Archivio di marzo 2022

CORDOVAS – Destiny Hotel

di Paolo Crazy Carnevale

20 marzo 2022

Cordovas - Destiny Hotel (1)

Cordovas – Destiny Hotel (ATO 2021)

Una delle più piacevoli sorprese dello scorso anno questo secondo disco dei Cordovas, gruppo raccolto attorno alla figura di John Firstman, cantante, polistrumentista e principale autore delle dieci tracce che compongono questo bell’LP.

Il gruppo, di base in Tennessee, ha un suono che profuma vagamente di California, più precisamente di certe cose country-rock dei tempi andati; d’altra parte per registralo il quartetto si è spostato a Los Angeles. Molto curato nelle sonorità e negli arrangiamenti delle armonie vocali, il disco può contare sulle chitarre di Lucca Soria e Toby Weaver (che suona anche violino e un ottimo mandolino), mentre Sevans Henderson si occupa di tastiere varie, anche se per la verità nel disco c’è anche, e si sente, l’organo di Rami Jaffee che costituisce un tappeto denso di suggestioni su cui i vari strumenti a corda si dipanano con successo.

Si parte alla grande con il primo colpo di fulmine, High Feeling, scritta a più mani, che è anche il singolo apripista, un brano a presa rapida, nel senso che si cementa subito nella testa dell’ascoltatore, tutto gira alla perfezione, l’hammond di Jaffee è il collante, i Cordovas vi si appiccicano come fosse una carta moschicida e non lo lasciano più.

Certo il sound non è nuovo, ma è piacevolmente rinfrescato e coinvolgente.

Ottima anche la traccia successiva, Rain On The Rail, con le armonie vocali che funzionano a pennello, qui sono Firstman e Weaver gli autori. Più country swing Fine Life, brano scanzonato guidato dal violino di Weaver, con un testo inneggiante alla vita spensierata lontana dalle metropoli. Afraid No More è un breve brano lento, caratterizzato stavolta dal pianoforte (Firstman o Henderson?), poi il primo lato si conclude rapidamente con Man In My Head, un altro breve brano, più rock stavolta, cadenzato dalla batteria (sono diversi i batteristi ospiti del disco) e ben cantato. Destiny apre invece la seconda parte del disco, bei cori, belle chitarre e solito bel lavoro dell’organo di Jaffee, su cui si innesta il piano di Henderson, per un brano molto solare.

Warm Farewells è tutta di Firstman, molto corale, bel break di chitarra e Weaver che si cimenta sia con il mandolino che col violino. The Game riporta in pista l’anima rock del gruppo, attacco robusto, con la batteria che fa la sua parte, le chitarre l’organo a comandare nella parte strumentale mentre il cantato è tutto a tre voci: da qualche parte sembra strizzare l’occhio ai Grateful Dead del 1970.

I’ma Be Me è anche cantata a più voci, le chitarre sono molto distintive, con tanto di assoli gemellari, sembrerebbe esserci anche una steel (come in altri brani del resto), ma più probabilmente si tratta solo di un uso particolare della pedaliera, il ritmo è incalzante.

Per congedarsi dal pubblico i Cordovas si affidano ad una lenta ballata che parte con chitarra acustica, piano e violino, stavolta meno corale (refrain a parte) e andamento struggente.

Bravi davvero!

Paolo Crazy Carnevale

STEFANO DYLAN – Ouroboros

di Paolo Baiotti

20 marzo 2022

ouro

STEFANO DYLAN
OUROBOROS
Autoprodotto 2022

Stefano Dylan, cantautore torinese da qualche anno residente in Irlanda per motivi di famiglia e di lavoro, si è fatto conoscere ed apprezzare nella zona di Limerick dove è domiciliato, entrando a far parte della scena locale. Sfortunatamente la pandemia ha interrotto la possibilità di suonare nei locali e nei pub che, a differenza di quanto avviene dalle nostre parti, non richiedono solo le cover band, ma gli ha dato la possibilità di preparare con calma il secondo album a due anni di distanza dall’esordio Rough Diamonds. Questa volta tra le dodici tracce ce ne sono tre cantate in italiano oltre alle otto in inglese e a uno strumentale. In realtà Endless Road è divisa in due parti poste in apertura e chiusura del disco, la prima strumentale e sognante con l’elettrica di Matt Sofianos che ricama assoli melodici che incrociano David Gilmour e Mark Knopfler intrecciandosi con l’acustica di Stefano, la seconda cantata completando una delle tracce più convincenti dell’album. La delicata e toccante The Life Before e la malinconica Fool’s Gold arrangiata con la partecipazione di due chitarre acustiche e di una chitarra classica confermano l’impronta folk del modo di comporre e cantare di Stefano, che mi sembra paradossalmente più originale nei brani in inglese rispetto alla convenzionale Asso, seppur valorizzata da un testo pregevole e alla sofferta Amarcord, in cui si notano il piano di Carlo Gaudiello e la tromba di Steffen Dix. La ritmata Flight Distances e Midlife Booze interpretata con voce più sporca e con un’elettrica aspra, testimoniano le influenze rock dell’autore, ma in definitiva l’eccellente Rain Waters cantata con l’aiuto di Karla Segade, l’acustica Moving On, morbida e triste e la pianistica Desiderio lasciano l’impressione che il tratto distintivo della scrittura di Stefano privilegi lo stile dei folksingers.
Ouroboros antico simbolo rappresentante un serpente o un drago che si morde la coda formando un cerchio senza inizio né fine, raffigurato nella copertina del disco, conferma le positive percezioni dell’esordio e la maturazione del suo autore.

