Archivio di aprile 2024

STEVE YANEK – September

di Paolo Baiotti

23 aprile 2024

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STEVE YANEK
SEPTEMBER
Primitive Records 2023

Emergere nel mondo della musica non è facile, questo lo sappiamo tutti. Spesso ci vogliono molta pazienza, fiducia e forza…e magari si resta lo stesso delusi! Steve Yanek, originario di Youngstown in Ohio anche se da tempo residente nelle campagne della Pennsylvania, aveva esordito positivamente nel 2005 con Across The Landscape e sembrava destinato ad un futuro di un certo interesse. Invece, nonostante buone recensioni e l’aiuto di nomi illustri (Jeff Pevar, Rod Morgenstein, T. Lavitz) il disco è stato rapidamente dimenticato. Tuttavia Steve, dotato delle caratteristiche sopra citate, non ha mollato: dapprima ha fondato la Primitive Records, ha lavorato come manager, formato una band e organizzato uno studio di registazione. Dopo parecchi anni di pausa è tornato con Long Overdue nel 2022, inciso durante la pandemia e prodotto da Jeff Pevar (CPR) che ha anche collaborato strumentalmente, riunendo tracce vecchie e nuove tra rock e country, Tom Petty e Jackson Browne, Eagles e Merle Haggard.
Con September invece, confortato dalla positiva accoglienza di Long Overdue che ha ottenuto buoni piazzamenti nelle classifiche indipendenti di settore, Steve ha deciso di fare tutto da solo: ha inciso dieci canzoni nuove presso il suo studio, suonando ogni strumento e ispirandosi ad Emmitt Rhodes, cantautore e polistrumentista considerato da molti “the One Man Beatle” per le sue incisioni in solitaria debitrici dei Fab Four, morto nel 2020. In realtà questo disco era già pronto quando è uscito il precedente, ma giustamente Steve ha atteso qualche mese separando i due progetti.
September è un album molto melodico come dimostrano la scorrevolezza pop di Summer Days, il country-pop di I Could Use A Little Rain che ricorda gli Eagles, il rock addolcito di Catch My Fall, l’incedere leggero e un pizzico malinconico di Count Every Moment, la tenerezza dell’autobiografica Carousel che racconta il primo incontro con la moglie, la dolcezza di You Know It’s Right, la brillantezza dell’apertura rock di Begin Again e l’ottimismo del testo della title track posta in chiusura.
September ondeggia con grazia e leggerezza tra pop, rock e Americana, dimostrando le qualità di un autore, cantante e valido polistrumentista meritevole di essere ascoltato.

Paolo Baiotti

WENDY WEBB – Silver Lining

di Paolo Baiotti

18 aprile 2024

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WENDY WEBB
SILVER LINING
Spooky Moon Records 2023

Abbiamo già scritto di Wendy Webb nel 2016 recensendo il suo quarto album This Is The Moment. Cantautrice dell’Iowa residente a Sanibel Island in Florida, ha iniziato la sua carriera discografica nel 2004 con Morning In New York, seguito da Moon On Havana (ispirato da un viaggio a Cuba) e da Edge Of Town nel 2012. Nel 2017 ha pubblicato Step Out Of Line che ha ottenuto recensioni positive confermando l’impressione di una cantante dalla voce folk/pop calda, morbida e melodica, accompagnata da una musica che si muove con eleganza tra pop, jazz e blues, avvicinabile nello stile a grandi artiste come Carole King, Laura Nyro, Joni Mitchell, Carly Simon e Norah Jones. Valente cantante e sensibile pianista, afficancata come sempre da John McLane (fiati, archi, batteria, basso, tastiere, chitarre) e Danny Morgan (bongo, chitarra, percussioni) che hanno anche prodotto il disco registrato da McLane, Wendy torna dopo qualche anno di pausa con Silver Lining, un album molto orecchiabile e sosfisticato che sembra destinato a un pubblico più maturo, pur confermando le coordinate musicali del passato tra folk, jazz, pop e blues. La registrazione è stata rallentata e complicata dalla pandemia e da un uragano che ha colpito l’isola di Sanibel, distruggendo anche la casa che condivide con il marito, lo scrittore Randy Wayne White, ma risparmiando lo studio di registrazione.
Seppure composto da brani in parte un po’ troppo leggeri per le nostre orecchie, Silver Lining si lascia ascoltare senza sbalzi, a partire dalla sognante ballata pianistica This Is Love, proseguendo con la latineggiante e rilassata Old Blue Panama, alzando un po’ il ritmo con il soft-rock di Gonna Treat You Right e rallentandolo di nuovo per una cover pianistica di I’ve Grown Accustomed To Your Face da My Fair Lady, interpretata con classe e sensibilità dalla Webb sia vocalmente che al piano. Tra i brani successivi si apprezzano la notturna Timeless Love che ricorda vocalmente Carole King, la mossa I’ve Never Been To Argentina, la romantica Rhythm Of Your Love con il sax di McLane e un’altra interpretazione vocale notevole e la suadente Children On The Blue dedicata al padre, per finire con la ritmata Silver Lining.

