Posts Tagged ‘Bruce Springsteen’

BRUCE SPRINGSTEEN – Chapter And Verse

di Paolo Baiotti

5 novembre 2016

Bruce-Springsteen-Chapter-And-Verse-news[33]

BRUCE SPRINGSTEEN
CHAPTER AND VERSE
COLUMBIA/SONY 2016

La motivazione di questa ennesima raccolta di Bruce Springsteen è la contemporanea pubblicazione dell’attesa biografia Born To Run da parte della casa editrice Simon & Shuster negli Stati Uniti. Un pretesto? Forse…di sicuro non si sentiva la necessità di questa nuova uscita, anche se in qualche modo giustificata dal criterio con il quale è stata compilata, con l’intenzione di comprendere il primo periodo della storia musicale di Bruce, precedente all’uscita del disco d’esordio Greetings From Asbury Park, andando di pari passo con la narrazione del libro. Per questo sono stati inseriti cinque brani inediti precedenti alle incisioni ufficiali per la Columbia, che possono solleticare i collezionisti e gli appassionati di vecchia data, lasciando indifferenti gli ascoltatori interessati al periodo più popolare del cantautore dei New Jersey.

Le prime tracce Baby I e You Can’t Judge A Book By The Cover ci portano a metà degli anni ’60, quando Bruce era cantante e chitarra solista di The Castiles, la sua prima band semiprofessionale. Baby I, composta con l’altro chitarrista George Theiss, è un brano ispirato dalla british invasion piuttosto ingenuo, mentre la cover dello standard di Willie Dixon è grintosa e un po’ caotica, con la voce in secondo piano, migliore nella parte strumentale che in quella cantata. Dopo avere militato negli Earth, Springsteen entra nei Child, formati ad Asbury Park con Vini Lopez e Danny Federici. Alla fine del ’69 diventano Steel Mill e incidono alcune tracce tra le quali He’s Guilty, un rock aspro che testimonia una certa influenza dell’hard rock dei Deep Purple nelle tastiere si Federici e nell’assolo di Bruce, che ad inizio carriera suonava molto di più la chitarra solista rispetto a quanto siamo abituati. A metà del ’71 nasce la Bruce Springsteen Band con Lopez, Tallent, Van Zant e Sancious, rappresentata dalla gustosa The Ballad Of Jesse James, debitrice dello stile di The Band. Ma Bruce deve ancora trovare la sua voce…canta in modo diverso, meno caratteristico e più sforzato. L’acustica Henry Boy incisa da solo nel ’72 è una versione embrionale di Rosalita, mentre in Growin’ Up, incisa nel maggio del ’72 negli studi della Columbia con John Hammond e già pubblicata sul box Tracks, possiamo ascoltare lo Springsteen che tutti conosciamo, con la voce adulta e matura e la capacità di raccontare storie più o meno personali.

Quanto agli altri brani le scelte non sono così scontate…non si può parlare di un greatest hits. Non possono mancare l’esplosiva Born To Run, l’epica Badlands, il racconto sofferto di The River o la rabbiosa Born In The Usa, ma ci sono anche la splendida ballata 4th Of July Asbury Park, l’emozionante ritratto di My Father’s House, uno dei cardini del seminale Nebraska, l’altrettanto significativa The Ghost Of Tom Joad dall’omonimo album solista e il gospel-rock di The Rising, simbolo della rinascita della E Street Band. Due soli brani, e non credo sia un caso, rappresentano il nuovo millennio: la scorrevole Long Time Comin’ e la brillante cavalcata di Wrecking Ball.
Sarebbe stato più opportuno un doppio disco, magari con altre outtakes o con versioni dal vivo inedite, ma tutto sommato Chapter And Verse, considerato come l’accompagnamento audio della autobiografia, non sfigura. Da segnalare il pregevole collage di foto, un po’ sacrificato nella dimensione del compact disc.

