadcasting sarebbe cominciato di lì a mezzora, perché alle Hawaii era ancora il giorno prima! Devo ammettere che è stato divertente poter ascoltare le canzoni di questo disco mentre Roger e il suo gruppo le suonavano dal vivo in uno studio di Maui. New Dark Ages si compone di sedici tracce, una delle quali (Another Dawn) ripetuta in chiave acustica a fine disco. Ad accompagnarlo in questo CD, il suo quarto, c’è uno stuolo incredibile di amici, a partire dal fido bassista Jay Ewell (che lo segue anche nei concerti) fino a quelli del suo periodo losangeleno, vale a dire Phil Cody (che suona l’armonica e canta nell’ottima If I Had A Boat), Steve Mc Cormick e Bryan Smitty Smith (entrambi nella rockeggiante Holding On To My Guitar For Dear Life scelta tra l’altro per rappresentare il disco in una compilation allegata alla storica rivista americana “Relix”). C’è poi, a fare da controcanto alla voce di Roger, la partecipazione, in diversi brani, a partire dalla travolgente apertura di You Don’t Get It, Jennifer Stills, il cui cognome dovrebbe dirvi tutto trattandosi della sorella di Chris, nonché figlia di Stephen e di Veronique Sanson. La Stills fa una bella parte anche su Holding On To My Guitar For Dear Life, lungo brano cadenzato sottolineato da un lancinante assolo di McCormick, e su Isn’t A Pity. Bio Willie Diesel è una canzone dedicata all’impegno ecologista di Willie Nelson. C’è poi l’ottima Cold Night In Lowell, e la memorabile The Best retta e sottolineata da uno struggente intervento alla pedal steel di Eric Heywood, sicuramente il miglior suonatore di questo strumento per quanto riguarda la sua generazione. Il disco si conclude in gloria con un altro gran brano, If I Had A Boat, in cui Roger divide le sorti vocali con Cody e con la versione solitaria di Another Dawn, che nulla ha da perdere se paragonata con l’altra versione, più country-folk, posta a metà disco.

Paolo Crazy Carnevale

 

crovella

BEPPE CROVELLA
Waht’s Rattlin’ On The Moon
2010 Moonjune CD

Un tributo alla musica di Mike Ratledge, nome di riferimento del progressive britannico da parte di Beppe Crovella, nome storico del progressive italico. Alla base di questo disco c’è la passione del boss della Moon June Records per i Soft Machine e per certi suoni a metà strada tra jazz e rock progressivo, passione che lo ha spinto a sfidare Crovella, tastierista con alle spalle una lunghissima militanza nel gruppo Arti & Mestieri, colonne sonore e molto altro a rivisitare le composizioni scritte da Ratledge per i Soft Machine. Il risultato è questo disco composto di tre parti ben distinte: la prima e principale è una sorta di lunga suite ottenuta da Crovella assemblando i brani originali e rileggendoli con le sue tastiere, mellotron, Wurlitzer, Hammond, Fender Rhodes, Farfisa e quant’altro. A questa prima parte composta di dieci capitoli, se ne aggiungono altre due ispirate alla composizione e alla musica di Ratledge. La prima intitolata Before The Moon, riguardante la genesi del progetto, la seconda realizzata successivamente e chiamata logicamente After The Moon, con tanto di brano ai due Soft Machine scomparsi Elton Dean e Hugh Hopper.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

COODER/LINDLEY FAMILY
Live At The Vienna Opera House
1995 www.davidlindley.com 2 CDDavid_Lindley_-_Cooder-Lindley_Family_Live_At_The_Vienna_Opera_House

Mentre la critica musicale in toto si sta adoperando ad incensare (forse in modo eccessivo) il recente disco dei Chieftains con Ry Cooder, scopro questa doppia pubblicazione ufficiale reperibile solo attraverso il sito di David Lindley. Si tratta di uno dei numerosi prodotti di Lindley che da anni ha perso ogni fiducia nei confronti dell’industria discografica e a chi vuole i suoi dischi non concede alternativa che procurarseli tramite web, a prezzo peraltro non sempre accessibile. Questo doppio realizzato dai due vecchi amici, Ry Cooder e David Lindley appunto, risale a uno dei tour effettuati con i figli al seguito, Joachim Cooder, percussionista e batterista, e Rosanne Lindley, cantante e chitarrista. Il risultato è quello che ci si può immaginare dal connubio, una serie di notevoli brani provenienti dai repertori di entrambi, con le chitarre protagoniste a 360° e i due marpioni che si divertono come i matti. Probabilmente il tipo di disco che i fan dei due vorrebbero poter trovare nei negozi, testimonianza di una serata particolarmente ispirata in cui tra slide, bajo sexto, bouzouki, mandolini e altri strumenti a corda viene rivisitato un repertorio che va dalla tradizione al moderno passando per classici immortali. Il pubblico molto compito dell’Opera House di Vienna sembra apprezzare, e vorrei vedere se fosse il contrario: il Chuck Berry di Promised Land, lo Zevon di Play It All Night Long, i classici Goodnight Irene e Vigilante Man, l’Elvis di Little Sister e All Shook Up, Merle Haggard, la colonna sonora di Paris Texas. Non manca davvero nulla in questo doppio disco, nemmeno la possibilità di far cantare qualcosa alla figlia di Lindley, che rivela di possedere una buona voce con profonde venature blues.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

GWIN SPENCER
Addicted To The Motion
2003 Good Foot Records CD
gwin_spencer[1]

