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Rock & Pop, le recensioni di LFTS/28

di Paolo Baiotti

3 novembre 2013

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CESARE CARUGI

PONCHARTRAIN

2013    Roots Music Club

 

Se fosse nato a Little Rock o a Wichita e avesse un cognome anglosassone probabilmente sarebbe considerato uno degli artisti emergenti della musica roots americana, come Israel Nash Gripka, Amos Lee o James Maddock. Invece è nato a Cecina che si trova a quattro km. da California, ma non quella a ovest degli Usa e si chiama Cesare Carugi. Il resto non cambia: è un cantautore rock  emergente, suona musica roots nella migliore tradizione americana di Springsteen e Petty e ha inciso un album che ogni appassionato di questo genere musicale dovrebbe ascoltare. Dopo il promettente esordio di Here’s To The Road, Cesare conferma con Ponchartrain doti non comuni nella scrittura di ballate melodiche che restano in testa, arrangiate con gusto e interpretate senza strafare con la preziosa collaborazione della chitarra di Leonardo Ceccanti e della batteria di Matteo D’Ignazi, con l’aiuto di un manipolo di amici scelti con cura. Il disco sembra ricalcare le suggestioni della copertina e delle foto del retro: una stanza di legno che sa di antico, un lago (forse è proprio quello di Ponchartrain vicino a New Orleans) in una giornata uggiosa, immagini di calma non prive di inquietudine. La musica scorre veloce con melodie che si ricordano senza difficoltà a partire da Troubled Waters, con un riff alla Tom Petty e un bel suono di slide da paludi della Louisiana offerto da Paolo Bonfanti. Carry The Torch è interpretata con voce lievemente arrochita, accompagnata dal mandolino di Gianni Gori e dal piano di David Zollo, mentre l’accattivante ballata elettroacustica Long Nights Awake con un brillante assolo di Ceccanti e il trascinante roots rock di Your Memory Shall Drive Me Home confermano la predilezione per i tempi lenti e medi, ribadita da Charlie Varrick, melanconico duetto con Marialaura Specchia che racconta la storia della rapina a Tres Cruces dell’ex pilota acrobatico interpretato da Walter Matthau in un film di Don Siegel. La bluesata Ponchartrain Shuffle con la pungente resonator di Francesco Piu, la drammatica ballata Morning Came Too Early con il piano in primo piano, un organo avvolgente e un incisivo assolo di chitarra nel finale e la toccante Drive The Crows Away nella quale si inserisce il violino di Chiara Giacobbe confermano le impressioni positive sul disco, che ha un piccolo calo con Crack In The Ground, un rock sparato che ricorda i Clash e sembra un po’ fuori posto come la successiva My Drunken Valentine, traccia notturna waitsiana anche nel modo di cantare, forse un po’ scolastica. Ma la ballata When The Silence Breaks Through, debitrice nella scrittura dello Springsteen più romantico, con un riuscito impasto di clarinetto e piano e il finale spensierato di We’ll Meet Again Someday con l’accompagnamento dei Mojo Filter rimettono le cose a posto e fanno venire voglia di ripartire dall’inizio…un buon segno.       

 

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NANDHA BLUES BAND

BLACK STRAWBERRY MAMA

2013    MeatbeatGrooveyard   

 

