Archivio di marzo 2024

HANK WOJI – Highways, Gamblers, Devils And Dreams

di Paolo Baiotti

20 marzo 2024

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HANK WOJI
HIGHWAYS, GAMBLERS, DEVILS AND DREAMS
Autoprodotto 2023

Hank Woji ha fatto la gavetta come bassista nell’ambiente musicale di Asbury Park nei tardi anni ottanta e nei primi anni novanta, suonando blues, errebi, reggae e rock and roll in diverse band locali sia nei club che in festival e arene. Nel 2001 si è trasferito a Houston in Texas, entrando a far parte della vivace comunità locale di cantautori, ma nel 2009 si è nuovamente spostato nell’ovest dello stato a Terlingua proseguendo a scrivere e a incidere. Considerato un musicista di Americana nella tradizione di artisti come Guy Clark, Townes Van Zandt e Butch Hancock, ma anche fortemente influenzato dal folk di Woody Guthrie e Pete Seeger, ha pubblicato sei album a partire dal 2005 con Medallion fino a The Working Life del 2014 per giungere, dopo una lunga pausa, a questo ambizioso doppio cd Highways, Gamblers, Devils And Dreams di 23 tracce (di cui 5 cover) per quasi due ore di musica, che si può leggere come una riflessione sulle tematiche del mito americano. Se generalmente Hank si muove in tour come solista, in duo, in trio o con la sua Conspiracy Band, per l’incisione del recente album avvenuta in diversi studi (ben 15 in 8 stati) ha utilizzato numerosi turnisti.
Dotato di una voce che è stata definita come “resa granulosa dai venti e dalle sabbie del deserto” è sicuramente un folk singer della vecchia scuola che preferisce strumenti come la pedal steel, il violino, la chitarra acustica, l’armonica e il banjo, pur avendo questo disco una struttura elettrica.
L’apertura di Don’t Look Back ricorda Neil Young, mentre Chasin’ My Headlights Again è addolcita dalla seconda voce di Jaimee Harris. Nel primo disco ci sono quattro cover significative: I Ain’t Got No Home di Woody Guthrie con violino, fisarmonica e mandolino, cantata in trio con i colleghi e amici Jimmie Dale Gilmore e Butch Hancock, una dolente e acustica I’ll Be Here In The Morning di Townes Van Zandt in duetto con Jaimee Harris, Sitting In Limbo di Jimmy Cliff e Land Of Hope And Dreams di Bruce Springsteen più country dell’originale con l’inserimento del violino di Jeff Duncan e della pedal steel di Rob Pastore. Tra gli altri brani spiccano la rilassata I’m Gonna Hit The Number tra blues e JJ Cale, il riflessivo gospel Saving Grace e la delicata ballata Sunny Days.
Il secondo disco parte con il bluegrass Runnin’ With The Devil, proseguendo con brani autografi tra i quali la jazzata Man In A Cave con il sax di Tommy LaBella, l’Hammond di Radoslav Lorvic e delle percussioni sudamericane, El Sonador (The Dreamer) profumata di influenze latine e cantata in parte in spagnolo, mentre Start Building Bridges ondeggia tra People Get Ready e The Band con un messaggio importante di unità e umanità, ribadito da Corporations Are People dove Hank ci ricorda che anche le grandi aziende dovrebbero seguire le leggi. Dopo il gospel/blues The Devil’s At The Door è posta quasi in chiusura l’unica cover, Take Your Burden To The Lord, un gospel degli anni venti di Charle A. Tindley in cui si ascolta l’elettrica di Bill Kirchen (Commander Cody).

