Posts Tagged ‘Steve Hackett’

STEVE HACKETT: Torino, Teatro Colosseo, 15.11.2022

di Paolo Baiotti

20 novembre 2022

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Steve ha sempre avuto un ottimo rapporto con il nostro paese. In particolare, da quando ha ripreso a portare in giro il repertorio dei Genesis degli anni settanta (ne è stato il chitarrista dal ’71 al ’77), è sempre passato per l’Italia con numerose date. uesto Il recente tour “Genesis Revisited: Foxtrot Fifty + Hackett Highlights” iniziato a settembre a Swansea in Galles, dopo più di 20 date inglesi ha attraversato l’Italia con sei appuntamenti e proseguirà in Canada e negli Stati Uniti per tornare in Europa in primavera.

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Accompagnato da una band solida e collaudata che comprende dal 2013 il cantante Ned Sylvan, dal 2001 il tastierista Roger King e il polistrumentista Rob Townsend al sax, flauto, tastiere e percussioni, nonchè la sezione ritmica formata dal bassista Jonas Reingold (dal 2018) e dal batterista Craig Blundell (dal 2019), Steve ha diviso lo spettacolo in due set: il primo incentrato sulla carriera solista, il secondo sulla ripresa integrale di Foxtrot. La prima parte ha confermato l’incostanza della produzione solista, che dopo un inizio promettente con album come l’esordio Voyage Of The Acolyte del ‘75 e il terzo disco Spectral Mornings del ’79 si è un po’ persa con tentativi in direzioni diverse non sempre riusciti. Non è un caso che siano stati ripresi tre brani dall’esordio: lo strumentale Ace Of Wounds che ha aperto la serata, l’inquietante A Tower Struck Down riarrangiata con Rob al sax e clarinetto e la maestosa e melodica Shadow Of The Hierophant, che era stata proposta ai Genesis per Foxtrot e rifiutata, con una chitarra espressiva in primo piano. Da Spectral Mornings sono state scelte la title track strumentale caratterizzata da una splendida linea melodica e Any Day, brano ritmato con un testo contro la droga e una notevole coda chitarristica. Due sole le tracce da altri album: la pomposa The Devil’s Cathedral da Surrender Of Silence del 2021 e Camino Royale da Highly Strung dell’83 in bilico tra rock e jazz, cantata dallo stesso Hackett che non è un vocalist particolarmente dotato.

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Dopo una breve pausa la band è tornata sul palco per eseguire Foxtrot, il quarto album dei Genesis, il primo ad entrare in classifica in Gran Bretagna (n.12) mentre il Italia raggiunse il n. 15 come in Francia. L’introduzione dell’epica Watcher Of The Skies da parte delle tastiere di King ha emozionato il foltissimo pubblico che attendeva soprattutto questo momento. L’esecuzione è stata degna di quelle dei Genesis con un’interpretazione all’altezza da parte di Sylvan, che non ha grande personalità, ma come voce ricorda Peter Gabriel e lo sostituisce egregiamente. La pianistica ballata Time Table, che i Genesis credo non abbiamo mai eseguito dal vivo, ha preceduto Get’Em Out By Friday con il suo testo di satira sociale, la prima parte ritmata e la seconda più lenta in cui Sylvan ha confermato le sue doti in un ruolo non agevole e Can-Utility And The Coastliners, una ballata composta quasi interamente da Steve che cresce strumentalmente nel segmento centrale con alcuni cambi di ritmo.