Max Arrigo, cantante e chitarrista torinese, ha avuto esperienze formative importanti con i southern rockers Voodoo Lake e poi con i Shangai Noodle Factory, prima di trasferirsi ad Aosta dove ha formato un nuovo trio con Paolo Barbero al basso e Giuliano Danieli alla batteria. Si chiamano Nandha Blues Band (nome ispirato a una figura di fattucchiera a metà tra realtà e finzione) e cercano di ripercorrere i gloriosi sentieri di storici power trio come Cream, Cactus o i più recenti Gov’t Mule. Il loro album d’esordio fin dalla veste grafica richiama l’epoca psichedelica; pubblicato qualche mese fa, ha ottenuto riscontri positivi in Italia e all’estero ed è stato recentemente ristampato dalla Grooveyard Records per il mercato americano, dove il trio ha esordito anche dal vivo nelle scorse settimane. Siamo in pieno vintage o retro rock, hard blues aspro e coinvolgente con la pungente chitarra di Max in primo piano. Arrigo nel corso degli anni è migliorato molto anche come cantante e si dimostra all’altezza sia nei ritmi più intensi e trascinanti che nelle ballate profumate di psichedelia. L’opener Grand Combin Love Affair ha un’armonica insinuante che si inserisce in un riff poderoso che ricorda i Mule di Warren Haynes, una delle ispirazioni del musicista. La seconda traccia Cant’t Get Out Offa My Mind dimostra che il trio non è solo poderoso, ma è anche in grado di ammorbidire i toni con un un riff melodico al quale di adatta la voce ed un assolo finale allmaniano. La bluesata Still On My Feet evidenzia le egregie capacità di Max alla slide, mentre Playin’For Peanuts è pungente e trascinante, specialmente nella parte centrale jammata senza strafare e nel brillante assolo finale. Qualche limite compositivo si rileva in Life Is For Learnin’ e nel blues Rollin’Alone che richiamano il passato senza grande originalità, ma si torna su ottimi livelli con le suggestioni elettroacustiche della raffinata Mr America e con l’aspra Nandha’s Slave Blues tra blues del Mississippi e southern rock, nella quale la slide sembra uscire da un vecchio vinile di Johnny Winter. Il disco è chiuso da Back Where I Belong, caratterizzata da un riff sudista e un andamento skynyrdiano e dalla grintosa Black Strawberry Mama, interpretata con voce aspra e inquietante da Arrigo, con un interessante break chitarristico. Con questo interessante esordio mi pare che la Nandha Blues Band possa aggiungersi al panorama sempre più vasto di gruppi rock italiani di livello internazionale.

 

evasio

 

 

EVASIO MURARO

SCONTRO TEMPO

2013    Volo Libero

 

La storia musicale di Evasio Muraro parte dagli anni ottanta, quando è stato uno dei protagonisti della scena alternativa post punk come frontman dei Settore Out. In seguito è stato bassista dei Groovers, prima di alternare l’attività solista alla ricerca delle tradizioni contadine sfociata in un disco di canti di lavoro e nella produzione di due album del Coro delle Mondine di Melegnano. Un impegno politico e sociale ribadito da Festa d’Aprile e Siamo i Ribelli, basati sulle canzoni della Resistenza. Canzoni Per Uomini di Latta (Universal ’09) e O Tutto o l’Amore (Universal ’10) lo hanno riportato sulla strada di un cantautorato originale e atipico, caratterizzato da una particolare attenzione per gli arrangiamenti. Ricerca e qualità ribadite da Scontro Tempo, un progetto ambizioso che comprende un cd al quale è allegato un corposo libretto con le note, i testi (molto curati e interessanti, sia quelli di carattere personale o intimista sia quelli socialmente impegnati) e il surreale racconto Radar di Marco Denti, ispirato alle dieci tracce del disco. Scontro Tempo è stato registrato con i Fans (Forensic And The Navigators) che lo accompagnano anche in concerto e con il trio vocale dei Gobar; in seguito è stato completato e mixato con Chris Eckman, leader dei Walkabouts, che in questi anni ha collaborato con artisti africani di rock desertico come Tamikrest e Dirt Music e che ha prodotto l’album con Michele Anelli e lo stesso Muraro. L’influenza di Eckman è evidente nella scelta di un suono essenziale, senza fronzoli, asciutto e molto personale tra folk acustico, rock e jazz. La ballata rarefatta Venti Volte apre il disco con le tonalità melanconiche della voce di Evasio accompagnata da un arrangiamento minimalista guidato dagli arpeggi della chitarra di Fabio Cerbone, seguita dall’affascinante Infinito Viaggio, nella quale i backing vocals dei Gobar hanno un ruolo essenziale e dall’inquietudine di Scontro Tempo, più recitata che cantata dal cantautore lombardo. Il mid-tempo Giorni e l’aspra Puzzo di Fame ribadiscono l’attenzione per il mondo degli “ultimi”, mentre il testo riflessivo di Il Mondo Dimentica è accompagnato da un delicato tappeto elettroacustico. Il melanconico ricordo di Il Maestro E La Sua Chitarra, non lontano dall’Ivan Graziani più intimista, le dissonanze della già citata Puzzo di Fame e l’atipica love song Lettera Da Spedire Prima O Poi precedono la melodia lieve di Un Grido, sussurrata da Evasio, che chiude un disco non facile che merita un ascolto approfondito.