Paolo Baiotti

C. DANIEL BOLING – New Old Friends

di Paolo Baiotti

18 marzo 2024

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C. DANIEL BOLING
NEW OLD FRIENDS
Berkalin Records 2023

Paragonato ad artisti del calibro di Steve Goodman, Tom Paxton e John Prine, già vincitore del Grassy Hill Kerrville New Folk Contest e del Woody Guthrie Folk Festival, Daniel ha una lunga carriera alle spalle. Già membro del trio The Limeliters, ha lavorato come Ranger nei parchi nazionali e per altri uffici statali, diventando musicista a tempo pieno a cinquant’anni. New Old Friend è il suo nono album, prodotto da Jono Manson come il precedente e registrato nello studio del produttore The Kitchen Sink a Santa Fe. Quanto ai dischi precedenti, nel 2016 These Houses è stato nominato per i Grammy come migliore album folk.
Boling è amico da tempo del grande cantautore Tom Paxton, nato a Chicago nel ’37, che ha scritto brani coverizzati da Bob Dylan, Pete Seeger, Willie Nelson, Joan Baez e tanti altri. I due si sono ritrovati casualmente in Colorado nel 2022 per un raduno di autori e hanno iniziato a comporre insieme lavorando online sulla piattafoma Zoom, completando il disco non casualmente intitolato New Old Friends. Per Daniel è stato ovviamente un grande onore ed il risultato una sorpresa positiva per molti, cosicchè i due stanno anche suonando insieme dal vivo e preparando un secondo album in coppia.
Oltre alla collaborazione nella scrittura, Tom Paxton canta in cinque canzoni. Manson ha chiamato validi session men come Jason Crosby al piano, Jeff Scroggins al banjo e Char Rothschild per i brani arrangiati in modo più complesso che con la sola presenza di chitarra e voce, contribuendo a rendere il disco più vario e interessante.
Si parte con la scanzonata Get a Life! un duetto tra Daniel e Tom accompagnati da chitarra e banjo che profuma di Appalachi, seguita dalla prima canzone scritta dai due, la nostalgica Old Friends con il mandolino di Kelly Mulhollan. Gli altri pezzi cantati insieme sono il bluegrass This Town Has No Cafè, Red White And Blue caratterizzata dal piano di Crosby e Turn The Corner, una ballata deliziosa percorsa dall’armonica di Michael Handler in cui la voce di Paxton doppia quella di Boling.
Tra gli altri brani spiccano la delicata How Did You Know? e Of You And Me dedicata alla moglie Ellen, la disinvolta Bear Spray And Barbwire sulle disavventure che possono capitare camminando sulle montagne che circondano la città di Albuquerque in New Mexico dove Daniel vive, la bluesata The Keys sull’inesorabile trascorrere del tempo, Leaving Afghanistan che tratta delle problematiche dell’intervento americano e The Missing Years, una riflessione sulla pandemia e sulle sue conseguenze.

Paolo Baiotti

Domenica 24 Marzo la nuova edizione della Fiera del Disco di Agrate Brianza

di admin

8 marzo 2024

VOLANTINO AGRATE 24 03 2024

Si svolgerà come di consueto presso l’Auditorium Mario Rigoni Stern, presso la Cittadella della Cultura di
Agrate Brianza, in via G.M.Ferrario 53, la prossima edizione della Fiera del Disco e del CD.

Come sempre: ingresso gratuito (dalle 10 alle 18) e la possibilità di scambiare LP e CD con gli espositori.

INTERVENITE NUMEROSI!

NOLAN MCKELVEY – Forward

di Paolo Baiotti

8 marzo 2024

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NOLAN MCKELVEY
FORWARD
Autoprodotto 2023