Non credo che ci siano in giro molte donne che suonano la chitarra elettrica come Gwin Spencer. Questa brillante musicista originaria del Mississippi, ma cresciuta a Memphis, col dna giusto, dunque, ha fatto sua la lezione dei grandi artisti che hanno caratterizzato la musica di questa città, filtrando tutto attraverso la lezione di Hendrix e di alcuni chitarristi bianchi della scuola britannica. Certo, la sua carriera discografica è piuttosto sparuta ma molto valida. L’esordio avvenne negli anni ‘90 coi miracolosi Mother Station, di cui reggeva le sorti insieme alla poderosa cantante Susan Marshall (titolare poi di tre dischi da solista e di numerose collaborazioni). Poi il silenzio, per quasi dieci anni, per tornare con questa produzione indipendente: dodici tracce piene di grinta, grandi brani d’impronta rock (la title track, Take A Little Bit, Yesterday & Days Before), ballate più lente (Waht Else Could I Say e Slave), tutto caratterizzato dalla vena compositiva di Gwin, che anche nei Mother Station era autrice delle canzoni. Il disco ha forse i limiti dell’autoproduzione, ma neppure in maniera eccessiva, l’uso di alcuni sample da parte del tastierista e produttore Eddie Wohl, paiono talvolta fuori posto, o forse troppo timidi per essere considerati voluti stilisticamente, ma la chitarra e il cantato della Spencer aiutano a superare l’impatto con questi limiti. Gli interventi sulla sei corde sono sempre convincenti, mai ripetitivi e la voce non è mai scontata, pur non essendo quella della sua ex collaboratrice Susan Marshall. C’è poi un’unica cover nel disco, una cover notevole del classico di Bill Withers Ain’t No Sunshine, riproposta in modo originale e personale, senza strafare, senza far rimpiangere la versione dell’autore, e scusate se è poco. Unico rimpianto la scarsa reperibilità del disco e il fatto che risalga ormai a sette anni fa e non ci siano notizie di nuove sortite della Spencer.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

IRON KIM STYLE
Iron Kin Style
2010 Moonjune Records CDiron_kim_style[1]

Questo quintetto di Seattle (a vederli nella fotografia all’interno della copertina potrebbero essere un qualunque gruppo di quella città, con tanto di camicia a quadrettoni) a dispetto della provenienza e dell’aspetto è ben lontano dai suoni tipici della città del nord ovest Americano di fronte a Vancouver. Il loro verbo musicale è sì legato a suoni ben sperimentati, ma si tratta di quelli del jazz rock con più d’un riferimento a gente come Miles Davis, Terje Rypdal e altri. Sottolineato dalla tromba (a tratti western, come nella bella Don Quixotic, contrappuntata da un robusto suono di basso) di Bill Jones, il disco si lascia andare attraverso dieci composizioni non troppo ostiche in cui ha buona parte il chitarrista Dennis Rea, musicista dal lungo curriculum. Ma oltre alla passione per il jazz rock (beninteso suonato con modernità) questi cinque ragazzi sembrano raccogliere in parte anche il testimone di un certo modo di fare musica delle jam band (quello più legato a certe incursioni alla Garcia delle jam spaziali, come ad esempio in Adrift). Non ultimo c’è poi il riferimento alla propaganda politica nord coreana, a partire dal nome del gruppo che fin dal titolo richiama il figlio del celeste timoniere Kim Il Sung, Kim Jong Il, ritratto in un fotomontaggio insieme alla band. La copertina del disco deve il suo art work ai manifesti di propaganda e tra i titoli troviamo Mean Streets Of Pyongyang, Dreams Of Our Dear Leader e Jack Out The Kims. Da prendere in considerazione.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

JUDAS PRIEST
Nostradamus
2009 SONY 2CD judas priest

La band si forma nel 1969 a Birmingham con il cantante Rob Halford, il bassista Ian Hill e i chitarristi Glenn Tipton e K.K. Dowing, mentre nella loro lunga e travagliata esistenza alla batteria si alterneranno vari musicisti. Grazie al loro omonimo hit single Metal Gods creeranno un particolare filone nella storia della heavy metal music. Chi ha amato il chitarrismo duro e sanguigno che ci ha dato album stupendi come Sin After Sin, prodotto dal mitico bassista dei Deep Purple Roger Glover, British Steel e Killing Machine qui troverà altri suoni, in quanto la band ci offre un concept album incredibile, un progetto ambizioso e di non facile ascolto ma che mi ha entusiasmato. Il disco è dedicato ovviamente alla figura inquietante e misteriosa di questo personaggio incredibile che ancora oggi divide la critica sulla attendibilità delle sue profezie: profeta, visionario o cialtrone? ci propone gli avvenimenti della sua vita, raccontata in prima persona. Infatti, la prima canzone Prophecy inizia con “I Am Nostradamus …”, le rivelazioni , la persecuzione, l’esilio, la solitudine, le visioni, fino alla morte, con messaggi lasciatisi ancora oggi incomprensibili. La band si presenta nella sua line up originale, con in aggiunta Scott Travis alla batteria e Don Airey alle tastiere, stupendo session man già con Colosseum, Black Sabbath, Gary Moore, Ozzy Osbourne, Whitesnake, Jethro Tull, Thin Lizzy e i Deep Purple dell’ultimo periodo a sostituire un certo Jon Lord, e scusate se è poco. Le registrazioni iniziano nel 2006 agli Old Smithy Studios di Londra, e produrranno diciotto brani che saranno rimixati nell’aprile dell’anno seguente, quando la band decise di pubblicare il lavoro come doppio CD e triplo LP. La rivista “Billboard” lo ha definito un gioiello della musica Heavy Metal Symphonic: stupendi impasti vocali, chitarre incredibili, una base ritmica ossessiva, le tastiere che ci riportano ad atmosfere dark classicheggianti. Per averne un’idea pensate ai Carmina Burana di Carl Orff, con Rob Halford, incredibile vocalist, coadiuvato da notevoli cori. Cosa consigliarvi? Ascoltatelo e basta! Brani come Prophecy, Revelations, Death e Solitude sono stupendi, con tastiere e chitarre sintetizzate che creano un suono unico. Nostradamus e Visions hanno raggiunto le classifiche dei Top Single in UK. La confezione è sontuosa con un booklet contenente testi, notizie e foto stupende. L’unico limite è la lunghezza, forse un doppio CD può essere esagerato, ma il prezzo è abbordabile.

