Archivio di giugno 2022

SCARLET RIVERA – Dylan Dreams

di Ronald Stancanelli

30 giugno 2022

Scarlet Rivera Dylan Dreams

SCARLET RIVERA
DYLAN DREAMS
IRD APPALOOSA RECORDS 2022

Abituati a una Scarlet Rivera silente, completamente presa dal suono del suo violino fa specie ritrovarla in questo mini album, sei brani per ventiquattro minuti, anche nella versione di girl singer, Una voce profonda, laccata di ruggine e roca quanto basta per essere affascinante e per ricordare a tratti quella di qualche soul singer o addirittura di Nils Lofgren nel brano Series of Dreams e Born in Time o Jimmy La Fave in Sacred Wheel.
Come si evince dal titolo omaggia il menestrello di Duluth e lo fa con notevole cognizione di causa.
Saltando a piè pari le differenti versioni o nozioni storiche che narrano di una violinista ubicata davanti a una stazione ferroviaria, pare, a suonare il violino, o di una ragazza con un violino in spalla che camminava per i fatti suoi, notata da Dylan che fece fermare l’auto portandola in studio ed inserendola nel disco Desire, e poi portandola in tour con la Rolling Thunder Revue, ci concentriamo su questo accattivante e coinvolgente album che affascina non poco, nel quale si fa aiutare da Scott, e Dan Ferguson, Federico Ramos e Tim Goodman alla chitarra, da Nial Ferguson, Eduardo Del Signore e Jimmy Haslip al basso e da MB Gordy e Kevin Medeiros alla batteria, oltre che da Johnny Hoy all’armonica e Vince DiCola alle tastiere.
In questo breve cd ci viene quindi proposta inizialmente Series of Dreams, pezzo proveniente da Bootleg Serie Vol. 1, intenso brano sulla psicologia dei sogni che scorre fluido in questa scivolosa versione della Rivera, caratterizzata anche da una energica batteria. Interessante la riproposizione di Born in Time, outtake da Oh Mercy (1989) , che Dylan mise poi ne disco under The Red Sky, (1990) e poi pur ripresa da Clapton con testo diverso nel 1998. Terzo brano la splendida Senor tratta da Street Legal (1978), pare gli sia stata ispirata da un suo viaggio in Messico in treno ove aveva visto questa inquietante figura di un vecchio dallo sguardo fiammeggiante vestito solo da una vecchia coperta. Versione mefistofelica e quasi incutente paura e di una profondità lancinante la versione della violinista qui presente. Quarto tassello Where Teardrops Fall ,Dylan l’aveva in Oh Mercy (1989), la Rivera la propone in modo scarno e profondamente personale, quasi avvinta su se stessa. Sacred Wheels incredibilmente sembra, sia come stile del brano che come voce della Rivera, un pezzo di Jimmy La Fave mentre invece arriva dal precedente mini di Scarlet, ovvero All of Me, altro dischetto di soli sei brani uscito nel 2020.
Chiude Dust Bowl sincopata sua cavalcata westernche narra di un disastro ecologico accaduto negli Usa a cavallo delle due guerre mondiali ove la voce si incunea perfettamente in un sapiente gioco di blanda ma intensa batteria.
Corto ma bellissimo questo album si candida come uno dei momenti discografici più interessanti dell’anno in corso. Documenti che annoverano la sua presenza con Dylan dal vivo sono il Film Renaldo e Clara e i dischi The Bootleg Series Vol. V Live 1975 e Hard Rain.
Nelle note del libretto l’artista dice che questo sia un anticipo, diciamo un aperitivo, a un album completo che vuole dedicare a Bob Dylan e che è nel suo immediato futuro. Documenti che annoverano la sua presenza con Dylan dal vivo sono invece il Film Renaldo e Clara e i dischi The Bootleg Series Vol. V Live 1975 e Hard Rain.
Intensa e diretta l’espressione della musicista nella foto che fa da copertina al dischetto.