Attivo da oltre 25 anni nell’area di Boston, Nolan ha suonato in ogni angolo degli Stati Uniti toccando diversi generi musicali che possono essere racchiusi nel termine Americana: alternative country, roots, bluegrass, country e rock. In questo lungo periodo ha ricevuto apprezzamenti non indifferenti, aprendo per artisti ben più conosciuti tra i quali Greg Brown, Odetta, Leon Russell, Los Lobos, Jerry Douglas, Cowboy Junkies, Son Volt e Josh Ritter. Tuttavia, non è riuscito ad emergere né nell’attività da solista che conta cinque album, né come componente di diverse formazioni tra le quali The Benders con i quali ha inciso altri cinque dischi e The Resophonics. Ha trascorso un periodo in California dove ha suonato nella band di Joel Rafael, ha registrato con Levon Helm, poi si è trasferito in Arizona dove ha inciso con i Muskellunge (sei album) che sono la sua band attuale di bluegrass insieme ai Tramps And Thieves, ma alterna anche l’attività da solista e in trio. Nel 2020 ha pubblicato Songs Of Hope, un mini-album di sei canzoni in associazione con la fondazione “cure the kids” e Into The Silence, registrato dal vivo senza pubblico a Flagstaff in trio.
Ora torna da solista con Forward, registrato con un nutrito gruppo di musicisti in parte già utilizzati in passato, in cui conferma pregi e difetti della sua musica, gradevole e di discreto livello pur risultando indubbiamente derivativa e senza grandi picchi nella scrittura. Un artigiano della musica roots come ce ne sono tanti negli Stati Uniti, per cui è difficile pensare che riesca ad emergere ulteriormente.
Forward alterna tracce di matrice rock, country e folk disegnando un ritratto credibile della musica di McKelvey. Ballate intime e dolenti di impronta folk come Mother, la title track già uscita come singolo che si impone con un crescendo notevole e la springsteeniana Pretending (contro la guerra) si alternano al soul ritmato di Tir Na Nog con il sax di Dana Colley (Morphine), al rock di Phoenix Rising e Other Side e al country di Tears In The Dell e di Sweetest Dreams scritta per la figlia, con la chiusura di New House in cui spicca il violino dell’amica Megyn Neff.

Paolo Baiotti

STEFANO DYLAN: Torino, Cafè Neruda, 29/2/2024

di Paolo Baiotti

8 marzo 2024

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STEFANO DYLAN: TORINO, CAFE’ NERUDA, 29/2/2024.

Dopo diversi tentativi andati a vuoto in Italia, il percorso musicale di Stefano Dylan si è sviluppato quando si è trasferito a Malta con la famiglia nel 2012, dove ha formato una band e suonato anche da solista. Ma il vero cambio di passo è avvenuto dopo il trasferimento in Irlanda, nella zona di Limerick. Per sua fortuna nell’isola di smeraldo la musica è radicata nella cultura locale, si trovano con maggiore facilità ingaggi nei locali (soprattutto nei pub) e anche suonare per strada è molto apprezzato. Per farla breve Stefano è riuscito a diventare un musicista professionista in Irlanda e ha pubblicato tre dischi: Rough Diamonds nel 2019, Ouroboros nel 2022 e Ballads From Home nel 2023, i primi due con una prevalenza di brani autografi, il terzo di cover di brani tradizionali e di altri cantautori anglosassoni.
Nella sua prima apparizione italiana da solista a Torino dove è nato e ha vissuto a lungo, il cantautore ha suonato da solo dimostrando una certa sicurezza e dimestichezza sul palco, alternando cover a brani autografi tratti dai tre dischi citati, ma non solo.

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Dall’esordio sono state scelte l’eccellente ballata folk Not A Day Goes By, la deliziosa No Key Blues e The Road To Waterloo ispirata dai Miserabili di Victor Hugo, che perde qualcosa senza la chitarra elettrica dell’originale in studio. Da Ouroboros sono stati estratti i primi tre brani dell’album: la sofferta Endless Road, la nostalgica The Life Before e Fool’s Gold, mentre dal recente Ballads From Home il musicista ha eseguito Canadee-i-o del folksinger inglese Nic Jones, il tradizionale Fair Annie nell’arrangiamento di Martin Simpson, la malinconica The Green Fields Of France del cantautore australiano Eric Bogle, una canzone contro la guerra ripresa anche dai Dropkick Murphys e da The Men They Coudn’t Hang e il tradizionale Shady Grove. Non sono mancate un paio di tracce in italiano, Malinverno con la quale ha aperto la serata e Filastrocca, con la quale ha vinto un concorso per cantautori indipendenti a Biella nel 2001 e alcune cover, tra le quali Icarus di Anne Lister (conosciuta nella versione di Martin Simpson), The Fields Of Athenry di Pete St. John sulla grande carestia irlandese (ripresa tra gli altri dai Dubliners e dai Dropkick Murphys), la dolente ballata western Tumbleweed di Peter Rowan e nei bis, a chiusura del concerto, una toccante Rainy Night In Soho dei Pogues, dedicata ovviamente alla memoria di Shane McGowan, l’unico brano in cui, oltre alla chitarra acustica, il musicista ha suonato anche l’armonica.
Un esordio promettente doppiato la sera dopo a Novara, sperando che in futuro ci siano altre occasioni per ascoltarlo dalle nostre parti.

