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AMY SPEACE with THE ORPHAN BRIGADE – There Used To Be Horses Here

di Paolo Crazy Carnevale

23 maggio 2022

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AMY SPEACE with THE ORPHAN BRIGADE – There Used To Be Horses Here (Appaloosa/IRD 2022)

Assolutamente riuscito l’abbinamento tra la voce e il songwriting della brava cantautrice di Baltimora col trio degli Orphan Brigade: Ben Glover, Nielson Hubbard e Joshua Britt, quando si mettono a disposizione come artisti e produttori risultano sempre particolarmente convincenti, cosa che se fanno i solisti – lo abbiamo già scritto su queste colonne – non riesce invece loro appieno.

Il disco in questione è stato pubblicato lo scorso anno in America dalla Proper e viene ora distribuito anche nel nostro paese dall’Appaloosa, nella consueta veste che include anche la traduzione dei testi, il tutto mentre in USA è già pronto un nuovo disco della Speace, Tucson, realizzato sempre col contributo dei tre Orphan Brigade.

La titolare, apprezzata come autrice, premiata agli Americana Award Award per il suo disco del 2020, si presenta qui con una serie di canzoni particolarmente ispirate, tanto che il disco è una delle cose migliori ascoltate negli ultimi tempi, in assoluto. Accompagnamenti acustici essenziali, come è un po’ nello stile Orphan Brigade, testi mai scontati, per lo più ispirati a ricordi e vissuto personale della Speace.

Ottima l’apertura affidata a Down The Trail e non da meno la title track che segue a ruota, con un bell’accompagnamento affidato ad un quartetto orchestrale che dona al brano un respiro bucolico/sinfonico. Hallelujah Train è subito una delle perle del disco, composta insieme al trio ha una struttura più robusta, chitarre, mandole, mandolini, una fantastica slide e il drumming essenziale di Hubbard con la voce di Amy che viene sostenuta da un bel coro d’impronta gospel approntato dai compari coautori.

Inizio con gli archi per Father’s Day, altro intimo resoconto legato all’infanzia, in particolare al 1972 e al ricordo di una festa del papà, e sempre al genitore è dedicata la successiva Grief Is A Lonely Land, composizione pianistica (Danny Mitchell a pigiare, anzi sfiorare, i tasti) con background cameristico degli archi.

Sono invece le chitarre acustiche a sorreggere le sorti di One Year, mentre nella piacevolissima Give Me Love, dal bel refrain, un’orchestra in stile film western fa da sottofondo alla chitarra elettrica di Johnny Duke. River Rise è un’altra composizione accattivante, particolarmente cadenzata, con di nuovo Duke in evidenza con l’elettrica e i cori degli “orfani” e di Garrison Starr; la chitarra elettrica di Will Kimbrough (non poteva mancare!) colora invece Shotgun Hearts, altro notevole sforzo compositivo della cantautrice, segue infine Mother Is A Country per archi e pianoforte, con un testo molto bello dedicato alle madri e all’essere madre.

Ma c’è ancora tempo in fondo al disco per un’ultima canzone, una cover stavolta, tratta dal songbook dell’immenso Warren Zevon: Don’t Let Us Get Sick (stava su Life’ll Kill Ya) è qui riproposta in una versione rispettosa, cantata con ispirazione, conspazio per l’elettrica di Duke, per i cori dell’Orphan Brigade e per mandolini e mandole vari.

Paolo Crazy Carnevale

ORPHAN BRIGADE – Heart Of The Cave/Live from Osimo

di Paolo Crazy Carnevale

20 maggio 2018

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ORPHAN BRIGADE – Heart Of The Cave/Live from Osimo (Appaloosa 2018)

L’Appaloosa Records punta decisamente molto su questo trio di songwriter, e a buon diritto visti gli elogi che Ben Glover, Joshua Britt e Neilson Hubbard hanno riscosso sin dal loro esordio, elogi proseguiti lo scorso autunno con l’uscita di Heart Of The Cave, concept indie opera ideata quando il gruppo, durante una sua precedente visita in Italia, era rimasto letteralmente affascinato dalle grotte sotterranee di Osimo e dalle storie ad esse collegate.

Era dunque scontato che il nuovo disco venisse presentato proprio nella cittadina marchigiana che ne aveva favorito la genesi: quello che abbiamo tra le mani è il CD che l’Appaloosa ha pubblicato per l’ultimo Record Store Day in tiratura limitata di 1000 copie, col concerto tenuto in occasione della presentazione del disco.