Daniele Ghisoni

 

 

THE HONEY TONGUE DEVILS
All Tall And The Melting Moon
2005 Feedback Records CDhtdevils

Accattivanti, è questa la prima cosa che viene in mente ascoltando il primo disco (un secondo pare essere in gestazione) di questa band californiana che fa capo a M. Laurit e Bobby Joyner. Ricordo di averli sentiti la prima volta attraverso internet, incuriosito dal fatto che a produrli fosse Jonny Kaplan, altro notevole personaggio, transitato qualche anno fa anche nel nostro paese. Al di là delle indiscutibili doti del gruppo, va detto che la produzione di Kaplan fa la sua buona e bella parte nella riuscita di questo disco, perennemente in bilico tra suoni delicati e nervosa elettricità. Al pari del suo produttore, il gruppo si incanala decisamente nel filone rock /americana (anche se odio abbastanza queste etichettature) con le lezioni del cosmic country ben fissate in testa e filtrate attraverso altre stimolanti esperienze. La partenza è di quelle che entrano in testa subito: Down Here e Days Behind hanno la marcia giusta per farsi ascoltare e trascinare l’intero CD. Ma quando crediamo di aver capito da che parte i diavoli dalla lingua mielosa vadano a parare, i suoni mutano ed entrano le chitarre acustiche, contrappuntate dalle tastiere di Skip Edwards (ospite di lusso al pari di Doug Pettibone): Low Down Wind conquista e ancor meglio fa Grey Day, in cui le parti vocali vengono divise da Joyner col producer, la cui voce inconfondibile caratterizza il brano. Se Sunday Morning Blackout e Beautiful Mess sono intrise di suoni più duri, con tanto di richiami palesemente hard rock, la title track profuma di psichedelica all’inglese. Per riportare poi tutto a casa con la finale e intimista My Divine, a due voci con l’organo a fare da tappeto alle chitarre. Non credo che questo disco sia reperibile nei negozi, ma attraverso il web non faticherete a procurarvene una copia, merita davvero lo sforzo…

Paolo Crazy Carnevale

 

 

TOM PETTY & THE HEARTBREAKERS
The Live Anthology
2009 Reprise 4CDtom petty

Lo ammetto, quando lo scorso autunno ha cominciato a girare la notizia di questo box, sono stato assalito da un sacco di perplessità: Tom Petty negli ultimi anni non ha certo lesinato quanto a pubblicazioni dal vivo (se pur sempre in formato DVD). Inoltre pur essendo nota la bontà live del suo gruppo (testimoniata da bei bootleg e dal ricordo della sua unica toccata e fuga italiana al seguito di Dylan nel 1987) l’unico live ufficiale sfornato dal rocker di Gainesville era al di sotto delle aspettative. Alla fine mi sono fatto convincere dal mio amico Bobbi (un pettyano sfegatato) e anche alla luce del buon prezzo (usato su Amazon, un vero affare!) mi sono procurato il box nella sua edizione più spartana, quella con quattro dischetti, per quasi quattro ore di ottima musica, suonata con bravura quasi unica. Già, la versione più spartana, perché ne esiste una deluxe, che costa tre o quattro volte tanto, quelle cose fatte apposta dalle case discografiche per succhiare ancor più soldi a noi pochi acquirenti superstiti. Mi sono rifiutato di cadere in questo tranello! Ma veniamo al box. Soldi ben spesi, come si suol dire. I quattro dischi dal vivo sono davvero la summa della carriera discografica degli Heartbreakers, che si dimostrano una volta per tutte una delle migliori band americane di tutti i tempi. Quarantotto canzoni suddivise un po’ per tutti i periodi, prese da concerti differenti (alla faccia dei puristi che vanno in cerca del concerto completo), con una manciata di cover di levatura, spartano booklet, come la confezione vintage, con tutto quello che c’è da sapere (date, luoghi e nomi). Come ha detto il mio amico Bobbi: “Adesso credo che non comprerò altro di Tom Petty” (io però so che ci cascherà e prenderà anche l’imminente disco di studio). Ma questo box è davvero ciò che bisogna avere di Tom Petty, perché ci sono tutte le canzoni che ci si aspetta di trovare, perché la vera dimensione di Petty e del suo gruppo è quella dal vivo e qui tutto viene confermato. Da American Girl a It’s good To Be King, da Southern Accents a The Waiting, passando per Mary Jane’s Last Dance, Spike, Refugee, Wildflowers, la sempreverde Breakdown. Persino l’odiosa Learning To Fly nella versione dal vivo esce affascinante. E qua e là omaggi sparsi a Booker T, Grateful Dead, ai film di 007, Fleetwood Mac, Bo Diddley e altri padri ispiratori. Nel bonus CD si celebrano anche i Byrds, ma attenzione, la Billy The Kid, ivi contenuta, è il brano composto da Petty per il suo Echoes, e non, come qualche poco avveduto recensore nazionale ha scritto, probabilmente senza aver ascoltato il disco(!), quella di Bob Dylan (che per altro si intitola semplicemente Billy). Lasciatevi conquistare e affascinare da questo box. Ne vale davvero la pena.

