Il cielo in una stanza
di Marco Tagliabue
23 settembre 2012
“Ricordo chiaramente che mi sdraiai sul letto della mia cameretta a casa dei miei genitori a New York, al buio. Per ascoltare il nastro non avevo che un registratore portatile con le pile quasi scariche, e l’unica luce che illuminava la stanza era quella che veniva da fuori… Man mano che la cassetta scorreva, l’atmosfera si riempiva di magia. Ero così felice ed orgogliosa di quello che avevamo fatto…sentivo che il mio modo di suonare il basso aveva finalmente una direzione e così il nostro modo di scrivere canzoni ed il nostro suono. Ritengo che quello fu il momento del passaggio dall’innocenza all’esperienza. Penso che allora fossimo felici insieme, ma chissà se era vero per tutti…” (dal libretto allegato al cofanetto 1987-1991, Rykodisc 1996).
E’ Naomi a ricordare la sera in cui ascoltò per la prima volta la cassetta con i missaggi definitivi dei brani di On Fire, il secondo album del terzetto di Boston edito su Rough Trade nel 1989, ed anche noi, per quanto ci sforziamo, non riusciamo a trovare termini più efficaci per descrivere l’incantesimo dei Galaxie 500.
Si sono presi una bella rivincita Dean Wareham, Damon Krukowski e Naomi Yang nei confronti della frettolosità con cui la loro creatura è stata ignobilmente archiviata al termine del breve arco temporale della sua vicenda terrena, con tre album ed una manciata di singoli all’attivo. E se oggi i Galaxie 500 sono universalmente riconosciuti come i padrini di tutta la scena shoegazer e slowcore degli anni novanta, qualche briciolo di merito va senz’altro ascritto anche al coraggio ed alla lungimiranza della Rykodisc che, sacrificando per una volta le ragioni del portafoglio a quelle del cuore, ha ristampato tutta la sparuta discografia del gruppo all’interno di un magniloquente box quadruplo, ed è arrivata perfino a rispolverare, per una pubblicazione di poco successiva, i nastri di un inedito concerto di Copenhagen del 1990, contribuendo a mantenere desta l’attenzione del pubblico nell’agognato momento del raccolto.
E pensare che i master dei tre album ufficiali della band, finiti troppo in fretta fuori catalogo, hanno rischiato seriamente di essere cancellati dalla storia travolti, insieme ad una buona parte delle relative royalties, dalla bancarotta di Rough Trade del 1991 e si deve soltanto alla testardaggine di Damon Krukowsky, che riuscì a salvare a proprie spese le bobine dal naufragio della label, il grande merito di non aver privato le generazioni future della magia dei Galaxie 500.
Colti nel momento magico e doloroso del trapasso dall’adolescenza all’età adulta, i tre riuscirono ad esprimere alla perfezione un universo sonoro ed emotivo placido, tranquillo, senza scosse, ove ogni elemento sembra seguire la propria orbita incurante dei sommovimenti del mondo esterno. E’ un atteggiamento riflessivo e contemplativo nei confronti della vita e di tutti gli avvenimenti che l’attraversano, dalla nascita alla morte, catturati attraverso il filtro delle proprie esperienze personali e giudicati da una dimensione straniante, quasi sospesa nel vuoto, a due passi dal nulla…
E’ una musica intima ed intimista, da ascoltare preferibilmente da soli o al massimo con la persona amata, cui affidarsi con passione e senza pregiudizi. Sarà terribilmente facile, allora, ritrovarsi compiaciuti ostaggi della malinconia infinita di quelle atmosfere placide e struggenti, in grado di liberare il flusso dei pensieri dall’ansia del quotidiano e di innalzarlo verso una dimensione ultraterrena.
La semplicità di arrangiamenti assolutamente quieti e lineari ma mai banali, di basi chitarristiche scarne e minimali con pochissimi elementi di disturbo: rari gli assoli, gli interventi di altri strumenti, le sovrapposizioni vocali, i cambi di tempo…solo la voce sognante ed enigmatica di Dean a tessere melodie ipnotiche, spesso inarrivabili, quasi sempre indimenticabili.
La massima semplicità per la massima intensità.
Su tutto, si sarà ormai capito, lo spettro ingombrante ma accomodante dei memorabili Velvet del terzo album, oltre a riferimenti meno nobili e più contemporanei quali Opal e Cowboy Junkies: citazioni più che plausibili ma da prendere comunque con le pinze per non sminuire la carica innovativa e lo spirito liberatorio della musica del gruppo.
E’ difficile e soprattutto inutile cercare novità, cambiamenti, piccole rivoluzioni o semplici giri di boa nel clima generale che pervade le tre opere principali dei Galaxie 500: dopo il debutto sulla lunga distanza di Today (per Thurston Moore “migliore disco chitarristico del 1988”), ogni album sembra cominciare nello stesso punto in cui era stato interrotto il precedente, per poi proseguire nella medesima direzione come un imprescindibile complemento, un nuovo capitolo della stessa appassionante storia.
Ecco allora, come sempre con la produzione di Kramer, sorta di guru psichedelico dell’epoca ed a tutti gli affetti membro aggiunto della band, la suadente poesia del masterpiece On Fire (1989) ed il morbido addio di This Is Our Music (1990).
Soffocati da irriducibili divergenze di opinione e di carattere i Galaxie 500 sarebbero rientrati dalla loro orbita di lì a poco per sancire una irrimediabile frattura: da una parte Dean Wareham con i suoi Luna, dall’altra Damon e Naomi con l’omonima sigla.
Chi se li fosse persi all’epoca non commetta un nuovo, imperdonabile, errore.
(da LFTS n. 59)