Posts Tagged ‘Bob Dylan’

AA.VV. – Dylan Revisited

di Paolo Baiotti

24 maggio 2021

bob

AUTORI VARI
DYLAN REVISITED
Bandlab 2020

L’ottantesimo compleanno di Bob Dylan sarà l’ennesima occasione di celebrare il musicista, compositore e poeta che più di tutti ha caratterizzato la storia della musica rock dai primi anni sessanta. In verità i festeggiamenti sono già iniziati sugli organi di stampa italiani e stranieri con retrospettive più o meno approfondite.
Il numero di giugno del prestigioso mensile inglese Uncut aggiunge ad un lungo e curato speciale sull’artista un cd con 15 brani di cui 14 cover inedite e una traccia di Dylan. Nella tradizione della rivista anche questo omaggio è curato con attenzione nella scelta degli artisti di diverse generazioni e nella qualità delle interpretazioni, tenendo conto delle difficoltà legate alla pandemia.
La versione acustica di Too Late di Bob apre il dischetto, un inedito dalle sessioni di Infidels dell’83 che sembra anticipare Foot Of Pride (dal primo volume delle Bootleg Series). La voce inconfondibile di Richard Thomson e la sua chitarra caratterizzano una notevole This Wheel’s On Fire, seguita dalla prima delle numerose interpreti femminili, Courtney Mary Andrews alle prese con To Ramona insaporita di sapori messicani. Non mi convincono Lay Lady Lay dei Flaming Lips e Precious Angel di The Weather Station (con il testo rielaborato da Tamara Lindeman), a differenza di I’ve Made My Mind To Give Myself To You (dall’ultimo album di Bob) rivista dalla voce melodica e dolente di Margo Timmins, accompagnata ovviamente dagli altri Cowboy Junkies tra i quali spicca il lavoro della chitarra del fratello Michael. Thurston Moore rivisita da solo dalla sua casa di Londra Buckets Of Rain accompagnato dalla chitarra acustica e fa la sua figura, come il maliano Fatoumata Diawara che accelera Blowin’In The Wind, togliendo pathos e aggiungendo festosi sapori africani e l’irlandese Bridgit Mae Power che addolcisce con la sua voce limpida ed eterea One More Cup Of Coffee. Si prosegue con tre brani a mio avviso privi di incisività: dapprima i Low non aggiungono molto a Knockin’ On Heaven’s Door, quindi la cantautrice Joan Shelley riprende Dark Eyes con accenti folk un po’ tediosi, infine Patterson Hood dei Drive By Truckers aiutato dal tasierista Jay Gonzales approccia la magnifica Blind Willie McTell in modo intimo e minimale, senza emozionare. Nella parte finale la calda voce soul della canadese Frazey Ford affronta con coraggio The Times They Are A-Changin’, Jason Lytle (Grandaddy) rivisita con delicatezza l’intima Most Of The Time e la cantautrice americana Weyes Blood offre un’eccellente interpretazione dell’epica Sad Eyed Lady Of The Lowlands che cresce gradualmente sia vocalmente sia strumentalmente con il contributo essenziale delle tastiere.

Paolo Baiotti

Sul Nobel a Bob Dylan

di Paolo Crazy Carnevale

26 ottobre 2016

https://www.salto.bz/de/article/17102016/viva-bob-dylan

BOB DYLAN – Another Self Portrait

di Paolo Crazy Carnevale

18 dicembre 2013

dylan-another-self-portrait-deluxe

 

BOB DYLAN

Another Self Portrait/Bootleg Series vol.10

(Columbia 2013 4 CD Box)

  

Non frequento i blog dedicati a Bob Dylan e di rado vado a sbirciare nel suo sito ufficiale, ma credo di poter affermare che la decisione di imperniare il decimo volume delle Bootleg Series ad un periodo così oscuro e poco considerato della storia dylaniana come quello della transizione dagli anni sessanta ai settanta abbia colto più d’uno alla sprovvista.