Paolo Crazy Carnevale

 

URIAH HEEP
Future Echoes Of The Past
2001 Phantom/Classic Rock Legenda 2CD uriahfuture_cov

Quando si parla di gruppi di hard rock classico, gli Uriah Heep vengono sempre trattati qui in Italia come band di secondo piano. Ed è un’ingiustizia, perché l’ensemble di Mick Box, storico chitarrista nella band fin dagli esordi, è tutt’altro che una seconda scelta, e dal debutto Very ‘Eavy … Very Umble che risale ormai a quarant’anni fa agli ultimi Wake The Sleeper del 2008 e Celebration dell’anno successivo, hanno dispensato varie perle degne di essere riscoperte. Questo Future Echoes Of The Past, doppio live del 2001, è testimonianza del tour in Germania, nazione in cui i nostri hanno sempre goduto di largo seguito, di fine 1999, con registrazioni prese dalle date del 29 e 30 novembre ad Aschaffenburg e Monaco di Baviera. La formazione è quella classica degli ultimi anni della band con Mick Box alla chitarra, il batterista storico Lee Kerslake (ora non più nel gruppo per motivi di salute e sostituito da Russell Gilbrook), il bravissimo bassista Trevor Bolder, forse uno dei più sottovalutati nella storia dell’hard rock, nel gruppo dal 1976 con una pausa fra il 1980 ed il 1983 in cui alla quattro corde c’era Bob Daisley ed il tastierista Phil Lanzon ed il cantante Bernie Shaw entrati nel 1986. La scaletta è un giusto ed equilibrato mix fra pezzi storici e altri più nuovi, e fra questi la parte del leone, come ovvio, la fanno quelli tratti da quello che all’epoca era l’ultimo lavoro in studio del gruppo, il valido Sonic Origami del 1998. Brani come le iniziali e trascinanti Between Two Worlds e I Hear Voices, la ballata Question, le ariose Heartless Land e Shelter Fron The Rain non sfigurano affatto davanti ai classici del passato e mettono in luce una band ancora in forma e con molte cose da dire. Classici che peraltro portano titoli come July Morning e Look At Yourself (con un Phil Lanzon in gran spolvero che in un paio di passaggi mi porta alla mente, ma forse ho alzato un po’ il gomito, un brano di Joe Jackson, che con gli Heep non c’azzecca nulla) del 1971, l’immancabile Gypsy, Easy Livin’ tratta da quel Demons And Wizards che può essere considerato il loro capolavoro, o Sweet Freedom dall’album omonimo del 1973, o quella meraviglia di dolcezza che porta il titolo di Rain tratta da The Magician’s Birthday. A chiudere il tutto due gioielli degli esordi. Da Salisbury ecco Lady In Black, che inizia acustica e ha un crescendo da brividi con un immenso Trevor Bolder al basso e, bonus track registrata al sound check del concerto di Monaco, una versione molto intensa e sentita di Come Away Melinda dritta dal loro esordio . Riscopriamo gli Uriah Heep, magari partendo proprio da questo ottimo doppio dal vivo, le soddisfazioni sono garantite.

Frattaglie di (puro) vinile…4

di Marco Tagliabue

10 gennaio 2010

Parliamo di qualche simpatico box vinilitico: Natale è ormai passato, per quanto il ricordo sia ancora abbastanza fresco, ma per un buon vinilmaniaco ogni occasione è buona per farsi qualche regalo…qui di seguito ne troverete qualcuno davvero succulento…

Cure…Andiamo in casa Vinyl Lovers per segnalare la pubblicazione in 1000 esemplari del cofanetto di 7 LP dei Cure “Fade Away-The Early Years Vinyl Box Set”, che contiene ”Seventeen Seconds”, “Faith” e “Pornography” in edizione gatefold doppio LP comprendente il disco originale ed un intero album  di extra tracks, oltre al debutto di “Three Imaginary Boys” in edizione singola con la scaletta classica…

Fleetwood Mac…non abbandoniamo queste mura amiche per parlare del box quadruplo “Fleetwood Mac In Concert-Live At The Boston Tea Party” che riporta un vasto estratto delle tre leggendarie esibizioni che l’allora band di Peter Green tenne nelle serate del 5-6-7 febbraio del 1970 al ‘Boston Tea Party’. Le registrazioni vennero effettuate con tecniche professionali con l’intenzione di trarne un album ufficiale dal vivo, ma l’improvvisa defezione del leader fece accantonare il progetto. I master furono ripresi in mano nel 1998 e vennero pubblicati nel triplo CD “The Boston Box” l’anno successivo. Questa è la prima edizione in vinile con artwork completamente rinnovato…

Motorhead …ora spostiamoci dalle parti dell’italianissima Earmark, label specializzata in ristampe collegata alla fiorentina Abraxas Records, per segnalarvi un’appassionante serie di raccolte a 45 giri…il primo box, “Born To Lose, Live To Win”, mette insieme 7 singoli dei Motorhead del periodo Bronze (1978-1981) oltre ad un bonus disc con il brano “St. Valentine Day Massacre”. Edizione limitata a 1500 copie. Questa la track list: 1) Louie Louie 2) Tear Ya Down 3) Overkill 4) Too Late Too Late 5) No Class 6) Like A Nightmare 7) Bomber 8) Over The Top 9) Ace Of Spades 10) Dirty Love 11) Motörhead (Live) 12) Over The Top (Live) 13) Please Don’t Touch 14) Bomber, Emergency…

Uriah Heep

…”Wake Up”, invece, raccoglie 6 fra i migliori singoli di una delle più influenti band dell’hard rock inglese, gli Uriah Heep. Inutile sprecare altre parole, la track list è più che eloquente: 1) Wake Up/ Set Your Sights (US, originally sleeveless) 2) Gypsy/Come Away Melinda (Italian) 3) Lady In Black/Simon The Bullit Freak (German) 4) Bird Of Prey / Lady In Black (Italian) 5) Look At Yourself / What Should Be Done (German) 6) July Morning/ Love Machine (Japanese)…