 

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JIMMY THACKERY & THE DRIVERS Feat. JP SOARS

AS LIVE AS IT GETS

2013    White River Records

 

Jimmy Thackery è in pista dai primi anni settanta. Per quindici anni è stato il chitarrista dei Nighthawks, una delle migliori band americane di blues, fondata con il cantante e armonicista Mark Wenner. Li ha lasciati nell’87 per una carriera solista che ha prodotto una ventina di dischi con la sua band (The Drivers) o con qualche altro artista (Tom Principato,David Raitt, Tab Benoit, John Mooney, The Cate Brothers). Feel The Heat del ‘11 è il suo lavoro in studio più recente, seguito da questo doppio dal vivo registrato a San Diego nel corso della Legendary Rhythm and Blues Cruise con una formazione allargata che oltre ai Drivers (Mark Bumgarner al basso e George Sheppard alla batteria) comprende gli Hydraulic Horns (Joe McGlohon al tenor sax e Jom Spake al baritone sax) e l’ospite JP Soars, chitarrista blues emergente influenzato anche dal jazz e dall’hard rock. Il disco lascia ampio spazio all’improvvisazione, comprendendo nove brani dei quali quattro superano i dieci minuti, dove le chitarre soliste e i sax si alternano e si contrappongono in lunghi assoli molto piacevoli. Nel primo dischetto spiccano l’opener A Letter To My Girlfriends, cover di Guitar Slim in una versione jazzata e scorrevole, l’intensa ballata tra blues e roots Blind Man In The Night, la ritmata Gangster Of Love che ricorda le atmosfere dei Blues Brothers e il formidabile lento Gypsy Woman di Muddy Waters, quindici minuti di blues sofferto con i fiati in particolare evidenza nella prima parte e le due chitarre nella seconda, con cambi di ritmo, rallentamenti e ripartenze da manuale. Il secondo dischetto è aperto dalla grintosa Feel The Heat seguita dalla swingata The Hustle Is On dal repertorio di T. Bone Walker, improvvisata in scioltezza senza strafare e da Hobart’s Blues, aspro mid-tempo strumentale nel quale trovano spazio i quattro solisti. La chiusura è affidata al tour de force di I’ve Been Down So Long di J.B. Lenoir, quasi venti minuti di blues lento di alta scuola introdotto da un lancinante assolo di Thackery. Jp Soars è protagonista di un intenso assolo dopo la prima strofa, mentre dopo la seconda Jimmy risponde con note più raffinate e quasi sussurrate che crescono lentamente fino quasi ad esplodere con fraseggi sempre più veloci ed intricati, accompagnato discretamente dai fiati in ritmica. Un valido disco dal vivo di blues elettrico da parte di un artista che non è mai stato un genio, ma un mediano del blues solido ed affidabile. 

 

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BLACK STAR RIDERS

ALL HELL BREAKS LOOSE

2013   Nuclear Blast

 

Nell’ottobre dell’anno scorso Scott Gorham annuncia che i Thin Lizzy non pubblicheranno un nuovo disco in studio per rispetto della memoria di Phil Lynott e per avere constatato la scarsa disponibilità dei famigliari ad accettare nuovo materiale con il vecchio nome della band. Anche il cantante Ricky Warwick conferma che si sarebbe sentito imbarazzato a registrare con il vecchio nome. Una mossa saggia perché un conto è suonare dal vivo i classici in un concerto nostalgico che onora Lynott, creatore e leader indiscusso della band, cantante e autore di gran parte del materiale, un altro conto incidere un nuovo disco senza il grande Phil, morto nell’86 dopo lo scioglimento del gruppo. Inoltre la nuova line-up che inizialmente comprendeva il batterista Brian Downey e il tastierista Darren Wharton, entrambi nei vecchi Lizzy, è cambiata con l’entrata del batterista Jimmy De Grasso e la rinuncia alle tastiere. Quindi attualmente abbiamo un quintetto con le chitarre di Gorham (unico ex Thin Lizzy) e Damon Johnson, il basso di Marco Mendoza, la batteria di De Grasso e la voce di Warwick, che ha tratto il nome Black Star Riders da una banda di fuorilegge del film western Tombstone. Entrati in studio con Kevin Shirley i BSR hanno pubblicato un album di hard rock solido e grintoso, ma eccessivamente derivativo. C’è poco da fare, tutto richiama i Thin Lizzy: la voce ha inflessioni e tonalità molto simili a quella di Lynott con una minore profondità, i riff di chitarra, i testi e le atmosfere sono i medesimi, il dual guitar sound tipico della band è ripetuto quasi in ogni brano. Il suono è indurito, specialmente nella parte centrale e la sezione ritmica è decisamente meno brillante e varia rispetto al duo Lynott/Downey, ma alla fine sembra un disco dei Lizzy modernizzato nel suono e più hard. I primi tre brani bastano a capire la scelta dei BSR: la title track ha un riff poderoso con la voce che ricalca quella di Phil, le due chitarre affiancate e una melodia azzeccata, Bound For Glory sembra un rifacimento di The Boys Are Back In Town con i cori, il riff, la linea melodica e le inflessioni vocali prese di peso da un vinile degli anni settanta e Kingdom Of The Lost sarebbe un’eccellente irish folk rock se nel ’79 Lynott e Gary Moore non avessero scritto Black Rose (A Rock Legend). Invece è un’imitazione, ben fatta fin che si vuole, ma sempre un’imitazione. E questo vale più o meno per il resto del materiale, con note di merito per l’epica Before The War e per la conclusiva Blues Ain’t So Bad. Un disco che è stato accolto positivamente dai vecchi fans… in fondo li capisco e non posso dire che sia brutto. Ma credo che la madre di Phil abbia avuto ragione a chiedere al gruppo di cambiare nome.

