Il motore del 2000
di Marco Tagliabue
11 aprile 2012
In principio erano i corrieri cosmici e qualche strano apprendista stregone del kraut rock: l’elettronica applicata alla musica giovanile era ancora un affare per palati fini, un mostro a cinque teste che, secondo la leggenda, esigeva sacrifici umani e dal quale i più erano ben felici di stare alla larga. Poi venne Autobahn e, come per incanto, la creatura malefica rivelò il profilo di un’affascinante pin up: in un mondo dalle fattezze ancora incerte, che cominciava a stropicciarsi gli occhi dopo lunghi sogni di ricchezza e prosperità e ad accorgersi che, forse, non tutto era girato per il verso giusto, la musica elettronica si avviava a diventare un affare per le masse. Di lì a qualche anno sarebbe stato un Computer World ed i Kraftwerk, anche questa volta, i primi ad accorgersene. Ma il 1974 è, per certi versi, la preistoria: il villaggio globale può far pensare, al massimo, ad un centro vacanze in riva al mare, la fibra ottica non esiste e per i fili del telefono ci passano solo gli squilli di romantici apparecchi neri da parete. La Storia viaggia su quattro ruote e le autostrade sono le modernissime arterie che collegano genti e culture diverse allo stesso cuore pulsante. Sulla copertina di Autobahn, sullo sfondo di un sole radioso, di un cielo terso e placide colline verdeggianti, un’autostrada corre imperiosa verso un futuro che sembra luminoso ed a portata di mano: in un senso di marcia un vecchio Maggiolino torna mestamente sui propri dimenticati passi mentre, dall’altro, una fiammante e modernissima Mercedes sembra partire alla conquista del mondo. Dentro, naturalmente, ci sono loro, i quattro uomini robot di Dusseldorf. Che, con buona pace dei detrattori della fantomatica svolta commerciale, non sono mai stati tanto avanti rispetto agli altri come quando hanno deciso di elargire a tutti il dono della propria arte. Se infatti i primi due album di studio, Kraftwerk 1 e 2, ed in maniera minore anche l’interlocutorio Ralf & Florian, sono lavori sperimentali ma comunque in linea a quanto stava accadendo in quegli anni nel cosmo che sta su in Germania, Autobahn e più ancora i successivi Radio Activity, Trans Europe Express e Man Machine, tutti dischi di grandissimo successo editi fra il 1975 ed il 1978, sono il punto di partenza di tutta la musica dei due decenni successivi: new wave, synth pop, hip-hop, techno, house, trance… Autobahn è una moderna sinfonia per bielle e pistoni, è la musica di un motore che gira a pieno regime, la colonna sonora di un corpo meccanico in movimento. Una suite di oltre ventidue minuti che parte con il rombo del motore e lo stridere dei pneumatici per sviluppare un tappeto ritmico ipnotico e minimale, sul quale danzano leggiadre le sinuose melodie di flauto e tastiere mentre una voce asettica e stranita magnifica la dimensione del viaggio come un primo, timido tentativo di avvicinare il futuro. La versione ristretta, condensata nei tre/quattro minuti di un singolo, spopolerà in Europa e Stati Uniti: l’uomo e la macchina scoprono di piacersi e di essere fatti l’uno per l’altro. E’ l’inizio di una lunga storia d’amore.