Paolo Baiotti

Il 20 marzo la nona edizione di Busto in Vinile

di admin

13 marzo 2022

BUSTO-VINILE-20-MAR-22

Si svolgerà come di consueto presso le Sale Gemelli del Museo del Tessile la nuova edizione di BUSTO IN VINILE.
Il Museo del Tessile è in Via Volta, 6 – angolo Via Galvani, e le danze apriranno alle 10.00 per concludersi alle 18,30

Late presente con il nuovo, appassionante numero

MODEL T BOOGIE – Still Gettin’ Down

di Paolo Baiotti

10 marzo 2022

still

MODEL T BOOGIE
STILL GETTIN’ DOWN
Cluster Records 2021

Torna in attività una delle formazioni storiche del blues italiano, la Model T. Boogie, sempre guidata da Giancarlo Crea (armonica e voce) con gli eccellenti chitarristi Dario Lombardo e Nick Becattini e la batteria di Massimo Bertagna, ai quali si aggiunge la giovane bassista Alice Costa che ha sostituito Massimo Previn, purtroppo deceduto nel 2015. Il nuovo album è il terzo della loro storia e viene pubblicato 32 anni dopo Born To Get Down e 35 anni dopo l’esordio …Really The Blues! Negli anni ottanta questa formazione è stata riconosciuta e applaudita anche negli Stati Uniti, soprattutto nella zona di Chicago dove si è esibita nell’87 nel Chicago Blues Festival. In quel periodo hanno accompagnato in tour Eddie C. Campbell e Johnny Copeland e stretto un legame forte con Phil Guy, fratello di Buddy. Inoltre Becattini negli anni novanta ha suonato nella band di Son Seals e con Melvin Taylor, mentre Bertagna ha suonato con Maurice John Vaughn e Lombardo, oltre ad un’intensa attività con la sua Blues Gang, ha collaborato con artisti di Chicago come John Primer e Liz Mandeville. Stiamo parlando di musicisti esperti che non hanno nulla da invidiare ai bluesmen americani e lo confermano anche in questo Still Gettin’ Down che si riaggancia ai dischi precedenti miscelando Chicago Blues con qualche spruzzata di funky, alternando cinque tracce autografe a sei cover non scontate, scelte da veri esperti del settore.
I due brani di Lombardo aprono e chiudono il disco: il brioso errebi Hey, Model T! ispirato da Mona di Bo Diddley e il mid-tempo Still Gettin’ Down con un’armonica fluida e un finale di chitarra calibrata. Nick contribuisce con l’up-tempo Even In My Sleep e il funky-blues Gipsy Woman oggetto del primo video, mentre Giancarlo apporta il boogie strumentale Model T’s Boogie guidato dalla sua armonica. Quanto alle cover spiccano il raffinato mid-tempo Lucy Mae Blues dal repertorio di Buddy Guy con un assolo di elettrica di Nick e la slide acustica di Dario, la scorrevole Everything’s Gonna Be Alright di Little Walter con la voce di Crea e il piano di Keki Andrei e il vibrante up-tempo Western Union Man con una chitarra bruciante e l’armonica di Andrea Scagliarini.
Still Gettin’ Down è un gradito ritorno…speriamo che il gruppo riesca anche ad organizzare dei concerti per promuovere adeguatamente il disco.

Paolo Baiotti

TINSLEY ELLIS – Devil May Care

di Paolo Crazy Carnevale

10 marzo 2022

tinsley ellis

Tinsley Ellis – Devil May Care (Alligator 2022)

Cadenza quasi regolare per le uscite di questo bluesman georgiano accasato presso la blues label per eccellenza, per la quale aveva registrato anche i suoi primi dischi prima di passare alla Capricorn e poi alla Telarc con una carriera discografica di lunghissimo corso iniziata negli anni ottanta.

I suoi dischi sono sempre stati apprezzati anche se negli ultimi anni sembravano un po’ la fotocopia uno dell’altro, gran blues chitarristico ma senza troppa motivazione e impegno. Per questa nuova produzione – realizzata con la produzione di Kevin McKendree, qui anche in veste di tastierista, artefice di parecchie produzioni Alligator – Ellis sembra ricordarsi di essere non solo un bluesman ma anche un sudista, georgiano per di più, lo stato dell’Allman Brothers Band.

Devil May Care, disco molto infernale (oltre al titolo dell’album ci sono altri due brani che nel titolo fanno riferimento al diavolo e agli inferi e a ben vedere anche il disco precedente, Ice Cream In Hell, aveva l’inferno nel titolo) e soprattutto un disco di bel southern rock che oltre che pagar dazio a gente come Allmans e soci riprende altre sonorità tipiche del sud rockettaro.