Paolo Baiotti

I SHOT A MAN – Dues

di Paolo Baiotti

11 aprile 2024

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I SHOT A MAN
DUES
Bloos Records 2024

Ho ascoltato per caso questo trio torinese come spalla di Dany Franchi e Alberto Marsico al Festival del Blues del Magazzino di Gilgamesh e ne sono rimasto favorevolmente colpito. Appena è uscito il loro secondo album me lo sono procurato, non avendo potuto assistere al concerto di presentazione del disco. Sul loro sito scrivono: “gli I Shot A Man nascono nel 2014, dall’ostinazione di riprendere il blues delle origini e di suonarlo come fosse nato oggi. Le materie prime sono di prima scelta: chitarre elettriche, acustiche, resofoniche, batteria degli anni ’40, impreziosita da cucchiai e assi per lavare i panni, voce a metà tra il crooner e il musicista di strada. Il risultato è un suono essenziale, incompleto, che pensa al mondo in cui il blues è nato, quando gli strumenti erano pochi e arruginiti”.
Può sembrare un’ambizione esagerata, invece i ragazzi suonano proprio così! Nel 2022 hanno partecipato all’International Blues Challenge a Memphis, tre anni dopo avere pubblicato l’esordio Gunbender grazie ad un crowfunding. Poi hanno iniziato a pensare a Dues, molto più ragionato del precedente, prodotto e registrato da Manuel Volpe nel suo studio Rubedo a Torino.
Manuel Peluso (voce e chitarra), Domenico De Fazio (chitarra solista e voce) e Simone Pozzi (batteria e voce) compongono il trio che non ha un bassista e sono anche gli autori di nove dei dieci brani dell’album. Ovviamente il loro nome è un riferimento a un famoso brano di Johnny Cash (Folsom Prison Blues) e già questo denota una scelta di campo. Ma è soprattutto la musica che colpisce: il suono è antico e contemporaneo nello stesso tempo, parte dalla tradizione, ma la rielabora tenendo conto dello stile essenziale dell’Hill Country Blues del Mississippi, dell’approccio dei Black Keys o di certe cose di Jack White, senza dimenticare accennni di world music.
La spigolosa e cadenzata Arnold Wolf, uscita anche come singolo, richiama proprio i Black Keys con una chitarra ficcante e riusciti intrecci vocali, seguita da un’incisiva cover di Moaning At Midnight di Howlin’ Wolf con l’armonica di Tom Newton, dall’old style raffinato di Contemplation Blues e dal profumo d’Africa della notevole Desert Room. Toccando ogni aspetto ricollegato al blues senza essere degli integralisti, si prosegue con il boogie Left Eye in cui spicca una slide sofferta, con la morbida Annie Goodheart che si apre ad un sorprendente finale corale e con Thieves, quasi sospesa con il suo ritmo lento e una coralità gospel dovuta anche all’aggiunta delle voci di Alice Costa e Ilaria Audino. Nel finale la deliziosa Roll And Flow, la notturna Spazio 50 in cui dialogano il piano di Simone Scifone e la slide e la nostalgica ballata soul-blues Billboard in cui il piano è affidato a Manuel Volpe confermano le impressioni positive su Dues, un album che soddisfa in ogni aspetto e che meriterebbe una distribuzione più vasta a livello internazionale.

Paolo Baiotti

JAMES J TURNER – Future Meets The Past

di Paolo Baiotti

1 aprile 2024

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JAMES J TURNER
FUTURE MEETS THE PAST
Touch The Moon 2023

Originario di Liverpool, James ha imparato a suonare la chitarra da bambino appassionandosi al rhythm and blues, iniziando da adolescente a scrivere canzoni. Ha lasciato la scuola a 15 anni per lavorare di giorno sulle banchine portuali della città e per suonare di sera. A ventidue anni ha fatto la scelta di lasciare il lavoro e di dedicarsi alla musica come cantante di alcuni gruppi, tra i quali i Lies All Lies e The Electric Morning che hanno anche supportato Rain Parade e True West in Europa. In seguito ha aperto i Liverpool Hard City Studios dove ha inciso nel 2002 il suo esordio da solista The Believer ristampato nel 2017, ottenendo un certo interesse non solo in Gran Bretagna. Nel 2012, dopo quattro anni di lavoro, è uscito How Could We Be Wrong? più vicino al folk-rock di gruppi che lo hanno influenzato come i Fairport Convention e la Incredible String Band. Essendo un grande appassionato e studioso di storia antica (è membro dell’OBOD, Order of Bards, Ovates and Druids), gli approfondimenti in questo campo hanno influenzato Spirit, Soul & a Handful Of Mud, pubblicato nel 2016. Più recentemente, superata la pandemia, James ha ottenuto il supporto del Arts Council England che lo ha aiutato a registrare Future Meets The Past, un album che ruota intorno al tema del Druido Bardico che riconnette le persone sia allla natura che alle radici storiche del passato. Questo tema influenza soprattutto i testi, ma anche musicalmente ci sono dei collegamenti al folk acustico con i violini di Amy Chalmers, Neil McCartney e Chris Haigh e il violoncello di Vicky Mutch, mentre Turner suona chitarra acustica ed elettrica, mandolino e flauto a fischietto. Un suono orgoglioso prevalentemente acustico con una voce all’altezza, ma con una base ritmica che può richiamare alla lontana gruppi come gli Alarm, i Waterboys e i Big Country con un tocco di Americana.
La trascinante Future Meets The Past con inserimenti continui del violino, l’aggressiva Kalahari Rain, l’orientalegginte Breaking Of The Ties, il rock cadenzato e robusto di Heaven’s Inside You, la drammatica Same Old Story, il singolo folk-rock Hey Brother e l’epica Move Up To The Light sull’importanza della consapevolezza ecologica per combattere la politica delle corporazioni, sembrano emergere in un disco pieno di vitalità e di energia.

Paolo Baiotti