Atomic Rooster …è ora la volta dei magnifici e oscuri Atomic Rooster forse, insieme agli High Tide, la dark-prog band per eccellenza. “Devil’s Answer” raggruppa i primi cinque singoli dei Roosters, tutti pubblicati in Inghilterra fra il 1970 ed il 1972, più un’estemporanea collaborazione fra Vincent Crane e Chris Farlowe dell’anno successivo. Questa la track list: 1) Friday The 13th / Banstead  2) Tomorrow Night / Play The Game  3) Devil’s Answer / The Rock  4) Stand By Me / Never To Lose  5) Save Me /Close Your Eyes  6) Vincent Crane/ Chris Farlowe: Can’t Find A Reason / Moods…

Black Widow

…pensavate, a proposito di dark-prog, che ci fossimo dimenticati di loro, vero? E invece no, eccoli qui i Black Widow! “Come To The Sabbat” raccoglie gli unici tre 45′ pubblicati dalla band, oltre ad un paio di chicche: l’unico singolo edito dai Pesky Gee!, il gruppo dalle ceneri del quale si formarono i Widows nel 1970, e l’altrettanto unico singolo degli Agony Bag, esperienza teatral-musicale portata avanti da Clive Jones e Clive Box, in origine ai fiati ed alle pelli nei Black Widow, nel 1976. Questa la track list:  1) Single 1 – Pesky Gee: Where Is My Mind/A Place Of Heartbreak  2) Single 2 – Black Widow: Come To The Sabbat/Way To Power  3) Single 3 – Black Widow: Wish You Would/Accident  4) Single 4 – Black Widow: When My Mind Was Young/Come To The Sabbat  5) Single 5 – Agony Bag: Rabies Is A Killer/Never Never Land…

Black Sabbath

…e visto che li abbiamo evocati, ecco i Black Sabbath. “The Singles” raccoglie sei singoli pubblicati fra il 1970 ed il 1978 in un’accuratissima confezione che prevede, per ogni dischetto, una busta che ricalca fedelmente l’artwork dell’edizione originale inglese da un lato e quello dell’edizione giapponese dall’altro. La track list:  1) Evil Woman 2) Wicked World 3) Paranoid  4) The Wizard  5) Tomorrows Dream  6) Laguna Sunrise  7) Sabbath Bloody Sabbath  8) Changes  9) Never Say Die  10) She’s Gone  11) Hard Road  12) Symptom Of The Universe…

Marc Bolan

…”The Early Singles 1964-1968″ raccoglie le primissime registrazioni di un Marc Bolan non ancora T.Rex e quasi non ancora Tyrannosaurus Rex…un Marc Bolan ancora lontano da tacchi alti, lustrini e paillettes, ma sicuramente più vicino alla sensibilità dei nostri cuori. Il primo demo, i primi tre singoli solisti, il primo singolo con i John’s Children ed il primo con i Tyrannosaurus Rex per un totale di sei preziosi 45 giri. Questa la track list:  1) The Road I’m On (Gloria)  2) Blowin’ In The Wind  3) The Wizard  4) Beyond The Risin’ Sun  5) The Third Degree  6) San Francisco Poet  7) Hippy Gumbo  8) Misfit  9) Sleepy Maurice  10) Cat Black  11) Hot Rod Mama  12) Sara Crazy Child…

…Per questa volta è tutto, con tanti saluti agli scampoli delle vostre tredicesime…

Rock & Pop, le recensioni di LFTS/2

di Roberto Anghinoni

29 dicembre 2009

Nuovo appuntamento con le recensioni di dischi più o meno nuovi arrivate in redazione e curate da Sonia Cheyenne Villa, Ronald Stancanelli e Paolo Crazy Carnevale. A tutti buona lettura, ma soprattutto tantissimi auguri per il prossimo anno da parte di tutti noi. E che il vinile invada i vostri scaffali e vi rimanga per sempre!

 

 

 CHEAP WINE
Spiritscheapwine
2009 Venus CD

I Cheap Wine sono un gruppo di Pesaro che ha deciso di acquisire un sound americano, una scelta probabilmente costata molto cara per potere andare avanti. È sicuramente più facile cantare in italiano e fare musica più commerciale, piuttosto che continuare su questa linea, forse solo per pochi, ma sicuramente affezionati fan a cui, a ogni album, se ne aggiungono di nuovi. Il primo lavoro è un mini di cinque tracce uscito nel 1997. La loro carriera inizia però dal loro secondo lavoro A Better Place del 1998. Il disco ricorda le atmosfere dei Green On Red (da una loro canzone prendono infatti il loro nome) e la voce di Marco sembra quella di Steve Wynn dei Dream Syndicate. Segue nel 2000 Ruby Shade, e da quest’album iniziano a inserire nel booklet interno i testi con la traduzione in italiano. Nel 2002 esce Crime Stories con copertina e artwork del batterista Francesco “Zano” Zanotti il quale, avendo scelto altre strade, non fa più parte della band ed è stato sostituito nell’ultimo album da Alan Giannini. Nel 2004 tocca a Moving che è, a mio parere, uno dei lavori migliori della band. Dal primo pezzo all’ultimo non ha un attimo di cedimento, la chitarra di Michele, soprattutto nel brano che chiude l’album, è a dir poco struggente. Si arriva poi a Freak Show del 2007, e finalmente giungiamo al superbo lavoro del 2009, Spirits, che è stato pubblicato verso la fine di settembre in confezione digipack e che, ovviamente, ho comprato il giorno stesso in cui è uscito. Appena preso il disco in mano, mi sono soffermata a osservarlo e ho subito notato sulla copertina la moltitudine di bottiglie impolverate le quali mi hanno fatto supporre che si trattasse di qualcosa di diverso, di più profondo. Apro la custodia, metto il CD nel lettore e iniziano a fuoriuscire dalle casse i primi accordi di Just Like Animals e successivamente gli ultimi di Pancho & Lefty. Sono sembrati una manciata di secondi, da tanto sono piacevoli e orecchiabili, invece degli effettivi quarantanove minuti e rotti per undici tracce! Il commento comune di tutti quelli a cui mi sono rivolta è stato: “un album che non ha niente da invidiare ai dischi dei più stimati artisti, forse meno rock, ma più intimista e maturo degli ultimi lavori, un vera svolta, uno tra i migliori album del 2009!”. La sera stessa decido di riascoltarlo, ma questa volta per approfondire con i testi in mano. Man In The Long Black Coat di Bob Dylan e Pancho & Lefty di Townes Van Zandt sono le due cover dell’album e sono eseguite divinamente, in particolar modo la prima. Infatti, sostengo che siano davvero in pochi quelli che sono riusciti a interpretarla con tale trasporto e sentimento. Poi c’è Alice, bellissimo pezzo strumentale e Dried Leaves a parer mio uno dei brani più belli dell’album. Per quanto mi sia subito piaciuto, penso non si possa completamente comprendere fino a quando non si ha davvero bisogno di riorganizzare la propria mente e se si mette, come ho fatto io, come colonna sonora ai propri pensieri, il melodico suono coinvolgerà mente e spirito, entrambi questa volta. Lo si assimila in tutti i suoi aspetti più nascosti e da quell’ascolto sembrerà quasi un altro disco. Penso che per cogliere la vera essenza di questo album si debba essere soli, seduti con un buon bicchiere di vino, quando si ha bisogno di riflettere. Con questo disco credo si siano davvero superati, il genere è chiaramente sempre il loro, ma il livello che hanno raggiunto non può certo lasciare indifferenti. Sinceri complimenti a questo gruppo italiano/ americano che riesce a coinvolgere con sempre più passione il proprio pubblico.

