FreaKraut – 5. TANGERINE DREAM
di Marco Tagliabue
21 aprile 2014
Non sono certo i jolly del mazzo ma, nel bene come nel male, rappresentano l’icona del kraut rock nella sua accezione più classica: quella di una musica cosmica (termine in effetti coniato in riferimento al loro Alpha Centauri) di esclusiva matrice elettronica. “Noi non avevamo l’attitudine per il rock’n’roll o per il blues… Cosa puoi fare quando sei costretto a girare intorno a qualcosa che esiste già senza avere la minima possibilità di sfiorarlo? In quel tempo Clapton impazzava con i Cream ed Hendrix era il più grande. Con quale coraggio un ragazzo tedesco poteva imbracciare una chitarra e cercare di suonare come loro? Sarebbe stato semplicemente ridicolo…” (E. Froese).
I Tangerine Dream sono titolari di una discografia sterminata che, ahimè, ha per grandissima parte giustamente alimentato la tremenda fama che il gruppo gode da almeno venticinque anni a questa parte. Ancora più di Genesis, Pink Floyd e Co., sono proprio loro la specie di dinosauri contro la quale il punk ha scagliato i suoi meteoriti più distruttivi e, in verità, anche senza la rivoluzione settantasettina, molta della musica prodotta dal gruppo dalla seconda metà degli anni settanta in poi risulterebbe inascoltabile senza la precisa volontà di perdersi in onanistiche celebrazioni di gigantismo ed autocompiacimento in insipida salsa elettronica. Non è solo per la cronica mancanza di spazio, quindi, se concentriamo la nostra attenzione sugli esordi e sui lavori del periodo più creativo dei Tangerine Dream, che iniziano la propria parabola discendente nel 1973 con la pubblicazione dell’album Phaedra: per tutte le uscite successive, fatte salve pochissime eccezioni, basterà pescare a caso una carta nel mazzo per avere un’idea del contenuto di tutte le altre.
La prima formazione del gruppo, attiva già nella seconda metà degli anni sessanta, gravita intorno alle figure di Edgar Froese, chitarre, Klaus Schulze, percussioni, e Conrad Schnitzler, tastiere e violoncello. Froese, che rimarrà nel corso degli anni il pilastro intorno al quale si avvicenderanno le diverse line-up, aveva già vissuto i propri cinque minuti di celebrità con The Ones, band giovanile dedita ad un acerbo acid-rock in grado di vantare un’esibizione in occasione di una mostra di Salvador Dalì. Anche se nessuno si ricorda come, i nastri di quello che sarebbe diventato Electronic Meditations, album di debutto dei Tangerine Dream, giunsero nella casella di Rolf Ulrich-Kaiser che, eccitatissimo, non ci pensò due volte prima di offrire al gruppo un contratto con la propria OHR, etichetta di riferimento della nascente corrente teutonica. Il lavoro, che esce nel 1970, è sicuramente il più atipico, e per certi versi il più interessante, dell’intera discografia della band. Intriso degli aromi della psichedelia floydiana periodo A Saucerful Of Secrets/Ummagumma, ma con più di un punto di contatto con le avanguardie lisergiche d’oltreoceano dei Red Crayola di The Parable Of Arable Land, si sviluppa lungo una serie di improvvisazioni che si materializzano fra chitarre distorte, percussioni selvagge e torture operate su un violoncello elettrificato. Schulze se ne andrà subito per formare gli Ash Ra Tempel, altra esperienza lampo prima di intraprendere una faraonica carriera solista, e Schnitzler arriverà ai Kluster attraverso l’esperienza Eruption: Froese sarà costretto a reclutare i due sostituti nelle figure di Steve Schroyder, sintetizzatore, e dell’ex Agitation Free Chris Franke alle percussioni, per non chiudere anzitempo l’esperienza Tangerine Dream.
La nuova formazione, che tradisce una spiccata vena avanguardistica con il celebre Flipper Konzert, esibizione per strumenti elettronici e sei flipper amplificati, arriva nel 1971 alla pubblicazione di Alpha Centauri. L’album, sia a livello grafico che nei titoli delle composizioni, connota ormai chiaramente la nuova dimensione spaziale della musica dei Tangerine Dream, che sembra innalzarsi verso l’infinito attraverso lunghe suite a base di sintetizzatori, chitarre, flauti e cori che nascono come improvvisazioni sulla scia di esperienze come il rock psichedelico, il jazz rock e l’avanguardia colta. Il mondo dell’ignoto, del mistero e della fantascienza sembra avere trovato la propria colonna sonora.
Con il forfait di Schroyder e l’ingresso di Peter Baumann il gruppo compone la propria formazione classica e prende una decisione importante e definitiva, quella di bandire completamente la strumentazione tradizionale ad esclusivo favore dell’elettronica. Zeit (1972) è una lunga sinfonia in quattro movimenti ispirata alle tecniche minimaliste di Stockhausen, Ligeti, Cage. Il suono perde ogni connotazione ritmica e diventa un lunghissimo filo, soffice, etereo, impalpabile, immateriale, che si insinua negli strati più profondi della mente umana. L’ascoltatore, al pari di un corpo celeste che fluttua in un viaggio senza fine nel grande vuoto dell’universo, è immerso in un’atmosfera cupa ed angosciante, in una dimensione senza spazio e senza tempo, nella quale giungono in lontananza dissonanze elettroniche, clangori metallici e timide distorsioni come echi lontani di corpi celesti in movimento, riverberi spaziali di nebulose lontane, sibili di asteroidi impazziti. Note dilatate, lente e maestose al tempo stesso, che pongono l’interlocutore al cospetto di uno spazio infinito, di galassie irraggiungibili come gli abissi della propria coscienza.
