FreaKraut – 3. NEU!

Immaginate di piombare nell’anno di grazia 1972 e di rovistare con la consueta bramosia fra le novità discografiche nel vostro bugigattolo di fiducia. Improvvisamente, fra Foxtrot e Fragile, vi capita fra le mani un album che non può fare a meno di attrarre la vostra attenzione. Una copertina completamente bianca sulla quale campeggia –fronte e retro- una grossa scritta trasversale in arancio fosforescente, Neu! Null’altro. Sembra il depliant pubblicitario del supermercato di fronte…che Paul Whitehead o Roger Dean siano andati completamente in acido? Immaginate di essere talmente sprovveduti ed autolesionisti da portarvi a casa quello strano oggetto. E di metterlo sul piatto. Basteranno i primi dieci minuti per cambiare la vostra percezione della musica rock e, magari, anche parte della vostra vita. Hallogallo è una lunga cavalcata giocata sulla cupa progressione di un fitto tappeto percussivo –niente basso, solo una batteria elettronica- stemperata dalle intermittenze lisergiche di una chitarra agile e sinuosa. Sembra strano, ma non c’è un inizio e non c’è una fine, non c’è nemmeno una voce o una parvenza di melodia: solo un vortice di frequenze multicolori che imprigiona fin dalle prime note, fra gioia e tormento, estasi e delirio. Semplicemente, uno dei momenti più alti del (non solo kraut) rock. Poi il suono sembra perdere ogni connotazione, arrivano solo i segnali d’avaria da qualche astronave misteriosa: i corrieri cosmici, evidentemente, stanno cominciando ad andare alla deriva (Sonderangebot). E’ il preludio alle meraviglie di Weissensee. I ragazzi, evidentemente, devono essere un po’ furbi, perché hanno presso Hallogallo, hanno rallentato il ritmo e ne hanno ammorbidito la progressione: le aperture delle chitarre sono più liriche, limpide ed eteree, le atmosfere più dolci e rilassate, ma il risultato è tale da costringere al perdono. Girate il disco. Vi accoglieranno rumori acquatici, vi sembrerà di perfino di udire i gabbiani fra strane astrazioni chitarristiche. Im Gluck è ambient prima dell’ambient ma, appena cominciate a distendervi, un martello pneumatico vi riporta alla realtà. (Si, proprio un martello pneumatico, con buona pace degli Einsturzende Neubauten che pensavano di detenere il copyright!). L’incubo ha un nome, Negativland, e, anni dopo, ispirerà anche la ragione sociale di una band. Ma questo voi, nel 1972, non potete ancora saperlo. Qualche schitarrata, poi un incalzare ritmico preciso ed affilato solcato da chitarre quasi noise. Uno stop fra clangori da catena di montaggio ed un’accelerazione improvvisa, e poi ancora rallentamenti e ripartenze a velocità sempre diverse sulle quali le chitarre continuano a ricamare le loro trame stridenti. Proto-industrial? Lieber Honig chiude l’album con una sorpresa: una voce afona e forzata intona una melodia tenue e dolcissima che sembra voler nascondere a tutti i costi. E’ incastonata fra le frasi asettiche di un organo ed i soliti rumori acquatici, che riportano al silenzio. A questo punto, e poi finiamo il giochino, immaginate di chiamarvi David Bowie e di rimanere folgorati da questo disco. Talmente stregati da mettere in cantiere un viaggio a Berlino dall’amico Brian Eno, già avvezzo a quell’aria da qualche tempo, ed una trilogia che rappresenterà una svolta per la musica rock. 40% del merito ai Neu!, 40% a Bowie e 20% a Eno: le percentuali potete anche cambiarle ma, in ogni caso, è nata la new wave. E, non dimenticatelo, siamo ancora nel 1972.