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Paolo Baiotti

BRIAN KALINEC – The Beauty Of It All

di Paolo Baiotti

3 marzo 2024

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BRIAN KALINEC
THE BEAUTY OF IT ALL
Berkalin 2023

Cantautore folk di Beaumont, da tempo residente a Houston, sempre in Texas, Brian è stato paragonato a grandi artisti come Woody Guthrie, James Tayor, Jim Croce e Rodney Crowell. Già presidente della Houston Songwriters Association, ha condotto per anni un festival di cantautori piuttosto conosciuto e ha partecipato come autore a numerose manifestazioni locali, ottenendo riconoscimenti in eventi tra i quali la Songwriter Serenade Competition e The Big Top Chautauqua Song Contest. Molto attivo nel sociale e nella promozione della scena locale, nel 2012 è stato premiato con il “My Texan” Award ai Texas Music Awards per il suo supporto alla musica e agli artisti dello stato. Con la moglie Pam gestisce la Berkalin Records che pubblica parecchi artisti folk e di Americana.
Ha esordito come solista nel 2007 con Last Man Standing, seguito nel 2012 da The Fence, che ha suscitato notevole interesse nelle radio specializzate europee e americane. Dopo un progetto in coppia con la cantautrice folk Kj Reimensnyder-Wagner (un tour americano, qualche data europea e un album nel 2021) torna da solo con The Beauty Of It All prodotto da Merel Bregante, esperto produttore, ingegnere del suono e batterista (Loggins & Messina, The Dirt Band), nonché proprietario dello studio Cribworks Digital Audio di Liberty Hill in Texas dove è stato registrato l’album. Merel ha radunato una pattuglia di session men tra i quali la moglie Sarah Pierce ai cori, Mark Epstein e Rankin Peters al basso, Dave Pearlman alla pedal steel e Pete Wasner alle tastiere che hanno accompagnano Brian (voce, chitarra acustica ed elettrica) in 14 canzoni in cui prevalgono melodie dolci e carezzevoli e tempi medi o lenti che riflettono nella loro quiete e pacatezza i paesaggi delle foto della copertina e del booklet.
La scrittura di Kalinec è semplice, folk con qualche venatura country negli arrangiamenti, adatta alla sua voce calda e melodica, a tratti un po’ troppo vicina a quello che gli americani chiamano “adult contemporary”, tanto che qualche sforbiciatura avrebbe giovato all’ascolto complessivo dell’album. Non ci sono grandi picchi né cadute fragorose, tuttavia la ballata Next Door Stranger con una fisarmonica dolente, la dolce Redwood Fence, Fix-It Man con l’armonica e il mandolino di Cody Braun e The Wind scritta con Mando Saenz, musicista di Nashville e autore di parecchi brani di successo per artisti come Miranda Lambert, The Oak Ridge Boys, Jim Lauderdale, Eli Young Band e Whiskey Myers, sembrano avere qualcosa in più.

Paolo Baiotti

LADY PSYCHIATRIST’S BOOTH – Four Research Porpoises Only

di Paolo Baiotti

1 marzo 2024

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LADY PSYCHIATRIST’S BOOTH
FOUR RESEARCH PORPOISES ONLY
Autoprodotto 2023