Non fosse altro perché da un po’ si vociferava della possibilità di dedicare questo decimo volume alle session di Blood On The Tracks, come aveva fatto supporre la pubblicazione di un singolo in vinile uscito per il Black Friday dello scorso anno contenente un’inedita e superlativa versione di Meet me In The Morning. A cancellare ogni dubbio, lo scorso Record Store Day è giunto un altro singolo che annunciava l’uscita di Another Self Portrait. Come sempre l’industria discografica ha pubblicato il nuovo prodotto in maniera di cercare di spremere il più possibile l’acquirente. Francamente mi ero stufato di questi giochetti di immettere sul mercato più versioni dello stesso disco – quella normale con due dischi, quella in vinile, quella deluxe con libro fotografico e ulteriori dischi – ma alla fine ho scelto quella deluxe, ingolosito dalla presenza del concerto integrale dell’Isola di Wight, quello del 1969, l’unico concerto intero tenuto da Dylan tra quello della Royal Albert Hall del 1966 e il tour del 1974 ambedue con The Band. Tutte le esibizioni in pubblico tra queste due date sono state comparsate, alcune da urlo (pensate ai tre brani del tributo a Woody Guthrie del 1967), altre abbastanza routinarie (penso al concerto per il Bangladesh).

Chiaramente il concerto – con The Band anche questo – è solo la ciliegina sulla torta. Il piatto forte sono i due dischi assemblati dagli archivisti con materiale inciso tra il 1967 ed il 1971, con particolare riferimento ai dischi Self Portrait e New Morning. Diciamolo subito, non erano stati di certo due dischi da ricordare, personalmente ho sempre trovato il primo dei due un disco simpatico ma spiazzante e a tratti inutile, il secondo mi è scivolato via senza farmi particolare impressione, pur contenendo indubbiamente qualche brano da ricordare. E non ne farei semplicemente una questione di produzione, evidentemente Dylan in quel periodo era meno ispirato, forse confuso, o probabilmente gli andava solo di fare quello che stava facendo, con i risultati che sappiamo. Queste pubblicazioni d’archivio rendono in parte giustizia ai dischi originali, grazie al fatto che buona parte dei brani appare in versione nuda e cruda senza overdubbings orchestrali e cori fuori luogo. Soprattutto ci sono parecchie canzoni rimaste fuori dai dischi ufficiali, canzoni forse migliori di quelle uscite all’epoca. Per quasi tutto il disco ci sono solo Dylan, David Bromberg e Al Kooper che propongono arrangiamenti scarni e minimali che convincono abbastanza. Tra versioni demo di Went To See the Gipsy – pare ispirata da Elvis Presely – e When I Paint My Masterpieces, con testo leggermente diverso, troviamo una vera e propria miniera di gemme assolute, come una versione di Only A Hobo con Happy Traum, Annie’s Going To Sing Her Song di Tom Paxton, una New Morning addizionata da fiati che non dispiacciono, una versione alternata di I Threw It All Away, ottimi traditional come This Evening So Soon, Railroad Bill, Bring Me A Little Water Sylvie (un classico nella versione di Leadbelly, ripresa anche da Pete Seeger e dalle Sweet Honey In The Rock).

Tra le cose che spiccano c’è una versione come si deve di If Dogs Run Free, spogliata degli orpelli jazz con cui era stata pubblicata nel 1971, e ci sono due brani con George Harrison, Time Passes Slowly e il devertissement di Working On A Guru. C’è anche un estratto dai Basement Tapes, quella Minstrel Boy rispolverata un paio d’anni dopo per il concerto a Wight.

La versione deluxe contiene la versione dell’originale Self Portrait, mai ristampata in versione rimasterizzata, e il concerto di cui sopra. Un concerto che come i dischi incisi in quel periodo lasciò dietro di sé fiumi di critiche. Ascoltarlo oggi fa piacere, dopo averlo visto in svariate versioni bootleg messe insieme con registrazioni di fortuna di differenti provenienze. Non è certo un concerto memorabile, ma si colloca perfettamente in quella che era la dimensione dylaniana dell’epoca. Accompagnato dalla Band, Dylan concede un’oretta di musica, con tanto di intermezzo acustico, tutta cantata con la stessa strana voce che aveva usato in Nashville Skyline. Nulla fa presagire a quello che Dylan ci avrebbe propinato nei due anni seguenti, piuttosto ci troviamo vicini all’impostazione dei Basement Tapes, rilassatezza casalinga, i sei musicisti suonano davanti al pubblico oceanico del festival come se fossero nello scantinato di Big Pink a suonare per sé stessi.

Forse questo è il vero limite del concerto che peraltro offre comunque alcuni spunti davvero notevoli come I Dreamed I Saw Saint Augustine, Highway 61 Revisited, I Threw it All Away, One Too Many Mornings, I Pity The Poor immigrant e le immancabili Maggie’s Farm e Like A Rolling Stone.

Vi rimando al prossimo numero dell’edizione cartacea di Late For The Sky per un ulteriore e inedito approfondimento sul Dylan di quel periodo.