Rock & Pop, le recensioni di LFTS/6

di admin

25 agosto 2010

LIVE MADNESS

a cura di Paolo Baiotti

Il mercato discografico è difficilmente controllabile. Etichette indipendenti o affiliate alle majors si moltiplicano, come le pubblicazioni di dischi incisi dal vivo. L’abitudine di registrare Instant Live e di venderli dopo i concerti ha preso piede; iniziato con jamband come Widespread Panic e Phish, il fenomeno si è ampliato a gruppi di ogni genere musicale, dagli Allman Brothers ai Pearl Jam, dagli Who ai Black Crowes. Per non parlare delle reunion, ormai all’ordine del giorno. Tra le pubblicazioni più recenti ne abbiamo scelte alcune di particolare interesse per gli appassionati di classic rock e rock blues.  

 

BAD COMPANYbad company
Hard Rock Live
2009 Image CD+DVD

Nati dall’incontro di Paul Rodgers (ex Free) con Mike Ralphs (ex Mott The Hoople) sono stati una delle band più popolari degli anni ‘70. Classico hard rock con influenze blues e un pizzico di country, caratterizzato dalla formidabile voce di Rodgers, con la brillante sezione ritmica formata da Simon Kirke (batteria, ex Free) e Boz Burrell (basso, ex King Crimson). Hanno registrato sei albums tra il 1974 e il 1982, poi si sono sciolti. Nel 1986 Ralphs e Kirke hanno riformato il gruppo senza Rodgers, ottenendo risultati discreti. Nel 1999 c’è stata la prima reunion con Rodgers in occasione della registrazione di alcuni brani nuovi per la doppia eccellente raccolta Original Bad Company Anthology. Dieci anni dopo Rodgers, Kirke e Ralphs sono tornati insieme per un concerto a Hollywood Fl. recentemente pubblicato dalla Image (nel frattempo Boz è morto, sostituito da Lynn Sorensen al basso). Non mi aspettavo molto, invece il concerto è eccellente. Rodgers è in gran forma, sia fisica che vocale, confermandosi uno dei migliori vocalist in ambito rock blues. Ralphs se la cava egregiamente, affiancato dalla preziosa chitarra da Howard Leese (ex Heart) e la sezione ritmica non è da meno. La scaletta ripercorre la storia del gruppo, con sei brani tratti dall’omonimo album d’esordio tra i quali la title track, lo splendido slow Seagull e la trascinante Can’t Get Enough. Da Straight Shooter spiccano il singolo Feel Like Makin’ Love, perfetta fusione di rock e melodia e la ballata Shooting Star. Run With The Pack e Simple Man sono le tracce migliori dal terzo disco, mentre la title track Burning Sky è l’unico estratto dal quarto lavoro, inferiore ai precedenti. Il DVD ha un brano in più e una buona qualità visiva. Il buon esito della reunion ha convinto la band a effettuare un tour inglese nell’aprile del 2009, seguito da dieci date estive negli Usa, replicate quest’anno.