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Dopo il breve intermezzo strumentale acustico di Horizons, ispirata da un preludio di Bach, è il momento della suite di Supper’s Ready che occupa l’intera seconda facciata del disco divisa in sette parti, una delle più famose dell’epoca prog al pari di Echoes dei Pink Floyd. Già eseguita in passato da Hackett, è stato un tuffo negli anni settanta, poco meno di mezz’ora da brividi, interpretata in modo impeccabile fino all’ultima parte (As Sure As Eggs Is Eggs), con un assolo finale prolungato di Steve che ha provocato una lunga ovazione. Dopo una breve pausa il piano di King ha introdotto la magnifica Firth Of Fifth da Selling England By The Pound con il sublime assolo centrale di Hackett. Uno spazio solista della batteria sfocia nel tema di Los Endos che chiude il concerto, con l’inserimento tra le due parti del brano dello strumentale Slogans (un po’ caotico) da Defector dell’80. Al termine di una serata inappuntabile anche per la qualità del suono, applausi interminabili per Steve sempre in ottima forma e per la band.

Paolo Baiotti

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Rock & Pop, le recensioni di LFTS/30

di Paolo Baiotti

10 dicembre 2013

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MIAMI & THE GROOVERS

NO WAY BACK

CD + DVD         2013            Miami & The Groovers

 

Tredici anni di storia, tre dischi e due ep in studio, un bootleg live, migliaia di chilometri e centinaia di concerti in Italia e all’estero…tutto questo è riassunto in No Way Back, eccellente doppio audio e video che celebra quanto il quintetto riminese ha costruito con passione, pazienza e tanto sudore. Era ora che pubblicassero un live perché se c’è un gruppo rock italiano che sembra nato per suonare dal vivo sono proprio loro. Lorenzo Semprini ha un entusiasmo e un sorriso contagioso, forse non è ancora riuscito a togliere dal suo inglese un fondo di accento romagnolo, ma è un vocalist notevole e un uomo da palcoscenico, Beppe Ardito è un chitarrista concreto ed essenziale, capace di alternare schitarrate punk ad assoli romantici e drammatici, la sezione ritmica di Marco Ferri e Luca Angelici è pulsante e scattante come deve essere e le tastiere di Alessio Raffaelli (che si divide tra Miami e i Cheap Wine) fanno da collante ritagliandosi spazi importanti e ben sfruttati. No Way Back è stato registrato nella bomboniera del Teatro Comunale di Cesenatico il 23 e 24 marzo di quest’anno davanti ad un pubblico che merita di essere citato, perché il rapporto tra questo gruppo e i fans è stretto, viscerale, affettuoso, famigliare (c’è anche un sito: http://www.miami-supporters.com/index.asp), un piccolo fenomeno italiano che ricorda quello che accade su scala ovviamente diversa a Bruce Springsteen…da sempre la principale ispirazione di Semprini che due anni fa ha coronato il sogno di dividere un palco con Bruce ad Asbury Park durante i concerti del Light Of Day. Ma la musica dei Groovers, se è vero che è partita idealmente dal New Jersey, ora ha una sua peculiarità e una validità che prescinde dalle ispirazioni che oltre al Boss si riallacciano da un lato alla tradizione del folk e del rock cantautorale americano da Tom Petty a John Mellencamp, dall’altro alla rabbia del punk di Clash e Ramones e all’irish rock di Pogues e Flogging Molly. Alla festa di Cesenatico hanno partecipato numerosi amici: Daniele Tenca, Riccardo Maffoni, Renato Tammi, ma i veri protagonisti sono i Groovers e la loro musica, filmata e registrata con professionalità degne delle migliori produzioni internazionali. La scaletta con alcune differenze tra la parte audio e video, privilegia il recente terzo album Good Things eseguito quasi interamente, ma pesca generosamente anche dai due dischi precedenti oltre a qualche cover inedita. Spiccano la drammatica opener Always The Same, introdotta dal piano liquido di Raffaelli e chiusa da un assolo epico di Ardito, l’intensa ballata pianistica Lost, l’irish rock di Tears Are Falling Down e We’re Still Alive, il rock and roll di Jewels And Medicines che ricorda i gloriosi Mott The Hoople, l’aspra e intensa Sliding Doors dominata dalla chitarra espressiva e potente di Ardito, il trascinante singolo Good Things, la ballata springsteeniana It Takes A Big Rain, la grintosa Walkin’ All Alone, una rilassata Redemption Song cantata da Beppe con l’accompagnamento della fisarmonica di Raffaelli, il mid-tempo pianistico It’s Getting Late che si trasforma in una cavalcata chitarristica nell’infuocato finale e la filastrocca Merry Go Round che chiude la serata con un abbraccio tra spettatori e gruppo.       

