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Rock & Pop, le recensioni di LFTS/12

di admin

5 aprile 2011

hillman pedersen

 

CHRIS HILLMAN & HERB PEDERSEN

At Edward’s Barn

2010 Rounder CD

 

Incredibile! Un disco dal vivo di Chris Hillman. Incredibile perché, nella sua eccezionalmente lunga e prolifica carriera, è uno dei rari dischi live di questo artista, se non sbaglio solo il secondo pubblicato in tempo reale (e comunque anche i live d’archivio sono solo un paio). Nessun disco dal vivo con i Byrds, nessuno con i Manassas, la SHF Band, la Desert Rose Band o come solista assoluto. A conti fatti c’è solo il mitico Last Of The Red Hot Burritos a far compagnia a questo scintillante, bellissimo concerto acustico realizzato col fido pard Herb Pedersen. Il disco è stato registrato verso la fine del 2009 in un fienile dove con cadenza regolare i nostri si esibiscono per beneficenza. L’acustica particolare della sede scelta, l’informalità e l’intimità della performance ne fanno una perla di rara bellezza, sia per chi ama le atmosfere acustiche che per chi apprezza la formidabile miscela vocale che Herb e Chris sanno allestire quando le loro ugole si uniscono (e ormai sono decenni che la cosa accade). Come se non bastasse, hanno scelto per farsi accompagnare un gruppo di musicisti molto dotati che creano un sound ricco e grondante di umori unici. Ci sono infatti il violino di David Mansfield (già al fianco di Hillman negli anni ‘80 per una serie di registrazioni country- gospel), il bassista Bill Bryson (a lungo collaboratore del duo) e il chitarrista Larry Park. I due compadres oltre alle voci ci mettono il banjo (Herb) e il mandolino (Chris), con un risultato che le parole stentano a definire. Il concerto è un viaggio piacevolissimo attraverso tanti anni di musica e di gruppi e concede anche un paio di brani nuovi che in questi frangenti non guastano mai, come a dire che i nostri non sono solo due pezzi da museo. E difatti, la particolare ritrosia di Hillman verso il materiale d’archivio conferma questa dichiarazione. Chris Hillman sembra, con questo disco, essere ritornato definitivamente al mandolino, il suo strumento originario, quello con cui dalle parti di San Diego suonava in timidi gruppi bluegrass prima di imbracciare il basso e cominciare a volare con i Byrds. Il disco si apre con il gospel di Going Up Home per poi citare la Desert Rose Band attraverso Love Reunited. La versione di Turn Turn Turn è puro spettacolo così come gli altri brani byrdsiani, Have You Seen Her Face (il primo firmato da Chris per supplire alla fuoriuscita di Gene Clark dal gruppo) e l’incredibile versione acustica di Eight Miles High, che dal vivo è anche meglio di quella già spettacolare incisa in studio qualche anno fa. Dal repertorio dei Burritos ci sono Together Again, Sin City e un’azzeccata Wheels. Tra gli inediti si fa apprezzare particolarmente Tu Cancion una canzone di ispirazione tex-mex ma senza fisarmoniche composta da Hillman, probabilmente con in testa il Dylan di To Ramona. La conclusione del disco (quindici brani in tutto) è affidata a Wait A Minute cantata da Pedersen, e alla struggente Heaven’s Lullabye.

 Paolo Crazy Carnevale

 

 

 

Johnnie Selfish and the Worried Men Band

 

JOHNNIE SELFISH AND THE WORRIED MEN BAND

Committed

2010 Autoproduzione CD

 

Un disco realizzato da veri amanti della musica americana. Dagli strumenti, alle sonorità, Johnnie Selfish e i suoi propongono un ritratto del folk americano appassionato, ma molto, forse troppo tecnico,  puntuale nell’esecuzione e senza una nota in più o in meno di quanto sia richiesto. Questo è certo un pregio quando si suona un genere popolare, il saper essere allo stesso tempo buoni strumentisti e arrangiatori oculati. Tuttavia alcune pecche sono difficilmente perdonabili a dei musicisti di livello: voler fare una canzone d’autore, nel senso in cui è intesa in Italia, rifacendosi al mondo del folk americano può essere pericoloso e dare luogo a fraintendimenti non sempre risolvibili. C’è qualcosa di sbagliato nell’immaginarsi Woody Guthrie cantare una Song For The Working Class come quella che compare in apertura del disco, è un accostamento che va al di là dei limiti del folk americano, per sorvolare poi su svarioni linguistici propri dell’italiano come l’allitterazione “lines and lanes” che sono quasi cacofonici in altre lingue. Certo, è già una buona prova saper addentare con originalità un genere rigido e chiuso nei suoi schemi fissi, nelle sue armonie ricorrenti, e veramente il lato strumentistico non delude mai; molto pregevole anche lo strumentale Self Portrait. Tuttavia ciò che il disco non trasmette è il lato, per così dire, ruspante della musica, quell’eterna, ossessiva ripetitività dei folk singer, nonostante la quale sono nati brani di struggente poesia, soppiantati qui da immagini altamente prosastiche, poco più di una pallida imitazione. A volte si ha l’impressione che il testo non sia che un mero riempitivo per una musica che suoni il più americano possibile, quasi un esercizio di stile.

Eugenio Goria

 

 

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NEIL YOUNG

Le Noise

2010 Repris CD

 