It’s not hard to play in the city of the saint

di Gianfranco Vialetto

4 giugno 2013

bruce-springsteen-2

BRUCE SPRINGSTEEN
Padova 31.05.2013

È proprio vero, esistono due tipi di persone. Gli appassionati di musica e quelli che non hanno mai visto Bruce Springsteen dal vivo. È incredibile a dirsi, ma io fino a pochi giorni fa facevo parte di questa seconda sfortunata categoria. Per un motivo o per l’altro infatti non avevo mai potuto partecipare all’”evento”. È quindi superfluo dire che quando in dicembre è stata ufficializzata la notizia di un nuovo tour italiano del mio musicista preferito, e per di più in una location a me comoda come lo Stadio Euganeo di Padova, ho subito acquistato i biglietti trascinando l’intera famiglia e pianificato ferie ed impegni vari per non mancare. Anche perché l’età, mia e dei musicisti, avanza e non so quante altre occasioni mi si potranno ancora presentare.
Il 31 maggio quindi, emozionato come uno scolaretto al primo giorno di scuola, eccomi pronto per quella che è sicuramente “la festa” per ogni vero appassionato di rock.
Stadio non sold out, con qualche evidente spazio vuoto nelle tribune laterali, ma comunque con almeno quarantamila presenti. Condizioni meteo accettabili visti i giorni precedenti e soprattutto considerando che Bruce è un “rainmaker”, quando arriva lui infatti piove sempre. Solo un po’ di pioggerellina sottile stile inglese durante la seconda metà dello spettacolo.
Già, lo spettacolo. Iniziamo togliendoci subito il dente e quindi il dolore, dalle critiche chiudendo a chiave per un attimo il fan che è in me.
Innanzitutto il suono, con un brutto effetto palasport che open space non dovrebbe esistere. Suono troppo pompato, con alcuni strumenti mal calibrati. Il grande Nils Lofgren, sopraffino chitarrista, quasi non si sentiva, mentre invece il piano dello strepitoso Roy Bittan era regolato su volumi troppo alti, quasi distorti. Forse dipenderà anche dal fatto che i musicisti sul palco sono veramente tanti e non è semplice equilibrare il volume di tutti ma, soprattutto in alcuni brani, l’impressione è stata più quella di frastuono. Che per i Manowar potrebbe anche andare bene ma per Bruce molto meno. E questo è l’unico svantaggio di una E Street Band allargata.
Altro piccolo appunto è sui vari siparietti con il pubblico che ormai sono una costante nei concerti del nostro. Tutti se li aspettano, si sa quando arriveranno e l’impressione è quasi di qualcosa costruito a tavolino con conseguente perdita di spontaneità. Come, nel caso di questa serata, il ragazzetto salito sul palco, sotto lo sguardo divertito di Nils e Little Steven, già munito di washboard e cucchiai per una peraltro travolgente e godibilissima Pay Me My Money Down.
Bisogna però dire che dopo tutti questi anni a suonare in giro per il mondo, giunto alla sua età, fra l’altro in perfetta forma fisica, Bruce ha trovato nuovi stimoli e soddisfazione nel suo lavoro buttando i suoi spettacoli sul piano della festa, con voglia di divertirsi e divertire. E dobbiamo ammettere che ci sta riuscendo in pieno.
Ultima considerazione, tutta personale, sulla scaletta. E’ risaputo che siamo tutti CT della nazionale, ed alle partite degli azzurri ognuno di noi inserirebbe una formazione diversa, e questo vale anche per la tracklist di Bruce. A me sono mancati tanto brani come Racing In The Street, The River, Pointblank, No Surreder e Bobby Jean. Ma un concerto non può durare dieci ore e Bruce non è un juke-box umano, avendo pienamente il diritto di suonare quello che più gli aggrada; e comunque con lui comunque vada, va bene.
Adesso mandiamo a dormire quel vecchio brontolone rompiscatole che è in me e diamo voce al fan per dire che questa sera, ad esempio, ha riproposto per intero, e mi ripeto PER INTERO, tutto l’epocale Born To Run, dalla prima all’ultima canzone. Grande emozione e brividi quindi per le varie Thunder Road, Backstreets, Jungleland (strepitosa), la travolgente Born To Run, una sentitissima Tenth Avenue Freeze Out, con immagini sul maxischermo di Big Man e Danny con ovazione del pubblico e per la notturna Meeting Across The River con la tromba meravigliosamente jazzy suonata da Curt Ramm.