Sonia Cheyenne Villa

 

 FELICE BROTHERS
Yonder Is The Clockyonder
2009 Team Love Records CD

Tra le note liete di questo fine anno, sicuramente un posto d’onore lo hanno occupato i Low Anthem ma, vorrei aggiungere un altro gruppo recentemente scoperto, anche se hanno già pubblicato vari CD. Il crinale è quello dei Low Anthem anche se i Fratelli Felici sono ancora qualche curva indietro. La prima cosa che salta agli occhi, curiosando nel libretto, è che appunto i primi tre musicisti del gruppo si chiamino appunto Felice essendo senza ombra di dubbio fratelli ma è col quarto che ci viene da sorridere essendo il suo nome di battesimo Christmas. Di conseguenza Felice Natale a tutti e andiamo ad ascoltare e riascoltare il CD. La cover è molto spartana, su carta riciclata, e ricorda tantissimo, ancora direte voi, quella dei Low Anthem. La strumentazione adottata dal gruppo non è citata nella copertina del disco, comunque si tratta di strumenti acustici con fisarmonica e piano a tessere. Tutti i pezzi sono accreditati a i fratelli Felice escluso un traditional che da loro stessi è comunque arrangiato. Le canzoni sono molto minimali, troviamo anche qualche strumentale, e si trascinano con scarno abbellimento musicale che ha dalla sua un certo fascino, sicuramente non hanno la potenzialità intellettuale di un gruppo come i Cowboy Junkies o la grinta dei Low Anthem, ma in questa loro strada del dolore percorsa con affanno ma ricercatezza gettano le basi per catturare con immediatezza un loro pubblico. Sailor Song sussurrata come un lamento d’oltreoceano o del mondo perduto si lascia traversare da una incipiente fisarmonica e quando la voce si fa giungere all’ascoltatore par un Tom Waits entrato nell’ade che manda un canto, un messaggio dal mondo dei defunti. Strascicatamente vetrosa una voce ci narra di Katie Dear in modo così realista che par di vederla di fronte a noi con la sua mappa stradale persa nel diluvio della sue esistenza, mentre giunge a noi che pendiamo da questo racconto che ci porta al successivo, quello del pollo che corre ma che deve correre di più, con l’inasprimento dei toni che non sono quelli dei Pogues ma la direzione sicuramente si. Introdotta da un cappello strumentale Run Chicken Run sveglia l’incauto ascoltatore che magari s’era perso tra i meandri anestetici di questo inizio dei Fratelli Felice che sin’ora di felice ben poco aveva. Meno male che è arrivato il chicken che ci sveglia tutti, attenti o distratti che fossimo. Sicuramente si può dire tanto di questo disco, con idee indubbiamente contrastanti, ma non che non sia un lavoro fascinoso e che ogni ascolto lo renda più palesemente vicino a noi. All When We Were Young nasconde tra i solchi le prime soffici e acustiche elucubrazioni di un Neil Young giovanissimo e come il brano vira e s’arricchisce ci si rende conto che ci troviamo dinanzi a un lavoro che col tempo avrà la sua collocazione e, se ci siamo chiesti qualcosa, avremo anche la sua risposta. Boy From Lawrence County la risposta la da, è un bel disco, invernale, intimo, interiore, interno, scavato dentro e a fondo. Con una trama dipanata tra viottoli riottosi e bugigattoli nodosi ecco un album straordinariamente in tema coll’oggi che ci sovrasta, non sai da dove venga ne dove vada, ma ti piace seguirlo.