Della serie dischi inutili. Dispiace dirlo di uno dei propri beniamini, ma questo ennesimo CD firmato dal canadese per eccellenza mi ha deluso. Così come mi avevano deluso i suoi predecessori. Non so se sia perché Young sta riversando tutte le energie nei suoi archivi o se sia proprio perché la vena creativa si è momentaneamente impoverita, ma non mi erano piaciuti né Chrome Dreams II, né Fork In The Road. Per carità qualche brano buono lo si trovava anche, così come lo si trova in questo nuovo CD, ma la sensazione era, ed è, che la bontà fosse dovuta al fatto che tutto il resto era davvero brutto. A partire dalla grafica, ma Young ha spesso avuto il gusto dell’orrido in questo senso, questi dischi non fanno davvero onore a buona parte del passato discografico di Neil Young. E sì che l’attesa era davvero spropositata, da quando si era saputo che a produrre il tutto c’era nientepopodimenoche il signor Lanois, un altro canadese. Più che di suoni in questo disco sentiamo dei feedback, ma non occorreva scomodare il già produttore di U2, Bob Dylan, Robbie Robertson: Young di feedback chitarristici ce ne aveva già regalati molti in passato, senza dover propinarci questa nuova creazione. Quello che emerge dagli ascolti, ripetuti, è la totale mancanza d’ispirazione, di buone canzoni. C’è anche la ripresa di un vecchio brano, pare risalente al 1976, ma sicuramente eseguito più volte nel tour del 1992, intitolato Hitchhiker, una buona canzone, ma vestita con un arrangiamento che non va giù. Un paio di brani acustici o semiacustici sembrano eccellere tra gli altri, otto in tutto per meno di quaranta minuti, Someone’s Gonna Rescue You e Peaceful Valley Boulevard dove si cerca di rifare il verso a certe cose di On The Beach (senza riuscirci), ma, lo ripeto è un’eccellenza fatua, che emerge per colpa della pochezza del resto. Quantomeno, stavolta ci è stata risparmiata l’edizione col DVD allegato (che ultimamente Young non aveva mai fatto mancare ai suoi fan) anche se per la verità, su Youtube c’è un video dedicato alla realizzazione di questo Le Noise.

 Paolo Crazy Carnevale

 

 

rufus party

RUFUS PARTY

Civilization & Wilderness

2007 Bluebout CD

 

 

Un bel lavoro come non se ne vedono spesso.  I Rufus Party sono una band di Reggio Emilia che ha scelto per il proprio lavoro, prodotto nel 2007, una veste semplice e casalinga: una grafica essenziale, una registrazione su bobinone analogico: roba d’altri tempi. Tuttavia, anche se in certi ambienti questo entusiasmo tutto amatoriale può non essere ben visto, il prodotto musicale è sicuramente di alta qualità, e merita il rispetto che si deve a un bel disco. Civilization & Wilderness è, come lo definisce il chitarrista Parmiggiani, “una specie di concept album registrato con amore, come si faceva una volta”, e rappresenta un’originale rielaborazione del rock blues britannico e americano. Forte è in molti brani l’influenza di Jagger e Richards, e a volte lo spirito di emulazione prevale sulla creatività, ma non mancano momenti anche di grande personalità che fanno presto dimenticare le piccole sbavature che si incontrano qua e là. Ad esempio le due parti in cui è divisa Walk Of Fame rappresentano un tentativo di sperimentazione davvero azzeccato e significativo, che mescola un riff blues suonato dall’armonica con sonorità innovative, a metà strada tra l’indie e il rock. Quanto alla voce, sono necessarie due parole in più: quasi sempre il cantante è in buona sintonia con l’accompagnamento e con la natura delle canzoni che interpreta, è perfetto in un brano come la poderosa e travolgente Mr. Shuffle, lascia però a bocca asciutta su un lento come Girl On A Pedestal, e l’ascoltatore forse vorrebbe un po’di più in un pezzo peraltro molto bello. L’ascolto prosegue tra suggestioni che vanno dagli anni Sessanta americani al rock contemporaneo, attraverso riff quasi sempre puntuali e incisivi, con una ricchezza di timbriche e di strumenti che rende il disco estremamente particolare: non ci sono molti gruppi che sanno utilizzare a ragion veduta un organo hammond.  Un bel lavoro dunque, con pregi e difetti, ma piacevole all’ascolto e ricco di buone idee.

Eugenio Goria

 

 

soft machine legacy

SOFT MACHINE LEGACY

Live Adventures

2010 Moonjune CD

 

 

Nonostante Hugh Hopper ed Elton Dean siano passati recentemente a miglior vita, la spinoff band che si dedica a proseguire i fasti dei Soft Machine continua la propria strada con onore e perseveranza. Questo live, fresco di stampa, ci propone il sunto di due serate tenute nell’ottobre dello scorso anno in Austria e Germania. Il gruppo, va detto per i puristi e i pignoli, non comprende alcun membro originale del gruppo, ma ha sempre avuto l’imprimatur degli ex, e il buon gusto di non farsi chiamare semplicemente Soft Machine è cosa non da poco. Per sostituire Hopper la formazione britannica ha seguito una logica inappuntabile ed ecco che ora le vibranti note di basso elettrico sono a discrezione di Roy Babbington, che negli anni ‘70 aveva militato nel gruppo per un breve periodo. Così sono sempre tre i componenti del quartetto attuale che hanno nel DNA la musica dei Soft Machine: Babbington, il batterista John Marshall e il chitarrista John Etheridge, che è un po’ il leader del gruppo odierno. Il quarto membro è il giovane Theo Travis, oboe e sassofono, che vanta un pedigree stellare, annoverando collaborazioni con Dick Heckstall-Smith, Gong, i fratelli Sinclair e Robert Fripp. Il disco è molto ben registrato e ci mostra un gruppo ben lontano dal fare della semplice musica per nostalgici, proponendo a fianco di qualche titolo firmato dai vecchi Soft Machine (Gesolreut di Ratledge e Facelift di Hopper) nuove composizioni di Etheridge, Travis e di Karl Jenkins, altro personaggio legato alle due formazioni. Si va dalle atmosfere molto progressive di Song Of Aeolus (con la chitarra ispirata di Etheridge a dominare) e The Nodder agli sperimentalismi dell’iniziale Has Riff II (rielaborazione di gruppo di un tema originale di Mike Ratledge), passando per il jazz rock di Grapehound e In The Back Room (con gran lavoro del sassofonista) e il free del medley The Relegation Of Pluto/Transit.