Ashley E. Norton (voce e chitarra acustica) è stata coinvolta lo scorso decennio nel progetto Whitheward, un duo indie/folk formato con Edward A. Williams che si è esibito anche in trio con Stephanie Groot (violino, mandolino e voce). A seguito della pandemia che ha interrrotto l’attività del duo, le ragazze hanno deciso di formare una nuova formazione incidendo a Los Angeles nello studio di Laura Hall (pianista e tastierista, nonché direttrice musicale di uno show televisivo) un mini-abum, dandosi il nome di Lady Psychiatrist’s Booth, mischiando elementi folk, dark e pop con ironia e un po’ di eccentricità. Il passo successivo è stato la registrazione di questo album, un concept che intende raccontare la storia di quattro pazienti donne che negli anni cinquanta, intrappolate in un mondo dominato dagli uomini, dopo che i mariti le hanno lasciate per diversi motivi vengono accolte in un ospedale psichiatrico per scopi di ricerca (da qui il titolo del disco), con l’intenzione di scoprire perché sono state lasciate. Un medico, lo psichiatra Garf Lunkel interpretato da Bruce Blied, dovrebbe diagnosticare e trattare le loro problematiche o quelle dei mariti. Attraverso dialoghi e canzoni, ogni paziente racconta la sua storia; Ashley, Stephanie, la batterista Amanda Albini e la bassista Marcia Claire interpretano le quattro pazienti, la pianista Laura Hall un’ospite, il produttore del disco Johnny Garcia interpreta sé stesso. Un progetto satirico di impianto teatrale che è disponibile in digitale su Bandcamp comprensivo dei dialoghi che si alternano alle canzoni, che a loro volta sono invece raccolte senza dialoghi nel cd oggetto di questa recensione.
In generale spiccano la voce solida di Ashley e le curate armonie vocali, come si evince da Hell in Michelle che apre il disco a cappella, senza accompagnamento musicale. Il violino della Groot contraddistingue l’animata Joelle, il mandolino e una melodia pop la deliziosa When I Grow Up, mentre nell’ironica Cold Dead Body emergono cori anni cinquanta e la fisarmonica di Laura Hall. Spanish Cafè è una ballata morbida, Slow Train To Memphis una piacevole traccia bluesata, Money That Makes You A Man un mid-tempo country, per chiudere con il ruspante honky tonk di Dancing In The Dirt che cita nel testo la springsteeniana Dancing In The Dark.

Paolo Baiotti

BONEFISH – Where Do We Belong

di Paolo Baiotti

1 marzo 2024

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BONEFISH
WHERE DO WE BELONG
FMB 2023

I Bonefish sono un quartetto svedese formato da musicisti esperti che si sono uniti nel 2010, pubblicando tre anni dopo l’omonimo l’album d’esordio. La formazione originale comprendeva Bie Karlsson (voce e chitarra), Lasse Nilsen (chitarra), Rasmus Rasmusson (batteria) e Anders Nylle Thoor (voce e basso). La presenza di quattro voci di buon livello ha garantito da subito delle armonie puntuali e una varietà di tonalità vocali che si sono sposate con una musica influenzata da rock-blues e Americana. Alla fine del 2015 Nilsen ha lasciato la band sostituito da Matte Norberg, chitarrista votato ad un solismo più energico, con il quale è stato scritto e inciso il secondo album Atoms, registrato negli Rockfield Studios in Galles con la produzione di Max Lorents. Apprezzato dalla critica locale e trasmesso parecchio dalla radio nazionale tedesca, il disco ha consentito un lungo tour in nord Europa tra Germania, Olanda, Belgio e Svezia. La pandemia ha bloccato l’attività nel 2020 quando era in preparazione Where Do We Belong, che è stato rimandato fino al 2023, nuovamente prodotto da Lorentz che suona anche le tastiere.
Abbiamo di fronte 11 canzoni rock con melodie pop e un tocco di Americana con dei riff e dei cori che restano in testa, scritti in prevalenza da Karlsson o Rasmusson. Se l’opener New Orleans ha un riff di impronta rock-blues, Modern Day Attraction ricorda nell’attacco i primi U2 e profuma di anni ottanta, Always Right ha una cadenza più lenta e intima con incisivi interventi della solista di Norberg e Dance On The Ceiling mischia rock e pop con una ritmica dance. Nel rock ipnotico di Sad la voce solista è di Nylle Thoor, mentre la soffusa e avvolgente Friend Of Mine è scritta e cantata dal batterista Rasmusson. Meritano una citazione anche la riflessiva Home e la melodica Just Like A Warrior posta in chiusura.

Paolo Baiotti