 

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STEVE HACKETT

GENESIS REVISITED: LIVE AT HAMMERSMITH

3 CD + 2 DVD   2013   Inside Out

 

Partiamo da una considerazione: per ritornare in classifica e riempire teatri e palazzetti Steve Hackett ha dovuto riproporre il materiale storico dei Genesis degli anni settanta. Se escludiamo i primi progetti solisti, in particolare Voyage Of The Acolyte, Spectral Mornings e Cured, il chitarrista ha ritrovato un pubblico di una certa entità con Genesis Revisited nel ’96, il live The Tokyo Tapes nel ’99 e il recente Genesis Revisited II. Dal relativo tour è stato tratto questo sontuoso disco dal vivo registrato all’Hammersmith Apollo il 10 maggio del ’13 in una serata speciale con numerosi ospiti, racchiuso in tre compact audio e in due dvd, uno con il concerto completo, l’altro con interviste e immagini del backstage. Bisogna anche dire che il chitarrista ha tutto il diritto di suonare questo materiale…in fondo è l’unico del quintetto dell’epoca interessato a farlo, visto che Peter Gabriel ha altri interessi musicali (e probabilmente non sarebbe più in grado di cantare questi brani), Phil Collins si è ritirato o quasi, Mike Rutherford ha riformato i modesti Mike & The Mechanics e Tony Banks compone partiture di musica classica. Insomma una reunion del quintetto di Nursery Crime e Foxtrot appare improbabile se non impossibile per cui Hackett sembra l’unica alternativa credibile alle numerose cover band a partire dai popolarissimi canadesi The Musical Box. E poi Steve ha dimostrato grande rispetto per la musica della band, chiamando musicisti di qualità e creando uno spettacolo di livello eccellente che è stato accolto con entusiasmo da un pubblico formato non solo da nostalgici che ha consentito di annunciare più di trenta date anche per il prossimo anno. Il gruppo comprende il cantante svedese Nad Sylvan (ex Unifaun e Agents Of Mercy) che si è dimostrato un ottimo sostituto di Gabriel e Collins pur non essendo un clone, le tastiere di Roger King, la batteria e voce di Gary O’Toole, sax, flauto e percussioni di Rob Townsend  (collaboratori di lunga data di Hackett) e il basso di Lee Pomeroy. Il concerto ripercorre la storia dei Genesis da Nursery Crime del ’71 a Wind And Wuthering del ’76 con esecuzioni simili a quelle in studio, con qualche variazione strumentale che rispetta sempre la partitura originale. Hackett è timido e riservato, ma il suono della sua chitarra è unico, melodico e romantico come quarant’anni fa. La maestosa opener Watcher Of The Skies, una superba The Lamia con la voce di Nik Kershaw e un duetto tra le chitarre di Hackett e di Steve Rothery dei Marillion, l’epica Shadow Of the Hierophant, unico brano della carriera solista, composto con Mike Rutherford per Voyage Of The Acolyte, mi sembrano le tracce più brillanti del primo dischetto che si chiude con il primo dei quattro brani del secondo lato di Wind And Wuthering,  Blood Of The Rooftops cantato dal batterista O’Toole. Il secondo disco si apre con gli strumentali Unquiet Slumbers For The Sleepers e In That Quiet Earth seguiti dalla ballata Afterglow con la voce inconfondibile di John Wetton. La corale Entangled e la complessa Eleventh Earl Of Mar precedono il gran finale con la suite Supper’s Ready eseguita alla perfezione. Sul terzo dischetto ci sono i due bis, la memorabile Firth Of Fifth da Selling England By The Pound con l’intro di piano che i Genesis eseguivano raramente dal vivo e uno degli assoli più belli della carriera di Hackett e il finale epico dello strumentale Los Endos arrangiato con qualche variazione. La qualità audio e video è eccellente. Non è un disco indispensabile, ma questa musica continua ad avere un fascino innegabile e non solo su chi ha vissuto l’epoca d’oro del rock progressivo. 

