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REUTER MOTZER GROHOWSKY – Bleed

di Paolo Crazy Carnevale

11 gennaio 2023

cover reuter

Reuter Motzer Grohowski – Bleed (Moonjune Records 2022)

Confesso che quando trovo il nome di Markus Reuter sulla copertina di un disco parto un po’ prevenuto, sarà perché lo considero un vero e proprio prezzemolo, ho perso il conto di quante volte negli ultimi due /tre anni mi sia imbattuto nell’artista tedesco scorrendo le note dei dischi pubblicati dalla Moonjune, tra presenze da titolare e da comprimario direi una decina abbondante. E non mi piace troppo quella sua particolare chitarra, d’altra parte ognuno ha i suoi gusti e se non piace a me non è detto che non debba piacere a nessuno.

Dirò anche che in alcune situazioni dove non è titolare a tutto tondo (pensiamo agli Stickmen di Tony Levin) il suo contributo è apprezzabile, come tutto sommato lo è anche in parte questa recente uscita condivisa con il chitarrista Tim Motzer ed il batterista Kenny Grohowski, che però a lungo andare sembra non andare in alcuna direzione. I due jazzisti americani con Reuter avevano già condiviso un live nel 2020 e senza di lui fanno parte di un altro progetto legata alla medesima label, PAKT, protagonista di un paio di lavori usciti nei mesi della pandemia; Grohowski vanta una militanza in ambito jazz rock con vari gruppi, tra i quali i Brand X.

Il nuovo lavoro segue un po’ il filo conduttore della musica totale e senza barriere che scaturisce quando i tre musicisti si scatenano lanciandosi in interminabili e spaziali improvvisazioni, in questo caso catturate da Scott Petito negli studi NRS, sulle Catskill Mountains, nel nord dello stato di New York, da sempre buen retiro per musicisti in cerca d’ispirazione e intimità.

Otto in tutto le tracce incise nel corso di circa sei ore di quello che potremmo definire autentico brainstorming musicale, con i tre seduti uno di fronte all’altro con batteria e chitarre e poi, una volta terminata questa prima fase, ogni brano è stato arricchito da inserti di tastiere ( tutte suonate dal trio) che vanno dal piano Rhodes all’Hammond B3 al Mellotron, dando vita a excursus d’impronta chitarristica come in Causatum, ad autentiche e proprie suite che si dipanano come matasse creando varietà di suoni (pensiamo al quasi quarto d’ora di Monolith), a brani più cupi (Oracle Chamber e Impenetrable) o ripetitivi (la conclusiva Externalities In The Truest Universality).

Paolo Crazy Carnevale