 Paolo Crazy Carnevale

 

 

thee jones bones

THEE JONES BONES

Electric Babyland

2010 Il verso del cinghiale CD

 

 

Nella scia dei gruppi a base di sola chitarra e batteria (White Stripes, Black Keys tanto per dire i più affermati) si inserisce questa curiosa formazione bresciana. Per la verità ci sono altri strumenti in questo disco, ma il gruppo resta comunque un duo, formato da Luca Ducoli e Michele Federici. Se la copertina e il titolo (entrambi da premio!) fanno pensare immancabilmente a Hendrix, l’ascolto ci porta decisamente altrove, le nove tracce di questo CD sono tutto tranne un riferimento al mancino di Seattle. Una parola può riassumere quello che i Thee Jones Bones suonano: rock’n’roll. Scontato? No, direi anzi molto fruibile, grezzo, ribelle, simpatico, in tutte le sue sfaccettature, il rockabilly delle origini, con tanto di riferimenti country e bluegrass, una buona dose di punk, passando, distrattamente, per Lou Reed con il brano Nico’s Banana. Il tutto shakerato col risultato di un prodotto fresco e originale: banjo, chitarre slide, ritmica incalzante: oltre al brano citato si fanno apprezzare particolarmente Cowbaby, Teachin’ Nurse e l’iniziale Holly Holly.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

dire straits

 

DIRE STRAITS

Sultans Of Swing The Very Best

2010 Vertigo 2CD + DVD

 

La band si forma a Newcastle nel 1977 e poi si trasferisce a Londra, con David  Knopfler, il fratello  Mark, e gli amici John Illsey, basso e Pick Withers, drums. In piena era punk i Dire Straits  (letteralmente terribili ristrettezze) riuscirono a creare una sonorità unica, unendo il classico rock & roll a influenze country, jazz, swing e blues, grazie anche alla loro notevole capacità strumentale e compositiva che li fece diventare in poco tempo famosi in tutto il mondo con i due primi albums, Dire Straits e Communiquè, piccoli gioielli del genere e con singoli che ormai fanno parte della storia della musica rock, da Tunnel Of Love a Romeo And Juliet, da Local Hero a Sultan Of Swing, solo per citarne alcuni. Questa raccolta fu pubblicata dalla Vertigo nel 1998 come album singolo con sedici brani, ovviamente i più famosi della band oltre a due tracce live, Your Latest Trick e Local Hero/ Wild Theme. Visto il successo fu ripubblicata in doppio CD, con il disco originale sul primo CD e sul secondo un concerto inedito registrato a Londra nel 1996 durante il Golden Heart Tour, contenente sette brani e con versioni strepitose di Romeo And Juliet, Sultan Of Swing e Brothers In Arms. La ultimissima versione è questo lussuoso cofanetto con booklet allegato, a prezzo veramente contenuto, con i due CD già citati e uno stupendo DVD contenente sedici canzoni  dal vivo tratte da vari concerti con brani lunghi e dilatati, con grande spazio ai solismo dei musicisti e con Mark in grande spolvero con la sua chitarra e con la sua voce roca e personalissima:Sultan Of Swing, Romeo And Juliet, Tunnel Of Love, Calling Elvis, Love Over Gold e Heavy Fuel ci faranno sempre sognare.

Daniele Ghisoni

 

 

john hammond

JOHN HAMMOND

Rough & Tough

2009 Chesky Records CD

 

 

Quasi cinquant’anni di carriera, forse il più grande interprete ed esecutore bianco della musica blues di tutti i tempi, riesce ancora a stupirci con un nuovo album, grazie a una voce calda e coinvolgente, un tocco chitarristico unico unito alle sonorità stupende che riesce a trarre dalla sua armonica. Con un Palmares di un Grammy Award e un WH. Handy Award, oltre a diverse nomination, il 26  giugno di quest’anno ha suonato il suo concerto numero 4.000. Una produzione discografica enorme, oltre trenta album, iniziata nel 1962 ma con pochissimi lavori non all’altezza. Soprattutto interprete, perché John ha scritto pochissimo, delle canzoni di tutti i grandi del blues, da Muddy Waters , Chuck Berry, Jimmy Reed, Son House, Sonny Boy Williamson, fino a Howlin’ Wolf ,  solo per citarne alcuni, ma anche un brano già ascoltato migliaia di volte nella sua esecuzione riesce a dare ancora nuove sensazioni che ti coinvolgono in modo unico. Quindici brani, classici senza tempo, prodotti da G.Love , nei quali John si fa aiutare da Stephen Hodges, drums, Marty Baloou, bass e Bruce Katz, keys e suona acoustic and 12 strings guitar  National steel e armonica. Il disco è stato registrato  nel novembre del 2008 in NYC, alla St. Peter Episcopal Church. Le canzoni, quasi tutte già interpretate da John, si susseguono senza sosta, una più bella dell’altra:My Mind Is Ramblin del suo idolo Howlin’ Wolf, She’s Though, Chattanuga  Choo Choo, il classico di Glen Miller davvero stupendo, Statesboro Blues di Willie McTell, I Can Tell di Bo Diddley, No Place To Go, It Hurts Me Too di Elmore James, I Can’t Be Satisfied di Muddy Waters, solo per citarne alcune. Notevole il booklett allegato con notizie e foto per un disco da non perdere.

Daniele Ghisoni

 

 

kiss

KISS

Ikons – 2009 Mercury Box 4CD

Sonic Boom – 2009 Mercury Box 2CD + DVD

 

Ace Frehley, il chitarrista storico dei Kiss, ha appena pubblicato Anomaly, un disco in gestazione dagli anni ’90, poi rimandato per le sue vicissitudini personali, l’abbandono e il rientro nella band  in varie riprese, con alcuni brani scritti e incisi recentemente, veramente un bel dischetto degno di un grande musicista. Ma ai fan della band consiglio soprattutto  queste due chicche: Ikons è un cofanetto con oltre sessanta brani, in una bellissima confezione con un libretto con la storia della band, foto inedite e altre delizie. Le note si aprono con “Sono quattro, quattro volti, quattro eroi, quattro Icone”. Ogni CD è dedicato a un componente del gruppo e raccoglie le canzoni più belle e famose dallo stesso scritte e cantate. Di Gene Simmons, “The Demon”, troviamo tra le altre Deuce, Lager Than Life e Radioactive. Di Paul Stanley, “The Star Child” ricordo Detroit Rock City, Rock Bottom , Strutter e Mr. Speed. Di Ace Frehely, “Spaceman” possiamo ascoltare Talk To Me, Dark Light e Snow Blind. Infine, Peter Criss “The Cat Man” ci offre le stupende Beth, Black Diamond e Getaway.  Consigliato anche per il prezzo contenutissimo.  Sonic Boom è invece il nuovo album della band pubblicato in concomitanza col nuovo tour che porterà i Kiss in tutto il mondo, il primo in studio dal 1998. L’ascolto ha tolto ogni dubbio sulla utilità della operazione: un buon album di rock and roll, undici brani nuovi composti da Simmons e Stanley, alcuni col chitarrista Tommy Thayer. I mie preferiti sono Russian Roulette, Say Yeah e Hot And Cold,  ma anche gli altri non sono  davvero male. Questo box è una edizione limitata, in confezione deluxe in ogni senso, contenente anche un CD antologico e un DVD con un concerto inedito registrato al River Plate Stadium di Buenos Aires, il 9 Aprile del 2010.