Rispetto alla formazione di studio, che vedeva molti ospiti, qui i tre cantautori si fanno accompagnare solo dal violino e dalla viola di Marco Santini e dalla voce di Laura Matta.

Il risultato è un concerto che vede affiancare i brani del disco più recente (otto su undici tracce) con composizioni precedenti del trio: gli Orphan Brigade sono perfettamente a proprio agio anche in formazione essenziale, la potenza delle loro canzoni vien fuori proprio tutta e la sensazione è che alcune di esse siano già divenute dei piccoli classici, anche nello spoglio arrangiamento qui proposto.

Le voci, le chitarre acustiche e il mandolino, qualche spolverata di percussioni – parlare di batteria è quasi troppo – e gli archi di Santini: l’apertura con Pile Of Bones è già un trionfo, a conferma che il brano che era quello d’inizio anche per il disco di studio è davvero potente. E di grande effetto è anche Flying Joe, in cui il frate volante di cui si canta è nientemeno che Giuseppe da Copertino; e che dire della splendida apertura ordita da Santini per Osimo (Come To Life), altra importante composizione di questa piccola grande opera indie. Altro brano imprescindibile è The Bells Are Ringing, composizione corale di grande presa.

Trouble My Heart (Oh Harriet), giocata sul mandolino, è invece ripresa da Soundtrack To A Ghost Story, primo disco del trio, così come Sweetheart e Cursed Be The Wanderer.

Gli altri pezzi inclusi in questo suggestivo live sono Sweet Cecilia, V.I.T.R.I.O.L., The Birds Are Silent e Alchemy, tutti da Heart Of The Cave.

Manca giusto la cover di Tom Petty che il gruppo ha eseguito in qualche data del tour, ma chissà, anche altri artisti del giro Appaloosa in giro durante l’autunno e l’inverno hanno omaggiato il biondo rocker scomparso lo scorso ottobre, forse in previsione di un live tribute in suo onore?

Chi vivrà vedrà.

THE ORPHAN BRIGADE – Soundtrack Of A Ghost Story

di Ronald Stancanelli

19 novembre 2015

ORPHAN BRIGADE

The Orphan Brigade : Soundtrack of a Ghost Story nasce in modo particolare quando tre cantautori che rispondono ai nomi di Ben Glover, Neilson Hubbard e Josua Britt decidono contemporaneamente sia di incidere un album che di redigere un film-documento.

Quindi in un edificio del Kentucky, precisamente nell’Octagon Hall di Franklin, casa che situata nel bel mezzo di una piantagione che ha vissuto eventi vari nel corso della guerra di secessione e che pare da tempo infestata dai fantasmi, si dilettano, bontà loro, in questa duplice e temeraria esperienza. Pare che questa magione sia considerata come uno dei posti più inquietanti di tutti gli Stati Uniti.

Il nome dell’operazione è tratto da l’Orphan Brigade che era un gruppo operativo bellico di quel periodo operante in zona. Quattordici tasselli che compongono un racconto di musica di radici sudiste che formano appunto un concept album molto accattivante, piacevole ed interessante sia dal punto strettamente musicale che ovviamente da quello storico e che ci porta alla memoria un’operazione similare del 1978 quando una cerchia di artisti tra cui John Dillon, Steve Cash, Waylon Jennings, Bernie Leadon, Jessy Colter ed Eric Clapton diedero vita al ormai mitico progetto-album The White Mansion.

Tornando ad Orphan Brigade il film ha vinto un premio al festival cinematografico del Bayou, è stato selezionato per quello di Nashville, ha avuto una nomination per la miglior canzone e ha vinto un premio al Southern Spotlight Award.

L’album che a più ascolti ci risulta estremamente gradevole è decisamente di livello superiore soprattutto nei brani Pale Horse, We were marching on Christmas Day, nel traditional Good Old Flag che assomiglia notevolmente al brano di Tom Russell Tonight we ride, nella marcia alquanto irish Cursed be the Wanderer e nella ballata Goodnight Mary.

Tutti i brani escluso appunto il traditional sono a firma dei tre musicisti dei quali ricordiamo due essere statunitensi e uno, Glover, irlandese. Un’altra decina di musicisti collaborano all’opera tra cui Heather Donegan, Brad Talley, Ryan Beach e vari altri mentre la produzione è affidata al solo Hubbard.
This is a Ghost Story set to Music in a House full of Life, Death Love, War and unimagionable Loss. Significativamente d’epoca e d’antichissima memoria la copertina.