Dopo una uscita sul palco a sorpresa nel pomeriggio con la sua chitarra acustica per offrire ai fedelissimi del pit due chicche come The Promised Land e Growin’ Up, il nostro ha dato il via allo show alle 20.45 da solo per l’acustica The Ghost Of Tom Joad per poi far entrare la numerosa band e spaziare attraverso tutta la sua lunghissima carriera. Brani storici come The Ties That Bind, Something In The Night ed una sublime Spirit In The Night si sono alternati a quelli più recenti dell’ultimo album, che dal vivo fanno comunque un figurone come We Take Care Of Our Own, Wrecking Ball e la travolgente Shackled And Drawn. Immancabili Badlands a chiudere la prima parte del concerto e Born In The U.S.A. nei bis, cantate da tutto il pubblico.
Pubblico molto diversificato come età, da alcuni bambini ad arzilli ultrasessantenni scatenati a cantare e ballare sugli spalti.
Di Pay Me My Money Down ho già parlato, ma sottolineo la splendida prestazione della sezione fiati, dove ognuno ha goduto di un piccolo spazio ed assolo personale, per finire con una marcetta finale in pieno stile New Orleans Mardi Gras di tutta la band.
Come da copione il bambino a cantare Waiting On A Sunny Day (con dedica ad una rappresentanza di fan croati presenti nello stadio), la signora di mezza età a ballare sulle note di Dancing In The Dark (scelta simpaticamente da Bruce grazie al cartello esposto in prima fila con la scritta “Per favore, balla con mia suocera!”) e, durante la stessa canzone la ragazza a suonare la chitarra sul palco.
Sono stati proposti anche brani eseguiti molto di rado come ad esempio una versione potentissima della Boom Boom di John Lee Hooker.
A mandare tutti a letto, dopo due ore e cinquanta minuti di musica, Twist And Shout/La Bamba, lì dove un tempo era il momento del Detroit Medley.
Due ore e cinquanta, un po’ sotto i suoi soliti standard di minutaggio, ma bisogna dire che i brani sono stati tutti tiratissimi, con quasi nessuna pausa tra un pezzo e l’altro (aveva fretta?)
One-Two-Three-Four e via, con impeto quasi punk, soprattutto nella prima parte. E comunque chi, oggi, riesce a far durare uno spettacolo così a lungo e soprattutto con tale intensità. Non potevamo onestamente chiedergli di più. A tutt’oggi Bruce è quanto di meglio si possa vedere dal vivo.
Due parole sulla band. In primo piano sicuramente l’inossidabile Max Weimberg, una roccia, di una potenza incredibile (visto peraltro nei giorni precedenti nel vicentino a cenare e visitare una nota azienda di abbigliamento di cui indossa abitualmente, da noto elegantone, i prodotti) ed il bravo Jake Clemons, sempre meglio inserito nei meccanismi della E Street. Little Steven sempre sugli scudi come sparring partner del capo; già detto dei talentuosi Nils Lofgren e Roy Bittan, Gary Tallent si è tenuto un po’ in disparte; bravo Charlie Giordano ad organo e fisa, Soozie Tyrell non si è sentita molto al violino a causa dei problemi di amplificazione di cui ho già parlato all’inizio.
Molto, molto bravi gli ottoni Barry Danielian, Clark Gayton, il già menzionato Curt Ramm ed la vecchia conoscenza Eddie Manion (già negli Asbury Jukes), i coristi Curtis King, Cindy Mizette e Micelle Moore ed il percussionista-tastierista aggiunto Everett Bradley.
Tutti a casa contenti quindi, con la speranza che Bruce possa resistere ancora a lungo così in forma. La sua voce è sempre migliore e più profonda, ed anche fisicamente è assolutamente tonico, con numeri atletici da venticinquenne.
Anche perché c’è da chiedersi quale possa essere lo stato di salute attuale della nostra musica se oggi, dopo quarant’anni, riferendoci ad un quasi sessantaquattrenne, siamo ancora qui a dire: Ho visto il futuro del rock ed il suo nome è Bruce Springsteen.

TRACKLIST

The Ghost Of Tom Joad
Long Walk Home
My Love Will Not Let You Down
Two Hearts
Boom Boom
Something In The Night
The Ties That Bind
We Take Care Of Our Own
Wrecking Ball
Death To My Hometown
Spirit In The Night
Thunder Road
Tenth Avenue Freeze Out
Night
Backstreets
Born To Run
She’s The One
Meeting Across The River
Jungleland
Shackled And Drawn
Waitin’ On A Sunny Day
The Rising
Badlands
Pay Me My Money Down
Born In The U.S.A.
Dancing In The Dark
Twist And Shout/La Bamba