Neu!, da Dusseldorf, sono Klaus Dinger e Michael Rother, e rappresentano, insieme ai Faust, la frangia più iconoclasta (e più influente) del rock teutonico. Entrambi gravitano nell’orbita dei primissimi Kraftwerk: Dinger è nella line up dell’esordio a 33 giri dei futuri uomini macchina, ma molla tutto subito dopo l’uscita del disco per inseguire la nuova avventura. I due si chiudono in uno studio di registrazione e mettono su nastro la magnificenza di cui vi abbiamo appena reso partecipi in quattro notti, da soli, con il contributo in cabina di regia di Conrad Plank, altro musicista del giro Kraftwerk. Neu! vende abbastanza bene in Germania e in Gran Bretagna ma i due, progetto essenzialmente di studio, non riescono a capitalizzare per la difficoltà di riprodurre le loro sonorità dal vivo. Un tentativo di tour viene in breve tempo abortito. Neu! 2, edito nel 1973, ricicla genialmente grafica e soluzioni strumentali del predecessore. La copertina è identica: sfondo bianco con scritta in grigio e, sovrapposto, un grosso 2 lilla in vernice a spruzzo. Un’abitudine che i nostri manterranno anche nel capitolo successivo, in cui il fondale diventerà nero e la scritta bianca. Fur Immer apre l’album e richiama immediatamente Hallogallo, ne sembra addirittura un rifacimento in chiave quasi pop: il caratteristico incedere ritmico più marcato, qualche cambio di tempo, le chitarre meno estatiche, più dirette ed incisive. Spitzen Qualitat è una danza pagana per la società industriale: le percussioni martellanti scandiscono ritmi tribali, qualche cambio di tempo e disturbi elettronici in sottofondo. Gedenk Minute esibisce, nel lasso di tempo indicato, un rintocco di campane su correnti elettroniche mentre la successiva Lila Engel, che chiude la prima facciata, mostra la consueta progressione ritmica con le chitarre a fare scintille ed una voce sgraziata a scandire il ritmo. Il secondo lato fa letteralmente impazzire lo stereo: siete avvisati quindi, è perfettamente inutile prendersela con il vostro fedele compagno! Neuschnee e Super, già edite su singolo, ritmo marziale con splendidi arabeschi psichedelici la prima e proto techno la seconda, vengono riproposte in tutto cinque volte in versione canonica ed a velocità diverse; in mezzo, strano riempitivo, un estratto di Fur Himmer viene condito da qualche chiacchiera e ribattezzato Hallo Excentrico! Vale a dire come completare una facciata con avanzi e frattaglie manipolando qualche nastro e divertendosi con il cursore della velocità di registrazione: ardita sperimentazione o vuoto creativo? Un giochino, in ogni caso, cui nel futuro avrebbero messo le mani in tanti. Esisterebbe, per la verità, una terza pista che imputa alle voci di un prossimo fallimento della label la necessità per i nostri di affrettare le registrazioni magari, come abbiamo visto, con qualche trucchetto di troppo… Ad ogni modo Neu! 2 è stato ultimato in quattro giorni come il più compiuto predecessore: a questo punto a voi l’ardua sentenza. Molto probabilmente, gusto per la provocazione a parte, ad essere venuta meno è essenzialmente l’ispirazione, tanto è vero che le strade dei due si separano appena dopo la pubblicazione dell’album.

Rother, con il solito Conrad Plank in regia, si unisce a Hans-Joachim Roedelius e Dieter Moebius dei Cluster per il varo del progetto Harmonia, al quale sono ricondotti due album, Musik Von Harmonia (1974) e Deluxe (1975), più orientati al versante cosmico. Dinger, dal canto suo, inizia a confezionare i suoi La Dusseldorf. Ma prima c’è il tempo per un altro miracolo. Il solito Plank riacciuffa i due prima che le rispettive strade si separino definitivamente e, con un organico allargato a Thomas Dinger, fratello di Klaus, e Hans Lampe alle percussioni, Neu! risorge dalle proprie ceneri con una mirabile creazione. Neu! 75 è il disco più compiuto e, forse, il capolavoro della band. E se abbiamo parlato di miracolo non è soltanto per usare i soliti superlativi: è perché tale compiutezza sembra altamente improbabile, se non impossibile, se si pensa che i due -che vivono un po’ da separati in casa- non si vogliono affatto bene. Le due facciate dell’album, in ognuna delle quali è ben evidente una distinta paternità, quella di Rother e dei suoi Harmonia nella prima e quella dei futuri La Dusseldorf nella seconda, sono lì apposta a dimostrarlo. Eppure Neu! 75 è il disco nel quale l’anarchia dei capitoli precedenti si sviluppa finalmente in un senso compiuto, nel quale il duo, in punto di morte, scopre la quintessenza del proprio suono. Isi ha l’incedere ritmico tipico dei Neu! ed una melodia pianistica alla quale fanno da contrappunto le frasi del sintetizzatore: il culmine dell’armonia e del buon gusto nella storia della band. Seeland rallenta il tempo, una chitarra traccia algide linee lisergiche attorno alle quali ruota la sezione ritmica mentre il synth, senza disturbare, emerge a tratti. In Leb Wohl pioggia e sciabordii marini (un tema ricorrente, lo abbiamo visto) cullano una melodia pianistica alla Satie con un tenue cantato ed un filo d’organo in sottofondo: i Neu! sembrano prossimi al silenzio. Ma è mera illusione… Sulla seconda facciata, in Hero e After Eight, i due si fanno improvvisamente cattivi: è il krautrock punkizzato, erano gli Stooges e saranno i Sex Pistols, un’immensa forza centrifuga dalla quale nasceranno anche gli Ultravox! che, non a caso, hanno un punto esclamativo in comune con i nostri. In mezzo i dieci minuti di E-Musik, teutonica confusione fra ritmi meccanici e perversi che sfociano, nel finale, in una breve melodia pianistica sormontata da fruscii elettronici e da un canto d’oltretomba. Ora è veramente la fine. Mentre Rother, terminata l’esperienza Harmonia, si accontenterà di una carriera solista di secondo piano, Dinger, con il fratello Thomas e Hans Lampe, più il contributo esterno di Nikolaus Van Rhein alle tastiere e del bassista Harald Konietzko, pubblicherà nel 1976 l’omonimo debutto dei La Dusseldorf, al quale faranno seguito Viva, nel 1978, e Individuellos nel 1980. Tutte opere che, nelle pagine migliori, contaminano l’incedere selvaggio dei Neu! con temi più lirici ed impressionisti. Ci sarà infine il tempo di scoprire, a metà anni novanta con la pubblicazione postuma di Neu! 4, che i due avevano provato a far la pace fra il 1984 ed il 1985. Ma, ahimè, senza troppa fortuna ed ancor meno passione.

da LFTS n.70

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