Ronald Stancanelli

 

GIULIO REDAELLICONNEMARA
Connemara
2008 F-Net CD

Questo è decisamente un ottimo disco per coloro che amano i suoni acustici con un orientamento verso le sonorità nord-americane o irlandesi. Giulio Redaelli, musicista lecchese di grande talento e già autore nel 2001 dell’album Blue Eyed Duckling si ripresenta con un lavoro dal titolo appunto decisamente irlandese. Connemara è un disco prevalentemente acustico- strumentale ove spiccano le chitarre suonate ordinatamente da Redaelli. Il Connemara è un massiccio montuoso dell’Irlanda occidentale con una limitata altitudine, non supera i mille metri, ma con un aspetto montuoso molto intenso dovuto sia al modellamento glaciale sia all’inesistente vegetazione. Il CD si avvale della collaborazione di ottimi musicisti come Socrate Verona al violino e viola, Dario Tanghetti alle percussioni, Nicola Oliva al basso e chitarra ritmica, Gisella Romeo al violoncello, Franco D’Auria alla batteria e delle voci di Elisabetta Rosa e Marco Gallo. Redaelli ci tiene a far sapere che nel CD non vi sono parti campionate ma tutto è genuinamente dal vivo. Per aiutare il lettore possiamo dire che lo stile del dischetto ricorda musicisti come il talento genovese Beppe Gambetta e anche, ma in minor misura, il didascalico toscano Untemberger o artisti stranieri quali Stefan Grossman o Leo Kottke. Tanto per non essere smentiti, tra le cover del disco una è proprio un brano di Kottke, la piacevole The Ring Stealing. Le altre tre sono What A Wonderful World di Armstrong, Maple Leaf Rag di Scott Joplin e Doc’s Guitar di Doc Watson, non Wotson come segnato sull’ultima di copertina. Il resto è a firma dello stesso Redaelli, così come gli arrangiamenti delle cover succitate. Molto suggestiva, Puzzle mentre evoca nostalgia la bella riproposizione del brano di Armstrong cantato da Elisabetta Rosa. Il dischetto della media e giusta durata, ovvero circa cinquanta minuti, è il trionfo del fingerpicking ove si esalta la grande produzione acustica musicale in un susseguirsi di brani uno più piacevole dell’altro e dai quali si evince la splendida padronanza allo strumento dell’artista lombardo. Arrangiato dallo stesso Redaelli, è stato registrato mixato e masterizzato all’Acoustic Design Studio di Milano ed è lavoro meritorio di notevole conoscenza e diffusione. Consigliato vivamente. Vi ricordo anche l’ottimo For Guitars Clan che Redaelli assieme ad altri musicisti ha inciso nel 2007 e che noi abbiamo recensito sul numero 92 di “Late for the sky” a pagina 48. Per erudirvi maggiormente vi consiglio una puntatina su www.giulioredaelli.com.

Ronald Stancanelli

 

 GREG HARRIStherecord
The Record
2009 Autoprodotto CD

I più se lo ricorderanno tra le file dei Flying Burrito Brothers a cavallo tra anni ‘70 e anni ‘80, periodo in cui Greg Harris ci ha consegnato anche alcuni dischi come solista che si erano fatti notare (soprattutto i primi due Acoustic e Electric) per la loro bontà. Harris in quegli anni ha girato anche in Italia, col chitarrista piemontese Ricky Mantoan e con il gruppo di cui facevano parte anche Skip Battin e Gene Parsons, ma la sua carriera discografica è andata poi via via inaridendosi e al momento della pubblicazione di questo nuovo disco, prodotto e distribuito in modo assolutamente indipendente, erano almeno dieci anni che non si sentiva parlare di lui. Si tratta di un ritorno graditissimo, soprattutto alla luce del fatto che il disco ci riconsegna Harris al top della forma, alle prese con un repertorio ispirato e con una serie di sonorità che ci confermano la grandezza di questo artista quando impugna una chitarra, elettrica o acustica che sia. Unico altro chitarrista del disco infatti è suo figlio Jesse Jay, quello dei Rancho Deluxe, che ricambia qui il favore al padre che aveva preso parte all’ottimo, secondo CD del gruppo, recensito in questo stesso sito. Quello che entusiasma maggiormente in questa produzione sono i bei suoni di chitarra che gli Harris sanno mettere insieme, al servizio di un gusto musicale che sta in bilico tra il country rock di matrice californiana e certe atmosfere più vicine allo swing. Personalmente preferisco i brani country-rock, con la voce di Harris sempre bene in mostra, quella voce che mi aveva conquistato fin da primo ascolto quando avevo comprato il live giapponese dei Flying Burrito Brothers, in cui cantava alcuni brani in maniera vibrante. Tra i brani si fanno subito apprezzare The Gilded Palace Of Sin, brano che fin dal titolo fa capire dove Greg stia andando a parare, e l’intro di chitarra è una citazione che conferma le promesse dal titolo, siamo in piena atmosfera FBB. Un altro gran brano è The Long Road To Nowhere, in cui Greg duetta alla chitarra col figlio. Tra le cose più d’atmosfera, con batteria spazzolata, c’è The Sunday News, country jazz in cui Harris snocciola una serie di assoli con l’acustica che ne confermano la statura come chitarrista. C’è anche una lenta ballata, Mexico, scritta in tandem con Rick Danko, ai tempi del Byrds Tribute Tour a cui i due presero parte nel 1985, con Gene Clark. Murriettas Gold è un altro bel brano acustico, su cui Harris interviene col mandolino, altro strumento di cui è maestro. All’amico Skip Battin, scomparso ormai da alcuni anni, è dedicata Evergreen Blueshoes, notevole composizione ispirata al gruppo in cui Skip suonava prima di entrare nei Byrds. Il disco, quaranta minuti di durata, si conclude con lo strumentale Dale’s Tune. E a confermare il buono stato di salute del nostro, le ultime notizie riguardano l’intenzione di Harris di venire a suonare in Italia l’anno venturo, probabilmente nientemeno che insieme a Gene Parsons!