Daniele Ghisoni

 

 

ozzy

OZZY OSBOURNE

Scream

2010 Sony Music CD

 

 

Decimo album in studio per l’ex leader dei Black Sabbath che a sessant’anni compiuti continua a stupire dandoci  lavori di ottima fattura, come il precedente Black Rain, che ha ottenuto ottimi riscontri di vendite, supportati da tour mondiali che confermano lo stato di grazia del “Prince Of Darkness”, sempre vivo e vegeto malgrado decenni di abusi in ogni senso. Si tratta anche del primo album senza il grande chitarrista Zakk Wylde, con lui dalla incisione di No Rest Of The Wicked nel  1998. Il disco è uscito in Europa l’11 Giugno 2010, con la produzione del fido Kevin Churko e con i trainanti singoli Let Me Hear Your Scream e Let It Die ha subito raggiunto tutte le top ten mondiali, grazie a concerti che hanno confermato l’incredibile carisma dal vivo del Mad Man e della sua band. Inciso ai Bunker Sudios di Los Angeles, ci offre undici nuovi brani composti da Ozzy e Churko, e quattro col tastierista Adam Wakeman.  Il resto della band è formato dal batterista di origine greca Tommy Clufetos (ex Alice Cooper e Ted Nugent) , dal bassista Rob Nicholson e dal chitarrista Gus G, ex Firewind, non geniale come Zakk (un vero mito) ma graffiante e con un suono potente e aggressivo. Let It Die e Let Me Hear Your Scream sono stupende, suono grintoso e coinvolgente, ma non sono da meno le durissime Soul Sucker e Crucify, o le ballate elettro/ acustiche Time e Life Won‘t Wait, con la voce di Ozzy sempre stupenda e accattivante. Grande e basta , mai nostalgico! Al recente Ozz Festival di Boston ha avuto una interminabile standing ovation dai suoi fan.

 Daniele Ghisoni 

 

 

davies

RAY DAVIES & The Coral Crouch End Festival Chorus

The Kinks Choral

2009 Decca CD

 

Solo un genio come Ray Davies poteva pensare a riproporre le più famose canzoni dei Kinks facendosi accompagnare da un coro liturgico, riuscendo in modo eccellente ad amalgamare brani seminali con sonorità così diverse, unendo il sacro al profano in modo unico.Il risultato è un disco davvero unico per la sua bellezza nel quale Ray canta facendosi accompagnare da una rock band composta da Billy Shamely e Milton McDonald, guitars, Dick Nolan, bass, Toby Baron, drums e Gunnar Frick e Ian Gibbons, keys. Il coro è originario di Crouch End, un sobborgo vicino a quello di Mushwell Hill, dove Ray è cresciuto, ed è diretto da David Temple. Ray li aveva già usati nella   incisione di Other People‘s Lives e in alcune sue esibizioni dal vivo. Dieci brani stupendi , alcuni  tratti da Village Green Preservation Society (disco stupendo  recentemente ristampato come triplo CD in edizione deluxe) ma tutti in questa versione col coro, che si amalgama perfettamente alla strumentazione elettrica, assumono una prospettiva musicale diversa, mantenendo intatto il nucleo originale della melodia. Le eterne You Really Go Me e All Day And All Of The Night, dal riff chitarristico unico e irripetibile, con il coro assumono un alone di magia, come le melodiche Days,   See My Friend, Shangri -La e Celluloid Heroes (queste ultime due  sono tra le composizioni di Davies quelle che adoro) che continuano sempre a incantare. Anche le famosissime Waterloo Sunset e Victoria con questo arrangiamento sembrano avere una immediatezza nuova e avvolgente.  Notevole anche Working Man Cafè, tratta dal suo ultimo, omonimo album, che fa la sua bella figura in mezzo a tanti classici. Un cenno a parte merita il medley di Villane Green, con Big Sky, Picture Book, Johnny Thunder, Do You Remember Walter? e ovviamente la title track che coinvolgono in modo sorprendente . Un grande disco che non mi stanco mai di riascoltare! Una volta i dischi preferiti che riascoltavi in continuazione si consumavano, succederà anche per questo CD ? 

Daniele Ghisoni

 

Rock & Pop, le recensioni di LFTS/7

di Roberto Anghinoni

16 settembre 2010

Una nuova infornata di recensioni di dischi usciti più o meno recentemente. Fra i nostri big J.J.Cale ed Eric Clapton, Richard Thompson, il vecchio Ozzy, i Black Crowes e poi tanti altri. E che la musica tenga alto il vostro spirito!

  

J.J. CALE & ERIC CLAPTON
The Road To Escondidojjcaleclapton
2006 Reprise CD

 
Cronaca di una collaborazione annunciata: doveva andare a finire che prima o poi i due chitarristi si trovassero insieme a registrare un disco. D’altra parte Slowhand non ha mai fatto mistero della propria ammirazione e predilezione nei confronti del collega dell’Oklahoma, anzi, è un dato di fatto che due dei suoi maggiori successi di sempre siano proprio le versioni di After Midnight e Cocaine. In molti si erano chiesti perché non ci fosse mai stata una collaborazione tra i due e questo ottimo disco è la risposta all’interrogativo. Una risposta che gronda musica vera e diretta, come Cale ci ha sempre, o quasi, abituati ad aspettarci da lui e come Clapton ha (quasi) sempre evitato di fare nella sua carriera solista. I primi anni del nuovo decennio sono forse tra i migliori per Slowhand che ci ha consegnato una serie di luminose collaborazioni che non possono non mettere in ombra tutti i suoi prodotti laccati e perfettivi dei decenni precedenti, indirizzate più al pubblico qualunquista che a chi ama la musica per davvero. Basta pensare ai tour con Derek Trucks, ai concerti con gli Allman Brothers, al ritorno con Winwood e a quello dei Cream, o ancora ai concerti recenti con Jeff Beck. The Road To Escondido si inserisce magnificamente in questo filone e ci propone una quindicina di ottimi brani, alcuni nuovi, altri tratti dal repertorio passato di Cale, qualcosina a firma Clapton e un blues di Brownie McGee. Il genere è quello solito, né più né meno, nessuna novità, solo due vecchi amici in stato di grazia che hanno voglia di divertirsi e lo fanno con una maestria unica. Al loro fianco una manciata di altri amici come Albert Lee, Taj Mahal, Derek Trucks, John Mayer (che firma con Clapton Hard To Thrill), Billy Preston nella sua ultima performance di studio, Pino Palladino e altri. Poco importa se tra i brani nuovi When The War Is Over suona esattamente come Call Me The Breeze, poco importa se Don’t Cry Sister e Anyway The Wind Blows non sono nuovissime, il disco suona incredibilmente bene, la presenza di Clapton si fa sentire in sede di produzione, ma senza strafare, e la sua chitarra dosa sapientemente gli interventi. C’è il country e c’è lo slow blues che da sempre è il marchio di fabbrica di J.J., e ci sono soprattutto questi due ispiratissimi amici. Dall’iniziale Danger alla finale Ride The River il disco scorre senza momenti di fiacca tanto che, per quel che può valere ai nostri occhi e alle nostre orecchie, si è guadagnato pure un Grammy come miglior disco di blues contemporaneo. E non poteva essere diversamente.