Ronald Stancanelli

LUCIA MILLER (ERIKA ARDEMAGNI) – Lampi sulla Pianura

di Ronald Stancanelli

27 giugno 2022

Lucia Miller Lampi

LUCIA MILLER (ERIKA ARDEMAGNI)
LAMPI SULLA PIANURA
2019 Eccher Music

La brutta notizia è che chi questo disco lo ha gia, ce l’ha e se lo tenga stretto poiché, parole di Erika Ardemagni il 16 giugno corrente, quasi sicuramente non verrà più ristampato. Quella bella è che dopo nove anni che non abbiamo un nuovo album di Massimo Bubola possiamo bearci di questo, Lampi sulla pianura, uscito purtroppo solo pochi giorni prima del lock down, composto da dieci brani di Massimo di cui uno edito il noto Annie Hannah, un tradizional da lui arrangiato e uno di Andrea Parodi. Il tutto bellamente condito dalla piacevolissima voce della Ardemagni, che conosciamo da anni sui palchi con Massimo Bubola e della quale abbiamo sempre apprezzato la voce e ammirato il suo gentile e radioso sorriso. Adesso ha un suo album, che vicissitudini a parte accadute dopo la sua uscita, è documento impedibile per chi si abbevera da anni ai suoni e alle parole di Massimo Bubola ma, che nel contempo apprezza le novità che il mondo femminile musicale italiano può regalare. Decisamente questo album solare, imperioso, che vola libero è dischetto dalle molteplici sfaccettature. Varie componenti si sposano perfettamente tra loro regalandoci un disco che meritava sicuramente più visibilità e fortuna e che in assenza del delirio covid siamo sicuri avrebbe avuto il suo giusto riscontro al Premio Tenco quando invece il mondo era in stand by.
La solarità dell’artista la conoscevamo, come detto sia sui tanti palchi calcati con il marito, che con le relative incisive e importanti apparizioni nei dischi Quel lungo treno (2005), Ballate di Terra e d’acqua (2008), Dall’altra parte del vento (2008), Chupadero/Barnetti Bros Band (2010) e forse anche nel cd In alto i cuori (2013) nel brano Una canzone che mi spacca il cuore ma non ne abbiamo la certezza poiché i crediti non son totalmente specificati nel libretto.

Eccezionale la prima parte di Lampi sulla pianura. Come il lato A di un vinile i primi sei brani solari, densi di ritmi e ricurve melodie corroborano gli animi ed esaltano i cuori. Questi sei pezzi ascoltati in rapida sequenza catturano immediatamente affascinando l’ascoltatore. Vari personaggi, principalmente femminili arricchiscono il percorso di questo luminoso album che si avvale delle chitarre di Massimo Bubola e della sua voce in Mi chiamo Anita, di Enrico Mantovani in molteplici strumenti a corda, di Thomas Sinigaglia alle tastiere e fisarmonica, di Mauro Ottolini negli strumenti a fiato, di Alessandro Formenti ai vari bassi e di Virginio Bellingardo alla batteria e percussioni. Il pezzo cinque monete d’oro ci riporta un pochino alla memoria Che confusione, vecchio brano scritto da Bubola e Cristiano De Andrè che trovava posto nell’album Cristiano De Andrè (1993).

Nella seconda parte, eventuale lato B di un vinile, tra pagine di soavi ballate soffuse e delicate, trova posto invece la solarità e la tristezza, di Annie Hannah, straordinario brano, in questo caso quindi una cover, che proviene dallo splendido Vita Morte e Miracoli, disco del 1989 di Massimo Bubola, che resta negli anni uno straordinario album senza tempo. Leggerissima, in punta di voce pregna di emozione e sentimenti e nel contempo terribilmente sofferta come martellate al cuore questa versione al femminile non può non entrare anch’essa sotto pelle e smuovere le coscienze, anche se dati gli eventi che ci circondano, pare che l’essere umano nulla impari dalla storia, anche dalla più nefanda e disgustosa. Un grande recupero, una gran bella voce lei che la canta e fiammeggianti le parole che la compongono, ad opera di un artista, Massimo Bubola, che da anni è nei nostri cuori con le sue parole incastonate in tante, tantissime canzoni/poesie che abbiamo amato e continuiamo ad amare. Ultima cosa per poi ritornare ad Erika, ormai son passati nove anni dall’album In alto i cuori. Impazienti attendiamo.
Che dire alfine, questo Lampi sulla pianura, dalla intensissima copertina proveniente da un ex voto in quel di Voltri, Genova, è lavoro di grande spessore che riconcilia con ciò che ci circonda annullando la stupidità di mille belinate che la tv e i media ci propinano ignominiosamente quotidianamente dandoci la certezza che in mezzo a molto niente, fortunatamente abbiamo anche tanta bellezza a cui abbeverarci e questo dodici brani tutti molto ammalianti ed incantevoli ci illuminano la giornata. Veramente grazie a Lucia Miller/Erika Ardemagni per questo preziosissimo regalo che ci ha donato. Album che continua a scorrere nel nostro lettore allietandoci con la sua grazia.

