IN MORTE DI S.B. (Canzone per un amico immaginario)
Pensandoci bene è come se qualcuno mi avesse telefonato dicendomi: “Hai sentito? E’ morto Jim Morrison…”. Ed io, incredulo e sgomento: “Come? Jim Morrison?!? Ma scusa, e quella vasca da bagno a Parigi trentacinque anni fa? Quel blocco di granito al Pere Lachaise? Sei sicuro di quello che dici? Chi ti ha messo in testa una panzana del genere?” Strano destino quello di Syd Barrett: al pari di Jim Morrison era fantasma più o meno dal 1971, salvo qualche rarissima, mitizzata e del resto mai provata apparizione –prima fra tutte quella negli Abbey Road Studios di Londra della primavera del 1975, durante le sessions di registrazione di quel Wish You Were Here con il quale i suoi ex compagni stavano tentando un improbabile re-styling alle proprie vituperate coscienze- e adesso che qualcuno ci avverte che spiritello lo è diventato davvero, quasi stentiamo a crederci, come a dire che non si può morire una seconda volta.
Eppure sapevamo benissimo che, al contrario del Re Lucertola, da qualche parte, chissà dove, il suo cuore continuava a battere. Magari non la sua testa di bambino prigioniero in chissà quale corpo da uomo, ancora schiava degli eccessi giovanili o di una madre troppo autoritaria o di una qualsiasi delle migliaia di leggende che circolavano intorno al suo conto, irrimediabilmente perduta in qualche universo parallelo ma non comunicante, in cui le luci ed i colori erano ancora quelli della Swinging London e dei suoi sogni in technicolor, dell’Ufo Club e delle sue luci stroboscopiche, di una primavera mai sfociata in estate e dei suoi fiori appassiti troppo in fretta.
In fondo preferivamo pensarlo già morto, era più comodo pensarlo già morto: il pifferaio magico non si era fermato davanti alle porte del crepuscolo, aveva osato oltrepassarle e si era consegnato direttamente all’eternità senza togliere completamente il disturbo. Forse era stato semplicemente più furbo di chi aveva scelto di diventare leggenda riempiendosi di porcherie sino a soffocare nel proprio vomito o sparandosi direttamente un colpo in bocca senza passare dal via: il risultato, in effetti, gli aveva dato pienamente ragione. E se tutte le altre grandi icone giovanili degli anni sessanta, da Janis Joplin a Marylin Monroe, da Jim Morrison a Jimy Hendrix a Che Guevara, erano state costrette a lasciare questa Terra per consegnare alla Notte dei Tempi un’immagine per sempre bella, giovane e ruspante, il buon Syd era riuscito nello stesso intento strappando all’Altissimo una proroga non indifferente ai disegni che riguardavano il proprio percorso mortale. Solo il suo specchio, e magari il suo gatto e quella famosa mammetta un tantino oppressiva, sono stati testimoni del passare degli anni, dei capelli che si diradavano e s’incanutivano, del profilo che si allargava, della pelle che si raggrinziva…anzi c’è da scommettere che perfino lo specchio, ai suoi occhi, sia riuscito a mentirgli ed a consegnarli fino alla fine sempre la stessa immagine, quella di un giovane magro e dai lineamenti delicati, i capelli arruffati e lo sguardo perso chissà dove, che veste calzoni neri attillati e camicie sgargianti. L’immagine con la quale lo abbiamo ricordato in tutti questi anni durante i quali la sua leggenda non ha mai accennato a sbiadire, alimentata da torme di giovani artisti che lo continuano ad eleggere quale nume tutelare e da un aggettivo, “barrettiano”, che è ormai diventato di accezione comune per definire un determinato approccio alla canzone ed alla materia rock.
E non ci importava in fondo sapere che era ancora vivo, che quegli scatti appartenevano ad un’altra epoca, ad un’altra esistenza, e che magari adesso il buon Syd era un tranquillo signore di mezz’età che dava da mangiare ai suoi gatti o portava a spasso i propri cani, schiavo di una tranquilla vita medio borghese piuttosto che delle sue antiche allucinazioni, perduto nel traffico delle ore di punta o nei vialetti tutti uguali del parco piuttosto che nel labirinto senza uscita della propria mente malata. Perché Syd era già morto, era già leggenda, era già eternità e tutto il resto non contava. Che smacco però, a pensarci bene, immaginare che dove non sono riusciti LSD e acidi vari, dove non è riuscita una mente insana che da un momento all’altro poteva varcare la soglia di attenzione e sfociare nell’irreparabile, è arrivato uno sciocco, comunissimo e banalissimo diabete. Proprio vero che il Diavolo fa le pentole, ma non i coperchi.
Ma lasciatemi pensare, almeno, che quando, malato e invecchiato anzitempo, Syd ha compreso che nessuna delle sue punture quotidiane o dei quintali di porcherie –purtroppo legali- che era costretto a prendersi avrebbero potuto salvarlo, e che era venuto il momento, probabilmente tanto atteso, di sciogliere il patto con il Gran Cerimoniere, la sua stanza si sia popolata, per l’ultima volta, delle sue squinternate visioni, e che siano stati Uomini Vegetali, Elefanti Effervescenti e strane creature tentacolari a scortarlo nel suo viaggio più importante, mentre tutt’intorno la luce, da un fioco lume di candela, si trasformava in un bagliore accecante. Ora hai davvero iniziato a splendere, pazzo diamante.
da LFTS n.83
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