   

 

 
TRE NOVITÁ SU ETICHETTA MOONJUNE RECORDS

Sempre più versatili le proposte musicali dell’etichetta newyorchese che fa capo a Leonardo Pavkovic, innanzitutto grande fan dei Soft Machine e del movimento musicale a essi legato e il nome dell’etichetta la dice lunga in proposito. Dopo i primi dischi dichiaratamente connessi ai musicisti di quel gruppo, la Moonjune Records pubblica ora anche altri dischi che hanno la principale caratteristica di sfuggire a ogni catalogazione diretta. Non sfuggono a questa caratteristica nemmeno gli ultimi tre usciti.

 
BARRY CLEVELAND
Hologrammatonbarry cleveland
2010 Moonjune Records CD

Un disco di rock d’avanguardia in cui il chitarrista Cleveland si fa accompagnare da una variegata formazione che oltre alla cantante Amy X Neuburg, include una sezione ritmica e una pedal steel guitar suonata da Robert Powell (già con David Bowie e Jackson Browne). Hologrammaton è una sorta di concept in cui Cleveland riflette e fa riflettere sullo stato del mondo occidentale all’alba del ventunesimo secolo, stando in bilico tra momenti cupi da rock industriale e atmosfere più rilassate che costituiscono la parte miglior del disco: Stars Of Sayulita, Abandoned Mines e la cover, in puro stile Badalamenti, del brano di Malvina Reynolds What Have They Done With The Rain.

 
 

DENNIS REA
Views From Chicheng Precipice
2010 Moonjune Records CDdennois rea

Il prolifico chitarrista di Seattle che per la stessa Moonjune ha recentemente pubblicato con il gruppo Moraine (art rock) e con gli Iron Kim Style (free jazz) presenta ora questo personale omaggio alla Cina e al mondo orientale a cui è particolarmente legato. Un disco del tutto differente da quelli che lo hanno preceduto, differente e ugualmente affascinante, in cui la musica cinese e coreana si fondono con la strumentazione tipicamente occidentale e la chitarra elettrica di Rea, dando vita a una serie di brani che pur mantenendo molti elementi di carattere esotico vanno decisamente oltre la definizione di world music.

 
 

 

TOHPATI ETHNOMISSIONtohpati
Save The Planet
2010 Moonjune Records CD

Come nel disco di Barry Cleveland, anche qui il tema portante del disco è lo status del mondo attuale, o meglio del pianeta, ma a musicarlo è stavolta un gruppo indonesiano che fa capo al chitarrista Tohpati che, accompagnato da un ensemble di connazionali, realizza un disco di fusion moderna sapientemente mediata con leggeri colpi di progressive in cui chitarre elettriche e sintetizzatori si innestano senza molestare su strumenti tipici della tradizione indonesiana.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

CHEIKH LO
Jamm
2009 World Circuit/ I.R.D.517Vy8HvZBL__SL500_AA300_

 
Un disco formidabile. Non occorre essere dei patiti di musica africana per apprezzare l’ingegno di questo musicista senegalese, anche perché si commetterebbe una gran bella imprecisione. A differenza di molti artisti africani che propongono musica tradizionale, Cheikh Lo si schiera piuttosto a fianco di personaggi come Ali Farka Touré, o Youssou N’Dour, alla ricerca di una nuova sonorità moderna, che coinvolge strumenti e ritmi che non appartengono al patrimonio africano, ma sono tratti dal blues, dal rock, dal reggae e da molti altri generi ancora. Certo ci sono stati altri che hanno tentato questa via in precedenza, e continuano a reinterpretare la musica tradizionale dei loro paesi, fondendola con generi occidentali, ma è quantomeno raro incontrare un artista con questa varietà e questa freschezza, capace di giocare con i suoni in maniera originale e allo stesso tempo senza pretese e senza retorica. Non a caso proprio Youssou N’Dour ha creduto nelle straordinarie doti di questo troubadour senegalese producendo il suo primo disco 1996. Oggi a distanza di molti anni Jamm si presenta come un eccezionale punto di arrivo per il suo autore, soprattutto per il cantato di grandissimo pregio e per l’abilità nel cercare una sperimentazione sicuramente non delle più facili. Nella title track, dopo un’introduzione a base di percussioni africane, l’autore si sbizzarrisce in una brillante sovrapposizione di sonorità che va dai ritmi dal sapore cubano, alla chitarra funky, a un cantato in wolof in stile rythm and blues di grande efficacia. Allo stesso modo, in Seyni si può apprezzare la singolarità di un brano caribico cantato per metà in wolof; quando dopo il break incomincia la seconda parte in spagnolo, si ha davvero l’impressione di aver di fronte una figura di spessore che sarebbe un vero peccato liquidare come “nera africana”, per usare una definizione alla Franco Battiato. Particolarmente gradevole il finale del disco, con un brano come Bourama in perfetto stile afrobeat scritto a quattro mani con il sassofonista Pee Wee Ellis, che apre la strada al lento e malinconico congedo di Folly Cagni, una lenta ballata scandita solo dal basso, dalle percussioni e qualche accenno di chitarra: come un ritorno in Africa dopo un lungo viaggio attraverso le musiche del mondo.