 

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STEVEN WILSON

DRIVE HOME

CD/DVD        2013    Kscope   

 

Questo non è il nuovo album di Wilson, bensì un’appendice dello splendido The Raven That Refused To Sing, considerato da molti il miglior album di rock progressivo di quest’anno. Leader dei Porcupine Tree e dei Blackfield, impegnato in altri progetti con i No Man e i Bass Communion, produttore e ingegnere del suono scelto da Robert Fripp per rimixare i dischi dei King Crimson e da Ian Anderson per quelli dei Jethro Tull, Wilson è il protagonista n.1 della scena prog contemporanea. A pochi mesi dal grande successo del recente album, il terzo in studio della sua carriera solista dopo Insurgentes e Grace For Drowning, esce Drive Home, un doppio (cd + dvd) che riprende da The Raven l’omonima ballata triste e malinconica con un assolo di chitarra magnifico tra Pink Floyd e Genesis più romantici, sia in versione audio (più breve) che video con un commovente cartone animato di Jess Cope. La parte audio aggiunge l’inedita The Birthday Party, traccia nervosa vicina agli Yes più contorti con qualche venatura metal, la versione orchestrale di The Raven That Refused To Sing, ancora più maestosa rispetto all’originale e quattro ottimi brani registrati dal vivo a Francoforte. Il primo è The Holy Drinker, una minisuite aperta da tastiere dissonanti, con un ritmo intenso tra prog e jazz con batteria in controtempo, un assolo di sax e cambi di atmosfera inquietanti che portano ad un finale quasi metal, seguito dalla ballata intimista Insurgentes, introdotta da un piano melodico, quasi sospesa, con un puntuale intervento di flauto. Non poteva mancare la title track dell’ultimo album, tesa nella sua morbidezza con un crescendo strumentale lento e avvolgente che sfocia nel maestoso finale, mentre The Watchmaker è un altro brano complesso introdotto da Wilson alla chitarra acustica, che prosegue con una sezione guidata da un mellotron floydiano e successivi cambi di ritmo che comprendono tra l’altro un assolo contorto di chitarra di Guthrie Gowan, un break di piano, un’altra sezione vocale sussurrata e un finale drammatico molto heavy. Il dvd comprende gli stessi brani live, permettendoci di visualizzare i giochi di luci utilizzati per accompagnare la musica e il dolente cartone animato di The Raven That Refused To Sing, video proiettato anche durante i concerti del tour mondiale. Un doppio forse non indispensabile, ma altamente consigliato a chi ha apprezzato i dischi solisti di Wilson. 

 

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JJ GREY & MOFRO

THIS RIVER

CD      2013    Alligator

 