 

MOTT THE HOOPLE
Live At HMV Apollo 2009
2009 Concert Live 3 CDmott

Anche i leggendari Mott The Hoople si sono riuniti dopo trentacinque anni. Tre concerti a Londra (diventati cinque) nell’ottobre del 2009 al glorioso Hammersmith Odeon, nei quali Ian Hunter (voce, piano, chitarra), Verden Allen (tastiere), Mike Ralphs (chitarra) e Overend Watts (basso) hanno commosso un pubblico quasi incredulo. Il batterista Dale Griffin, seriamente malato, ha partecipato ai bis, sostituito dall’esperto Martin Chambers. I Mott sono stati una band di culto, non hanno avuto un successo pari alle loro capacità, hanno gestito male la loro carriera a causa di problemi di management (e per i loro rapporti interpersonali turbolenti), ma hanno avuto grande influenza sul glam rock inglese degli anni ‘70. La carriera solista di Ian Hunter è stata alterna, con momenti di splendore (basta ascoltare il recente Man Overboard), mentre Mike Ralphs ha raggiunto platee immense con i Bad Company. Ma i Mott sono ancora adorati da un consistente zoccolo duro di fan e il concerto del primo ottobre, pubblicato integralmente su CD, conferma la grandezza della band e la solidità di un repertorio notevole. Forse Ian non è molto credibile a settant’anni a cantare testi da adolescente incazzato, ma se non altro è in buona compagnia! I Mott dal vivo sono sempre stati una band potente, trascinante, a tratti un po’ confusionaria; caratteristiche confemate nelle due ore abbondanti del concerto londinese, aperto da Hymn For The Dudes, seguita dalla grintosa Rock & Amp; Roll Queen e da una discreta cover di Sweet Jane. La prima parte molto tirata prosegue con One Of The Boys e Moon Upstairs; è il momento di rallentare con due splendide ballate, The Original Mixed Up Kids e la commovente I Wish I Was Your Mother (con Hunter all’armonica). Ready For Love è un omaggio ai Bad Company, poi si torna ai Mott con Born Late ‘58 (un po’ caotica), seguita dall’autobiografica Ballad Of Mott (deliziosa) e da una travolgente Angeline. Il secondo dischetto si apre con il devestante medley Walking With A Mountain / Jumping Jack Flash, seguito da The Journey (uno dei capolavori della band) introdotta da una strofa di Like A Rolling Stone. Siamo alla parte finale del concerto, con il classico The Golden Age Of Rock ‘n Roll, seguito da Hanaloochie Boogie e dal rock irresistibile di All The Way From Memphis. I  bis comprendono l’epica Roll Away The Stone e All The Young Dudes, superba title track dell’album omonimo prodotto da David Bowie che diede il primo grande successo alla band. La cover di Keep A Knockin’ e la melanconica ballata Saturday Gigs, cantata meravigliosamente da Ian, concludono un concerto sicuramente indimenticabile per chi ha avuto la fortuna di essere presente. Il terzo dischetto comprende un video e immagini di archivio. Reperibile sul sito http://www.concertlive.co.uk/.

 

                      

LYNYRD SKYNYRD
Live From Freedom Hall
2010 Roadrunner CD+DVDlynyrd

La sorte continua ad accanirsi contro i gloriosi Skynyrd; l’anno scorso sono deceduti lo storico pianista Billy Powell e il bassista Ean Evans (che aveva sostituito Leon Wilkeson, anche lui mancato improvvisamente), ma la band sudista non molla. Lo zoccolo duro della formazione attuale è costituito dal chitarrista Gary Rossington, unico sopravvissuto della band originale (un po’ malmesso pure lui), dal cantante Johnny Van Zant (fratello del grande Ronnie) presente dalla reunion del 1987 e dal chitarrista Rickey Medlocke, con gli Skynyrd per breve tempo anche negli anni ‘70. Un nuovo disco dal vivo è stato pubblicato in formato audio e video, registrato nel giugno del 2007 con Powell e Evans nella band e non è affatto brutto. Nonostante tutto i Lynyrd tengono benissimo il palco: la voce di Johnny è sempre all’altezza, Rossington cesella con la sua slide quando è necessario e Medlocke schitarra senza esagerare con il nuovo arrivato Mark Matejka (un po’ troppo ai confini con il metal in alcuni frangenti): Non possiamo attenderci sorprese dal repertorio, ma non è tutto scontato. L’unico brano recente è la ballata patriottica Red White And Blue, e questo un po’ mi spiace perchè gli ultimi album hanno qualche brano valido. Per fortuna vengono ripescate tracce meno sfruttate dal passato come le due splendide ballate Simple Man e The Ballad Of Curtis Loew o le più ritmate Workin’ e Travelin’Man (con un duetto virtuale tra Johnny e Ronnie ripreso in video). Sempre commovente Tuesday’s Gone, fluida e coinvolgente Call Me The Breeze. Inevitabile la doppietta conclusiva di Sweet Home Alabama e dell’immortale Free Bird, con la prima parte lenta e soffusa impreziosita dal piano di Powell e il cambio di ritmo che precede l’infuocata e indimenticabile cavalcata chitarristica che ha reso celebre Allen Collins (oggi sostituito da Medlocke). Il pubblico della Freedom Hall di Louisville, Kentucky, gradisce ogni minuto del concerto e noi non possiamo certo smentirli. Un’aggiunta sicuramente non indispensabile alla discografia degli Skynyrd, ma che non riesco a definire superflua.   