Ronald Stancanelli

Erika Ard

TOBIAS BACKSTRAND – Heal

di Paolo Baiotti

5 giugno 2022

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TOBIAS BACKSTRAND
HEAL
Paraply 2022

Cantante, cantautore e chitarrista svedese, già attivo nel gruppo di supporto del cantautore svedese Mikael Persson e del gruppo folk Rotation, approda all’esordio solista con dieci brani di sua composizione. Nella registrazione di Heal, cantato in parte in inglese e in parte in svedese, è stato aiutato da Persson (chitarra e voce), Anna-Lena Seydlitz (percussioni e cori), Berra Karlsson (pedal steel), Magdalena Gerberg (flauto), Pelle Johanson (basso) e Hasse Lindstrom (batteria).
Heal è un album di folk-roots con venature country date dalla pedal steel e dal violino che contiene anche tre brani strumentali piuttosto caratteristici: l’opener Irish Coffee che ha una prima parte quieta e un’improvvisa accelerazione che ricalca una giga irlandese, Gao Shan Liu Shui dedicato alla moglie orientale che risente delle influenze dell’estremo oriente e l’etereo e pacifico Vaggvisa Till Freja con un’intro di flauto al quale si accosta la chitarra acustica, dedicato alla figlia.
Tra le tracce cantate in inglese spiccano la nostalgica Candle Bright interpretata vocalmente da Persson, Drifting In The Wind dalle venature western, con inserimenti puntuali della pedal steel e un’elettrica che ricorda Mark Knopfler e la dolce e melodica ballata Heal che cresce con l’inserimento di una grintosa chitarra elettrica in chiusura del disco. Tra quelle interpretate nella lingua locale Och Regnet Foll ondeggia tra folk e rock, accelerando il ritmo con una chitarra rock-blues e qualche similitudine con i Wishbone Ash, mentre Morker Ljus ha un’ispirazione country e Om Sa Bara For En Stund evidenzia la voce folk di Anna-Lena.

Paolo Baiotti

DON MICHAEL SAMPSON – The Fall of The Western Sun

di Paolo Crazy Carnevale

2 giugno 2022

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Don Michael Sampson – The Fall of The Western Sun (Appaloosa/IRD 2022)

Una carriera discografica di tutto rispetto, quanto a quantità, quella di questo artista particolarmente apprezzato dai colleghi più famosi di lui: non basta però essere molto amati da musicisti di vaglia per essere alla loro altezza, bisogna avere qualche scintilla di personalità in più per uscire dall’anonimato. Don Michael Sampson è un songwriter nella media, autore di brani dai lunghi testi, ha una quindicina di dischi all’attivo, sparsi lungo una carriera cominciata addirittura alla fine degli anni settanta. Non è però mai diventato qualcuno, nonostante la frequentazione di ospiti di rilievo che bazzicano i suoi dischi come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Questo “tramonto del sole occidentale” è l’ultima prova del nostro, registrata tra la città degli angeli e Nashville ed è un lavoro più che potabile anche se estremamente derivativo: Sampson pare sia molto stimato da Neil Young e l’influenza del canadese è davvero molto presente tra le tracce di questo CD.

Innanzitutto la presenza di due artisti molto legati a Young, vale a dire Ben Keith con la sua inconfondibile pedal steel e il batterista Chad Cromwell, poi l’inclusione di tracce come Wedding Song (tra l’altro molto ben eseguita e prodotta, con una bella prestazione di Paulinho Da Costa alle percussioni) che sembra un clone di Helpless o Everybody’s Leaving This Old Town che ha nei cori una voce che sembra molto quella dello stesso Young (capace che per motivi a noi ignoti sia proprio lui sotto mentite spoglie).

L’album pare anche essere il frutto di session sparpagliate nell’arco di parecchio tempo, tenendo conto che Don Heffington (altro batterista impegnato nel disco) è passato a miglior vita lo scorso anno e che Ben Keith lo è da una dozzina di primavere; questa lunga escursione temporale nella produzione del disco finisce col non giovare all’amalgama finale, brani come la ritmata New Book non hanno il mordente di altre canzoni, tipo l’opener Rolling Time Train, una delle composizioni particolarmente impreziosite dalla pedal steel di Keith.

Crimson Sparkle Of High Wind Wheels e Wild Rose Of Florence sono due gioiellini acustici in punta di chitarra e basso, quasi due demo però, Bad Water suona come se Townes Van Zandt, affiancato dalle coriste del Dylan gospel, avesse chiesto l’accompagnamento musicale dei Promise Of The Real (nel disco ci sarebbe anche Warren Haynes, anche se non è indicato con precisione dove suoni), ottimo anche qui il lavoro di Da Costa con le percussioni. Stop Those Tears assomiglia troppo al Dylan di You Ain’t Goin’ Nowhere, anche nell’assolo centrale e questo conferma l’ipotesi fatta in apertura riguardo al fatto che Sampson sia eccessivamente derivativo per poter brillare di luce propria. La lunga, lenta e cadenzata Cast Off The Lines ha di nuovo dalla sua Ben Keith, prima di lasciare la scena all’ultimo brano Sweet Tennessee Nights, buona composizione d’atmosfera country rock che nulla aggiunge ai giudizi fin qui espressi.

Paolo Crazy Carnevale