Paolo Crazy Carnevale

 

 MORAINE
Density
2009 Moonjune Records CDmoraine

Interessante questo disco, che si discosta notevolmente dai miei ascolti abituali: si tratta di una nuova produzione della casa discografica newyorkese diretta da Leonardo Pavkovic, sempre attenta, oltre alle ristampe di interessante materiale d’archivio riguardante la famiglia Soft Machine, alle nuove tendenze musicali. È il caso di questo disco strumentale del quintetto Moraine, capeggiato dal chitarrista Dennis Rea, che si propone con una bella miscela di suoni che qualcuno ha definito, a ragione, “heavy chamber music”. Il disco offre una manciata di composizioni eseguite da un’anomala formazione in cui chitarra elettrica, basso e batteria si fondono con violoncello e violino, dando origine ha un sound originale, a volte sperimentale (Uncle Tang’s Cabinet Of Dr. Caligari e Staggerin’), a tratti orientato verso il jazz-rock di stampo zappiano (Nacho Sunset), con improvvise virate verso la psichedelica di stampo western (Disillusioned Avatar), e assunzione di toni talvolta epici infusi dal cello di Ruth Davison e dal violino di Alicia Allen (Kuru) che provvedono anche alle influenze cameristiche (Reveng Grandmother), il tutto sempre senza perdere di vista il sound caratterizzante le mosse del gruppo. Ogni brano potrebbe essere parte di una ideale colonna sonora che ha l’apprezzabile qualità di lasciarsi ascoltare senza costringere l’ascoltatore a torturanti sforzi mentali spesso associati a questo genere musicale.

Paolo Crazy Carnevale

 

NILS LOFGREN
Sings Neil YoungLOFGREN
2009 Hypertension CD

Avevamo precedentemente recensito il tributo dei Rusties a Neil Young, ci accingiamo adesso a presentarvi quello operato dal fido Nils Lofgren, una vita col canadese e un’altra vita con Bruce Springsteen. Quindici canzoni in fase delicatamente acustica che abbracciano, e su questo non nutrivamo dubbi alcuni, il primo periodo o repertorio del musicista canadese ormai naturalizzato per usucapione yankee. Il disco è semplicemente suonato o al piano o alla chitarra acustica da Lofgren in modo pacato, sereno e decisamente suggestivo, e registrato in perfetta calma e solitudine in quel di casa sua. Fanno capolino tra i solchi, e la sua voce si trova notevolmente a suo agio con detto repertorio, splendidi tasselli della nostra esistenza che amammo e mai perdemmo come Birds, Long May You Run, The Loner, Winterlong e Like A Hurricane che in veste spoglia e acustica ci delizia oltre l’immaginabile. In effetti, un brano leggermente più recente l’abbiamo e si tratta di Harvest Moon. Fa piacere che in questo splendido celebrativo lavoro di passione e amore sia verso Young che verso una musica, anzi delle canzoni senza tempo, Lofgren abbia recuperato un reale capolavoro come Don’t Be Denied, brano facente parte dell’unico album che Neil Young per le sue solite paturnie non ha mai fatto pubblicare su CD, ovvero quel Time Fades Away che è uno dei capisaldi della sua discografia. Molto bella la riproposizione di World On A String ove ancora una volta si evidenzia la bravura di Lofgren allo strumento mentre un plauso sincero alla sua voce che a volte un po’ fuori luogo nei brani elettrici qua si trova meravigliosamente a suo agio. Teneramente bluesy la versione di Mr. Soul che appiana ricordi di lontana misura e proseguendo nell’ascolto del dischetto ci rendiamo conto che questo omaggio è opera non solo di mero e puro tributo a un amico, ma anche un album decisamente bello, ben suonato e ben cantato. Sicuramente uno dei suoi migliori lavori da un po’ di tempo a questa parte. Bella e suggestiva la copertina cartonata. Solare e afrodisiaca come sempre Winterlong, uno dei brani più soavemente profumati che ci sia stato dato di sentire nella nostra lunga carriera di musicofili un po esterofili. Produzione a cura di David Briggs e dello stesso Lofgren il tutto su Hypertension, etichetta minore degna di ovvia lode.

Ronald Stancanelli

 

URIAH HEEP

Celebration

2009 Edel CD+DVD

 

Per celebrare il quarantesimo  anniversario della pubblicazione del primo Huriah Heepstupendo album  “Very Heavy … Very Umble”, famoso non solo per il suono innovativo della band, ma anche per una delle copertine piu’  macabre ed inquietanti nella storia della musica rock , gli Huriah Heep, guidati da sempre dal chitarrista e mente del gruppo Mick Box, pubblicano questo “Celebration”, una vera sorpresa anche  per uno come il sottoscritto che li ha sempre  amati alla follia.

Completano la formazione attuale Bernie Shaw, vocals, Phil Lanzon, keys, Trevor Bolder, bass e Russell Gilbrok, drums che ha sostituito il batterista storico Lee Kerslake, che aveva lasciato per motivi di salute un paio di anni or sono; il nucleo è lo stesso da anni, ottimi strumentisti che hanno pubblicato “I Wake The Sleeper”, il buon album di studio inciso nel 2008 dopo oltre dieci anni dal precedente. Il  cantante David Byron, grande  front man, è purtroppo scomparso da anni; dopo una breve carriera solista, Ken Hensley, lo stupendo  tastierista, arrangiatore e coautore delle piu’ belle e famose canzoni della band, continua una prestigiosa carriera ricca di soddisfazioni .

Ma se il suono è cambiato rivolgendosi a sonorità più corpose ed avvolgenti, lo spirito degli Huriah Heep non è mai venuto meno, basta ascoltare questo lavoro che ci offre ben quattordici brani. Un paio di inediti,  “Only Human” e “Corridors Of Madness”;  mentre gli altri brani ci ripropongono canzoni immortali come  “Sunrise”, “Stealin”, “The Wizard”, “Easy Livin”, “Lady In Black”, “Gypsy”   e “Free And Easy”, tutte riproposte in una nuova versione .

Stupenda la confezione  in digypack del dischetto con un booklet ricco di foto , notizie   e con i testi delle canzoni; il DVD ci offre uno splendido concerto registrato al The Sweden Rock Festival dello scorso anno , con la band in forma smagliante  che ci offre quarantacinque minuti di musica che continua e continuerà a farci sognare .

 Daniele Ghisoni