 

 

URIAH HEEP
Live At The Sweden Rock Festival 2009
2010 Edel CDheep

Il chitarrista Mick Box continua a guidare gli inossidabili Uriah Heep, una delle band più longeve dell’hard rock britannico. L’attuale formazione comprende il bassista Trevor Bolder già presente negli anni ‘70, tornato nel 1983 dopo qualche anno di pausa, Bernie Shaw (voce) e Phil Lanzon (tastiere) nel gruppo dalla seconda metà degli anni ‘80. Solo il batterista Russell Gilbrock è un acquisto recente. Dunque una band esperta e amalgamata che nel 2008 ha pubblicato un album in studio, Wake The Sleepers, seguito da un lungo tour. Molto popolari nei paesi nordici e nell’est europeo, gli Heep sono tornati a suonare negli Usa e mantengono un seguito significativo. Dal vivo non tradiscono; hanno un repertorio consistente che alternano con qualche brano nuovo. Questo dischetto registrato il 3 giugno dell’anno scorso si apre con Sunrise, in bilico tra hard rock e progressive con gli intrecci tra chitarra e tastiere che hanno sempre caratterizzato il gruppo. La ritmata Steelin’ precede il classico Gypsy, un riff che gli headbangers riconoscono all’istante. L’up tempo di Look At Yourself evidenzia le qualità di Bernie Shaw che riesce a riproporre anche le parti urlate di David Byron, il cantante della formazione originale. Ghost Of The Ocean e Angels Walk With You, tratte dal disco più recente, non si distinguono particolarmente; meglio l’epica July Morning, una delle composizioni più complesse degli Heep con cambi di ritmo e un assolo in crescendo notevole. La frenetica Easy Living e il bis Lady In Black chiudono il dischetto, di buona qualità audio pur essendo un “official bootleg”. Altri concerti sono stati registrati e possono essere acquistati sul sito www.concertlive.co.uk .

 

 

JIMMY THACKERY AND THE DRIVERS
Live In Detroit
2010 Dixie Frog CDthackery

La discografia di Thackery con i suoi Drivers (formazione più volte cambiata) ha superato quota dieci. Nel corso degli anni il rock blues dei primi tempi sullo stile dei Nighthawks (band di provenienza di Jimmy) ha assunto sfaccettature diverse, con influenze rock, country, soul e surf. Questo è il secondo disco dal vivo dopo Wild Night Out del 1995. Registrato in un club di Auburn Hills nel novembre 2009 ha la particolarità di privilegiare tracce strumentali. L’opener Don’t Lose Your Cool di Albert Collins, un blues veloce swingato e trascinante, apre la serata con una serie di improvvisazioni di Jimmy, accompagnato dagli esperti Russ Wilson alla batteria e Mark Bumgarner al basso, seguito da Solid Ice, title track dell’album del 2007, brano d’atmosfera di gran classe con la chitarra protagonista di un primo assolo composto e di un secondo scatenato. Daze In May ci riporta agli anni ‘50 tra rockabilly e surf; leggero e scorrevole, confermando la poliedricità del musicista. Il mid tempo blues Big Long Buick è il primo brano cantato, mentre Land Locked è uno strumentale surf-rock intenso e convincente. La dura Detroit Iron è inferiore alle precedenti, meglio il raffinato slow Love My Baby di Memphis Slim (l’assolo centrale è da antologia), cantato con i giusti toni morbidi. La grintosa Bomb The Moon è il quinto e ultimo strumentale, forse il meno azzeccato, Eat It All un mid tempo con un crescendo interessante (ma la voce ha qualche limite). Si chiude alla grande con Blinking Of An Eye, dimostrazione dell’evoluzione di Thackery come compositore, una canzone lenta e sofferta tra soul e pop, nobilitata da un assolo eccellente.

( a cura di Paolo Baiotti)