Dopo l’esplosivo live Brighter Days uscito in edizione doppia audio e video, l’artista della Florida prosegue nel suo cammino sulle strade del soul e del rhythm and blues permeate di sapori sudisti. This River è il sesto album in studio, a tre anni da Georgia Warhorse e dimostra quanta strada ha percorso JJ dall’esordio indipendente Blackwater del ’01, ristampato dalla Alligator nel ’07 unitamente al successivo Lochloosa. Grey è uno dei migliori cantanti soul del nuovo millennio, ha un voce potente, ben modulata ed espressiva, perfetta per il repertorio dei Mofro, sestetto comprendente Anthony Cole (batteria), Todd Smallie (basso), Andrew Trube (chitarra), Anthony Farrell (tastiere), Art Edmaiston (sax) e Dennis Marion (tromba) che si destreggia abilmente tra soul, funky e errebi con qualche accenno al rock sudista dei Black Crowes. E’ musica fatta per esplodere dal vivo come dimostra Brighter Days, ma anche in studio i ragazzi se la cavano egregiamente, riuscendo a mantenere l’energia e la carica delle esibizioni live. This River è dedicato al St. John’s River, il fiume che scorre nei dintorni di Jacksonville dove JJ ha trascorso gran parte della sua vita. Il disco è stato registrato in zona a St. Augustine, quasi interamente dal vivo in studio, senza sovraincisioni. Il punto forte dei Mofro sono le ballate intrise di soul che anche in questo disco non mancano, a partire da The Ballad Of Larry Webb, splendido slow con una slide morbida e un impasto elettroacustico, proseguendo con la sofferta Write A Letter per finire con la maestosa This River, una richiesta di aiuto al fiume dolente e melanconica che si sviluppa con un crescendo guidato dai fiati e dalla voce notevole di Grey. Anche le tracce ritmate scorrono piacevolmente: Your Lady è un intenso funky nel quale si inseriscono chitarra e armonica bluesate, Somebody Else e Tame A Wild One rhythm and blues trascinanti con i fiati in ritmica, 99 Shades Of Crazy un funky stonesiano. Non sfigurano neppure il mid-tempo soul di Standing On The Edge e l’aspra Harp & Drums introdotta dall’armonica seguita da una chitarra funky e dai fiati prima di una parte cantata con voce filtrata che sfocia in una brillante sezione strumentale jammata, mentre mi lascia perplesso il funkaccio Florabama cantato con un falsetto alla Prince. Complessivamente un buon disco che conferma JJ Grey & Mofro come una delle migliori formazioni di soul bianco del momento.   

 

 

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GUY DAVIS feat. Fabrizio Poggi

JUBA DANCE

CD      2013    Dixiefrog/MC Records

 

Guy Davis è uno dei migliori interpreti contemporanei della tradizione blues. Figlio di artisti e attivisti, nato a New York nel ’52, ha registrato il suo primo album nel ’78, poi ha scelto la carriera di attore teatrale e televisivo per alcuni anni, tornando alla musica acustica country-blues con influenze folk con Stomp Down River nel ’95. Da allora ha proseguito con coerenza la sua storia musicale con otto album in studio fino a questo Juba Dance, una collaborazione con il nostro armonicista Fabrizio Poggi, che ha anche coprodotto l’album registrato quasi interamente a Bergamo negli studi Suonovivo con l’ingegnere del suono Dario Ravelli. Alternando tracce soliste a duetti con Poggi, Davis traccia un percorso di rivisitazione del blues acustico con materiale originale scritto come tributo ai grandi del passato che lo hanno ispirato (Son House, Sonny Terry, Mississippi John Hurt) e con qualche cover eseguita con rispetto e passione. Un disco pregevole nel quale spiccano la voce roca e il fingerpicking di Guy spesso accoppiate alla scattante armonica di Fabrizio, che negli ultimi anni è uscito dalla dimensione nazionale, acquisendo esperienze e consensi di grande prestigio con dischi pregevoli come Spirit & Freedom e Mercy. Il ritmato folk di Lost Again apre il dischetto con entrambi i protagonisti all’armonica, seguito da My Eyes Keep Me In Trouble, scattante blues di Muddy Waters. La ballata Love Looks Good On You mi ha ricordato il miglior Kaukonen, mentre il tradizionale Some Cold Rainy Day è arricchito dalla voce gospel di Lea Gilmore. See That My Grave Is Kept Clean è bella per conto suo, ma il banjo di Guy e le voci degli inossidabili Blind Boys Of Alabama rendono questa versione particolarmente incisiva. Nel prosieguo spiccano Black Coffee, tributo a John Lee Hooker con Poggi in primo piano, Did You See My Baby, tributo a Sonny Terry che dal vivo viene interpretato teatralmente, lo spledido folk blues That’s No Way To Get Along del Rev. Robert Wilkens e il country blues Prodigal Son nella versione di Josh White.