Eugenio Goria 

 

 

BLACK CROWES
Croweology
2010 Silver Arrow 2CDblack_crowes
 

A confermare il buono, se non ottimo stato di salute della band dei fratelli Robinson, è giunto lo scorso agosto questo sconvolgente doppio antologico. Qualcuno dirà: ma come, un’antologia? Sì un’antologia. Una raccolta in cui vengono riletti e rivestiti in versione quasi acustica una ventina di brani pescati tra i migliori del repertorio dei corvi neri. Se i dischi precedenti erano stati due spettacolari live di brani inediti registrati informalmente presso gli studi di Levon Helm, a meno di un anno questo doppio di studio con le vecchie canzoni rilette è la definitiva consacrazione della band e la testimonianza della nuova linfa infusa da quel genio della sei corde che risponde al nome di Luther Dickinson. I suoni che scarutirscono dai solchi (sì esiste anche l’edizione in vinile, triplo) di questo prodotto sono affascinanti, avvolgenti, caldi: sia che si tratti di grandi successi che di brani minori, i Black Crowes arrangiano le loro canzoni con rigore, dando spesso vita a lunghe jam su cui pianoforte e chitarre ricamano code strumentali sconosciute. Non abbiate paura di ritrovarvi davanti a un doppione, questa sorta di antologia è qualcosa di completamente nuovo, ascoltate ad esempio la nuova veste sonora di Hotel Illness! E tutto senza che la band perda per un solo momento il proprio status di formazione rock. Nell’intro a base di pedal steel (Donnie Herron, un altro del giro Dylan, come nel disco precedente c’era Larry Campbell, sarà un caso?) chitarra acustica e armonica di Good Friday sembra di ascoltare i Pink Floyd. Welcome To The Good Times è un altro dei brani più riusciti del disco, e che dire di Thorn In My Pride, Bad Luck Blue Eyes Goodbye, Ballad In Urgency? Ci sono poi Cold Boy Smile che appariva solo sul live dei soli Chris e Rich Robinson e la struggente She, un grande brano di Gram Parsons. L’unica nota dolente è che il gruppo ha annunciato, dopo aver portato a termine in dicembre il lungo tour promozionale, di voler prendersi una pausa di durata indefinita, cosa che ci lascerà per un pezzo a bocca asciutta. Dimenticavo: con la prima stampa del disco è stato distribuito un singolo contenente altri due brani registrati durante le stesse session: Willin’ e Boomer’s Story, titoli che dovrebbero dirvi qualcosa…

 Paolo Crazy Carnevale

 

STING
Symphonicities
2010 Deutsche Grammophon CDsting

I riarrangiamenti sinfonici di un gruppo rock non sono certo l’idea più originale. Può sembrare una buona idea, ma ormai se ne sono viste di tutti i colori, a volte ai limiti del cattivo gusto. Eppure, questa nuova raccolta di versioni inedite dei successi di Sting non riesce a non convincere: è quasi emozionante riscoprire in una nuova chiave dei brani che ormai sembravano dei pezzi da museo come Roxanne o Englishman In New York. A rendere brillante il disco è quella sana compostezza britannica di cui Sting è maestro: invece di pompose tirate wagneriane, l’autore ha preferito un tocco più da camera, sfruttando la Filarmonica di Londra e gli altri due ensemble presenti in modo sobrio e funzionale ai brani scelti. Relativamente poco è lo spazio concesso ai vecchi successi, ma forse è meglio così: mentre Roxanne è un pezzo ben riuscito, ma privo dell’energia dell’originale, Every Little Thing She Does Is Magic lascia un po’ a bocca asciutta, e anche dal grande classico Englishman In New York ci si aspetta in definitiva qualcosa di più; molto piacevole è invece Next To You, che traduce ma non altera la carica del brano. Sentendo il disco si ha cioè l’impressione che i brani più celebri non siano i più indicati per un rimaneggiamento del genere: fanno una figura di certo migliore quei brani che per il loro tono pacato e quasi meditativo calzano sicuramente di più in una veste colta e meno immediata: I Hung My Head è quasi meglio dell’originale, con un ritornello che trascina al primo ascolto, così come I Burn For You, che presenta un arrangiamento tutto da scoprire. Chiude il disco The Pirate’s Bride, un brano del 1996 estremamente malinconico e accattivante. Valore aggiunto dell’ intero lavoro la partecipazione della cantante Jo Lawry, che proprio in questo brano dà il meglio.

Eugenio Goria

 

OZZY OSBOURNE
Scream
2010 Sony Music CDozzy

Decimo album in studio per l’ex leader dei Black Sabbath che a sessant’anni compiuti continua a stupire, dandoci lavori di ottima fattura come il precedente Black Rain che ha ottenuto ottimi riscontri di vendite, favoriti da tour mondiali che confermano lo stato di grazia del Prince Of Darkness, sempre vivo e vegeto malgrado decenni di abusi in ogni senso. Si tratta anche del primo album senza il grande chitarrista Zakk Wylde, con lui dall’incisione di No Rest Of The Wicked del 1998. Il disco è uscito in Europa lo scorso 11 Giugno con la produzione del fido Kevin Churko e, con i trainanti singoli Let Me Hear Your Scream e Let It Die, ha subito raggiunto tutte le top ten mondiali, grazie a concerti che hanno confermato l’incredibile carisma dal vivo del Mad Man e della sua band. Inciso ai Bunker Sudios di Los Angeles ci offre undici nuovi brani composti da Ozzy e Churko, e quattro col tastierista Adam Wakeman. Il resto della band è formato dal batterista di origine greca Tommy Clufetos, ex Alice Cooper e Ted Nugent, dal bassista Rob Nicholson e dal chitarrista Gus G, ex Firewind, non geniale come Zakk (un vero mito) ma graffiante e con un suono potente e aggressivo. Let It Die e Let Me Hear Your Scream sono stupende con il loro suono grintoso e coinvolgente, ma non sono da meno le durissime Soul Sucker e Crucify, o le ballate elettroacustiche Time e Life Won’t Wait, con la voce di Ozzy sempre stupenda e accattivante. Grande e basta, mai nostalgico. Al recente Ozz Festival di Boston ha avuto una interminabile standing ovation dai suoi fan.