Il successivo Atem (1973) prosegue nella stessa direzione elaborando un concetto ancora più avanzato di improvvisazione, distante dalle freakerie di Electronic Meditations come da certe pesantezze dei due album successivi, che si sviluppa attraverso un sound più fluido e spontaneo, privo di forzature e prolissità, con risultati di indubbio fascino e grande perfezione formale. L’ambientazione di fondo è sempre quella dello spazio, ma l’odissea senza fine del capitolo precedente, con i suoi toni sommessi, rarefatti e completamente meditativi, si colora di nuovi ritmi e di sapori più forti, come negli umori quasi apocalittici della progressione iniziale dell’omonima suite, in cui selve di percussioni, cori maestosi e cupi bordoni d’organo sfociano lentamente nella quiete del cosmo. Atem è anche il primo album ad avere un discreto seguito al di fuori dei teutonici confini: disco dell’anno per un John Peel ancora lontano dai fervori del punk, ottiene un’ottima cassa di risonanza in Inghilterra dove l’import mail-order della freschissima Virgin ne distribuisce circa 15.000 copie. Nonostante le prime, acerbe soddisfazioni commerciali è sempre più problematica l’attività live: la musica del gruppo, invero particolare, richiede una predisposizione mentale da parte dell’ascoltatore che è difficilmente conseguibile nei luoghi e dal tipo di pubblico deputati al rock più canonico. Non si contano davvero i concerti sospesi dopo una manciata di minuti sotto un fitto lancio di ortaggi o i danni inferti alla strumentazione elettronica dai fans più facinorosi.
Dopo il largo successo di vendite di Phaedra del 1974, il primo album pubblicato dalla Virgin che nel frattempo ha messo sotto contratto il gruppo, stanco degli atteggiamenti un po’ troppo paternalistici del guru Ulrich-Kaiser, i Tangerine Dream vengono invitati a suonare in una sede più consona al proprio universo sonoro: la cattedrale di Rheims, in Francia. Un concerto davvero memorabile sotto diversi punti di vista, ma più che per l’interesse artistico, accentuato dalla superba presenza di Nico, siamo oggi a ricordarlo per ragioni prettamente di costume, in quanto l’affluenza del pubblico ben superiore alla capienza massima della struttura ed il conseguente malcontento dei numerosissimi esclusi, esternato senza alcun rispetto per la sacralità del luogo, costarono alla cattedrale una cerimonia di purificazione ed ai nostri una scomunica per iscritto dalla penna del Papa, con la diffida di suonare in futuro nelle chiese. Diffida prontamente raccolta dalle autorità della chiesa protestante inglese che, nell’ottica di un passo avanti nei rapporti già travagliati con la Santa Sede, invitarono i Tangerine Dream a suonare l’anno seguente nella cattedrale di Coventry ed in altri luoghi sacri…
Abbiamo detto di Phaedra e del suo largo successo: con questo lavoro inizia l’istituzionalizzazione del sound della band, che abbandona gradualmente le trame intricate delle opere precedenti per introdurre atmosfere liquide ed eteree, solcate da fitte trame ritmiche di stampo elettronico, che convergeranno verso lande via via più quiete, limpide e melodiche nei successivi Rubycon (1975) e Stratosfear (1976) donando ai nostri fama e fortune commerciali ed alla loro musica quel tanto di kitsch da cui avrebbe attinto a piene mani il nascente filone new age. Poi sarebbero venute le numerosissime colonne sonore, dalla prima, il film Sorcerer di William Friedkin del 1977, a quelle di qualche episodio della serie Miami Vice. In seguito sarebbe toccato a Froese, per risollevare le quotazioni del gruppo, arrivare perfino all’impensabile, introducendo il canto nell’album Cyclone del 1978. E poi ancora…lasciamo a voi il piacere della scoperta. Ci preme soltanto ricordare, in chiusura, l’importanza capitale dei Tangerine Dream nell’esportazione del modello tedesco: sono stati infatti la prima band sulla quale una major straniera –la Virgin- ha investito in maniera massiccia con adeguati ritorni economici e ciò ha contribuito, in parte, alle fortune dell’intero movimento. Pur nelle ovvie differenze stilistiche, inoltre, l’uso esclusivo del synth da parte del gruppo ha prefigurato la grande importanza assunta dallo strumento in ambito post-punk e new-wave. Senza contare, infine, che nella nostra musica come nella vita prima o poi tutto ritorna, e tanta parte del filone post-rock ha attinto a piene mani dalla magica odissea della pazza astronave Tangerine Dream.
da LFTS n.70