Il risultato è che tra le mani abbiamo indubbiamente il miglior disco inciso da Ellis negli ultimi anni. Se l’iniziale One Less Reason è una buona composizione guidata dall’incedere dell’organo di McKendree sviluppandosi sull’incalzante ritmo sostenuto da Steve Mackey e Lynn Williams, con la seguente Right Down The Drain è un autentico brano sudista classico, di quelli con i botta e risposta tra una chitarra e l’altra che sfocia nel classico finale a chitarre gemelle, solo che a fare tutto è Ellis da solo. I bollori si placano con la splendida soul ballad Just Like Rain, con il titolare meno impegnato a fare il guitar hero cimentandosi piuttosto come vocalist lasciando posto a McKendree e al suo strumento: a Gregg Allman sarebbe piaciuta molto.

Beat The Devil è un po’ meno sudista, nell’accezione classica del termine, ma funziona bene, grazie anche ai fiati, presenti per altro anche nella composizione precedente. Le atmosfere southern tornano nella lenta Don’t Bury Our Love e in Juju che si snoda tra organo e slide con stacchi mutuati da casa Allman che colpiscono dritto al cuore; atmosfere funky dettate da organo e chitarra in Step Up che vede anche il ritorno della sezione fiati (Jim Hoke e Andrew Carney), poi la lunga One Last Ride ci riporta alla soul ballad e alla voce in stile Gregg Allman, con la slide che ricorda molto Dickey Betts e le sue indimenticabili cavalcate sonore.

Per 28 Days Ellis lascia le origini sudiste lanciandosi in un brano dal sapore molto hendrixiano, con tanto di wah wah, poi per il finale da applausi viene sfoderato di nuovo il rock blues sudista, ma non quello dello stato d’origine, qui Ellis fa un bel tuffo nel Texas blues: Slow Train To Hell (ecco l’inferno che torna) sembra battere la stessa bandiera dei vecchi ZZ Top e della loro Blue Jeans Blues, con grande efficacia, soprattutto nelle parti di chitarra.

Paolo Crazy Carnevale

MARKUS REUTER – Truce 2

di Paolo Crazy Carnevale

6 marzo 2022

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Markus Reuter – Truce 2 (Moonjune Records 2022)

Che Markus Reuter sia un iperattivo prezzemolino all’interno di casa Moonjune credo di averlo scritto già altrove, tra dischi a proprio nome, dischi come sideman di progetti a più nomi e come ospite nei dischi dei colleghi, negli ultimi quattro/cinque anni se ne contano almeno una dozzina (senza contare quelli per altre case discografiche). Sempre spaziando attraverso i generi e gli esperimenti sonori, senza contare le partecipazioni.

Questo disco è il seguito del primo Truce, pubblicato un paio di anni fa e realizzato con la stessa formazione qui coinvolta, che comprende oltre a Reuter il bassista veneto Fabio Trentini e il batterista Asaf Sirkis, altra colonna portante della label newyorchese.

Truce 2 oltre ad essere il primo disco dell’etichetta edito nel 2022 è anche il 120° del catalogo in vent’anni di attività, non male per un’avventura partita per pura passione e cresciuta a tal punto da diventare un sogno realizzato. Il disco è interamente registrato presso lo studio Ritmo&Blu di Pozzolengo con l’aiuto di Stefano Castagna in veste di ingegnere del suono.

Ed è sicuramente una delle cose migliori tra le moltissime uscite in questi anni dalla Touch Guitar di Reuter, una chitarra diversa dalle altre il cui scopo è quello di creare esclusivi paesaggi sonori non sempre di facile assimilazione.

L’uscita del disco precedente era caduta quasi in contemporanea con la pandemia e questo aveva bloccato il progetto alla fase inziale, ossia il disco, senza possibilità di promozione e concerti. Un po’ tutto il contrario di quanto i tre musicisti si aspettavano. Quando è giunto il momento di decidere come proseguire la scelta è ricaduta sul registrare un nuovo disco, ma senza ricalcare troppo le orme del precedente. Il tutto con il sostegno sempre entusiasta del patròn dell’etichetta.

Truce 2 inizia con The Rake quasi nove minuti di che fanno già trasparire la propensione verso un prog moderno con le caratteristiche del power-trio, in Rounds Of Love l’atmosfera è più che mai elettrica, mentre Barren è dominata dall’elettronica filtrata in chiave fusion.

Melomania è un po’ il cuore del disco, oltre che il brano che sta giusto a metà, un cuore pulsante grazie al gran lavoro del basso e della batteria su cui Reuter intesse i suoi paesaggi in cui la chitarra produce suoni quasi da tastiera. Consolation ci propone invece un Reuter all’insegna di suoni lancinanti prodotti sul manico della chitarra in un crescendo coinvolgente.
Particolarmente interessante il lavoro della sezione ritmica in River Of Things, dove la chitarra è trattata con elementi elettronici. Chiusura infine con la lenta One Cut Suffices dominata dalla matrice prog-rock radicata nel DNA dei tre artisti.

Paolo Crazy Carnevale