 Daniele Ghisoni

  

 

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THE HOOTERS

Time Stand Still
2007 Hooter Music CD

Gli Hooters, americani di Philadelphia, sono attivi fin dal 1980, sia pure con una pausa di sei anni (dal 1995 al 2001). I quattro quinti della formazione sono assieme fin dal 1983 e l’ultimo entrato in ordine di tempo, dopo vari avvicendamenti allo strumento, è il bassista Fran Smith Jr. Il gruppo del cantante/ chitarrista Eric Bazilian e del cantante/ tastierista/ fisarmonicista Rob Hyman (incredibile come assomigli al direttore del Mucchio Selvaggio Max Stefani), autore quest’ultimo di un pregevolissimo album solista assolutamente da riscoprire, Largo, ha pubblicato finora solo sette album, il penultimo dei quali (ultimo in studio) è questo Time Stand Still. Oltre ai tre già citati il gruppo è completato dal batterista David Uosikkinen e dal chitarrista/ mandolinista John Lilley. Questa è una band formata da provetti musicisti, molto esperti, che suonano però per il puro piacere di farlo, con un entusiasmo da debuttanti. Il suono è infatti fresco e decisamente positivo e orecchiabile. Mette di buon umore. A partire dai due gradevolissimi pezzi posti in apertura di CD, I’m Alive e il brano che dà il titolo a tutto il lavoro. Si prosegue con una raffinatissima cover di un vecchio successo del Don Henley solista, The Boys Of Summer. A parte questo brano, le composizioni portano tutte la firma della coppia Hyman/ Bazilian, e che questi siano in grado di comporre brani piacevoli e in grado di restare a lungo in testa, senza però essere commerciali nel senso deleterio del termine, è fuori discussione. Ricordate Time After Time, il successo di Cindy Lauper interpretato da moltissimi artisti, dalla sfortunata Eva Cassidy all’immenso Miles Davis? Bene, porta la firma di Rob Hyman. Until You Dare è una ballata di gran classe, Morning Dew è folk con chiare influenze irish. Splendida poi Where The Wind May Blow con le due voci che riportano agli anni ‘60 e un intro di chitarra che mi ricorda, giuro, non sono impazzito, The Reaper dei Blue Oyster Cult. Ordinary Lives è la più bella canzone che i Jayhawks non hanno mai scritto (nel testo vengono citati Il Giovane Holden e Lucy In The Sky With Diamonds). Il compito di chiudere il lavoro, prima dell’immancabile hidden track, è affidato alla lunga Free Again, gran ballata pianistica, interpretata al solito in modo impeccabile. Davvero molto bella. In definitiva, un disco che fa trascorrere in modo molto piacevole una cinquantina di minuti. Assolutamente consigliato. Concludo ponendomi una domanda. Si mangerà bene al ristorante/ trattoria Totaro’s?

 Gianfranco Vialetto       

 

STEVE WALSH
Shadowman   
2005 Muse Wrapped Records CDSWalshShadow_cop

Steve Walsh è famoso per essere stato il cantante/ tastierista dei Kansas nel loro periodo di maggior fulgore. Autore di un paio di discreti album solisti, uno del 1980, Dreamer Schemer, e l’altro, sicuramente prescindibile, Glossolalia, pubblicato nel 2000. Reclutati pochi ma fidati amici come il chitarrista e bassista Josh Kosche, il batterista ex Twisted Sister Joe Franco, nonché il violinista dell’ultima incarnazione dei Kansas, David Ragsdale più, direttamente dai Symphony X, Michael Romeo se ne esce nel 2005 con un lavoro sorprendente, questo Shadowman. Sorprendente perché va ben oltre il canonico suono del gruppo di provenienza del nostro, inserendo molte sonorità assolutamente moderne e in linea con i tempi. Si resta piacevolmente spiazzati fin dal brano di apertura, Rise, che costruisce un ponte fra i Kansas e un gruppo come gli A Perfect Circe. Ancora più bello il brano che dà il titolo all’album, dura ballata hard/prog/industrial che suona come se il  Peter Gabriel dei primi album solisti avesse avuto come gruppo spalla i Nine Inch Nails. Stupenda, fino alla coda finale dove si sente il tocco delle orchestrazioni di Michael Romeo. La cosa strana di questo disco, lavoro come dicevamo di un tastierista, è che le tastiere non sono affatto dominanti, tutt’altro, ma svolgono egregiamente il loro compito al servizio delle canzoni, senza essere assolutamente invadenti. Si prosegue con alcuni grandi hard rock chitarristici come Davey And The Stone That Rolled Away, Keep On Knockin’ e la ritmatissima Hell Is Full Of Heroes. Pages Of Old è una piacevole ballata chitarristica; la lunga cavalcata After potrebbe provenire da uno dei primi album dei Kansas, come Masque o Songs Of America, se questi fossero pubblicati oggi, con anche alcune influenze, non disturbanti, di rock sinfonico alla Nightwish. Comunque molto bella e particolare. La chiusura è affidata al brano più convenzionale del lotto, la piacevolissima ballata The River, degna conclusione di un album al di là delle più rosee aspettative. Steve Walsh ha forse perso negli anni un po’ della sua estensione vocale (che l’aveva fatto invitare da Steve Hackett per cantare un paio di brani nel suo bell’album solista Please Don’t Touch), ma sicuramente ha guadagnato moltissimo come maturità in fase compositiva. Speriamo si conservi a lungo così.

 Gianfranco Vialetto

 

 

DIRE STRAITS
Sultans Of Swing The Very Best
2010 Vertigo 2CD + DVD dire straits

La band si forma a Newcastle nel 1977 e poi si trasferisce a Londra, con David Knopfler, il fratello Mark, e gli amici John Illsey, basso e Pick Withers, drums.Iin piena era punk i Dire Straits (letterariamente “terribili ristrettezze”) riuscirono a creare una sonorità unica, unendo il classico rock & roll a influenze country, jazz, swing e blues, grazie anche alla loro notevole capacità strumentale e compositiva che li fece diventare in poco tempo famosi in tutto il mondo. In particolare, i due primi album, Dire Straits e Communiquè, sono piccoli gioielli del genere, supportati da singoli che ormai fanno parte della storia della musica rock, da Tunnel Of Love a Romeo And Juliet, da Local Hero a Sultan Of Swing, solo per citarne alcuni. Questa raccolta fu pubblicata dalla Vertigo nel 1998 come album singolo con sedici brani, ovviamente i più famosi della band, oltre a due tracce live, Your Latest Trick e Local Hero/ Wild Theme. Visto il successo fu ripubblicata in doppio CD, con il disco originale sul primo e sul secondo un concerto inedito registrato a Londra nel 1996 durante il Golden Heart Tour contenente sette brani, e con versioni strepitose di Romeo And Juliet, Sultan Of Swing e Brothers In Arms. La ultimissima versione è questo lussuoso cofanetto con booklet allegato, a prezzo veramente contenuto, con i due CD già citati e uno stupendo DVD contenente sedici canzoni dal vivo, tratte da vari concerti con brani lunghi e dilatati, con grande spazio ai solismo dei musicisti, con Mark in grande spolvero con la sua chitarra e con la sua voce roca e personalissima: Sultan Of Swing, Romeo And Juliet, Tunnel Of Love, Calling Elvis, Love Over Gold e Heavy Fuel ci faranno sempre sognare.

Daniele Ghisoni

 

 

TOM FREUND
Collapsible Plans
2008 Surf Road Rcords CDtomfreund

Tom Freund non è uno di quei cantautori di cui si sente parlare molto dalle nostre parti. E sì che a cavallo tra gli anni ‘90 e il terzo millennio, sulle nostre coste sono approdati molti nomi di nicchia o addirittura illustri sconosciuti del cantautorato americano che senza troppa arte e parte si sono guadagnati gli onori della cronaca sulla stampa italiana. Tom Freund sarebbe sicuramente svettato orgogliosamente e giustamente sopra le loro teste. Questo Collapsible Plans è il suo quarto disco, ma ciò non deve far pensare che la sua carriera sia iniziata da poco, si tratta solo di uno molto rilassato, che a volte preferisce mettere sul mercato degli EP con cinque canzoni anziché attendere di averne abbastanza da fare un disco completo. Questione di punti di vista. Questo suo sforzo del 2008 lo vede collaborare col suo amico di sempre, quel Ben Harper con cui all’inizio degli anni ‘90, quando Harper era ancora uno sconosciuto, aveva registrato un vinile tutto acustico a tiratura limitata che ricalcava le orme di Taj Mahal (e qui scatta la sfida agli indefessi cacciatori di vinile, pare che la tiratura fosse di appena duemila copie). Nel disco di cui mi accingo a parlare Harper siede in veste di produttore e compare in quasi tutti i brani. Questo impreziosisce non poco un disco che comunque già di suo brilla per l’intimità delle composizioni e per le atmosfere molto tranquille, ma mai soporifere. Si tratta proprio di un bel disco, io ho dovuto darmi il mio da fare per trovarlo su ebay in edizione giapponese (!) a un ottimo prezzo. La title track, che apre il disco è già un grande assaggio della bontà di cui sopra, e poi gli altri titoli si susseguono con gusto, notevole è Can’t Cry Hard Enough, in cui Freund suona tutto lasciando la batteria a Michael Jerome (quello che da alcuni anni accompagna Richard Thompson), e che dire di Why Wyoming, in cui le voci che accompagnano Freund sono quelle di Harper e Jackson Browne (quest’ultimo anche al piano) o Copper Moon (con gli stessi accompagnatori). In altri brani Harper ricama con la sua national guitar, con la lap steel, suona addirittura la batteria, lasciando interventi tangibili e preziosi (Without Her I’d Be Lost). Il disco, nella mia edizione nipponica, contiene anche due bonus track di grande spessore: una cover di Thank You, quella dei Led Zeppelin, prodotta da Danny Kalb, e una versione live di Copper Moon in cui è ancora presente Harper. Fateci un pensierino, magari anche un po’ grosso…

Paolo Crazy Carnevale

RICHARD THOMPSON
Dream Attic
2010 Proper CDDream_Attic

Non so se “riff” sia il termine appropriato parlando della chitarra di Richard Thompson, ma una cosa è certa l’attacco del primo brano di questa nuova fatica discografica del chitarrista inglese è proprio uno di quei tipici “riff” alla Thompson. Un grande riff iniziale per un grande disco, seppur torrenziale e lunghissimo, come da tempo Richard Thompson ci ha abituati, forse la sua prova migliore dai tempi di Mock Tudor e della colonna sonora di Grizzly Man. Questo grande artista è uno di quelli che con cadenza biennale torna nei negozi con le sue nuove canzoni, ma stavolta lo fa in modo diverso: Dream Attic è un disco dal vivo composto esclusivamente da nuovi brani. Una scelta insolita, pare dettata dal voler risparmiare sulle spese di produzione. Comunque sia, Thompson, è qui accompagnato dagli abituali partner degli ultimi anni, in particolare il polistrumentista Pete Zorn e il prodigioso e metronomico batterista Michael Jerome. Inutile dire che il disco è tutto registrato negli Stati Uniti, dal momento che i concerti europei col gruppo sono davvero mosche bianche (come le esibizioni milanesi di qualche tempo fa). Il disco è superiore alle pur positive recenti prove del chitarrista, forse per via della bontà del materiale, forse per l’impatto dell’esecuzione live. Richard è in forma notevole, la sua voce e la sua chitarra dominano il disco consegnandoci suoni sempre apprezzati e provenienti spesso da lontano. Sì, perché in questo disco i richiami al passato sono molti, sia a certe composizioni di quando girava in tandem con Linda (ascoltate Burning Man), sia addirittura ai fasti folk rock dei Fairport Conventin, grazie all’inserimento di strumenti tradizionali (flauti, mandolini, violino, quest’ultimo suonato da Joel Zifkin) come nella spiritosa Here Comes Geordie, un brano il cui testo ironizza (con la tipica maestria di Thompson) su certi eccessi di Sting (il Geordie del titolo). Il disco è disponibile anche in edizione doppia, con un bonus CD che raccoglie le tredici tracce in versione semi acustica: viene presentato come la versione demo dei brani inclusi nella parte live, ma vi assicuro che ascoltandolo si ha la sensazione di avere a che fare con brani fatti e finiti, e che brani! In questa versione Dream Attic ha dalla sua il fatto di durare un po’ di meno, risultando più fruibile, ma l’unica cosa innegabile che emerge dall’ascolto è che in una versione o nell’altra ci troviamo davvero davanti ad un grande disco.

Paolo Crazy Carnevale