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SIMAK DIALOG – Live At Orion

di Paolo Crazy Carnevale

30 settembre 2015

simak dialog live at orion

SIMAK DIALOG
Live At Orion
(Moonjune 2015 2CD)

Sesto disco per questa formazione prodotta dalla Moonjune Records, un doppio dal vivo come c’è di solito da aspettarsi da un gruppo che è sulla breccia da oltre dieci anni, un doppio dal vivo che è la consacrazione del lavoro svolto nell’ambito della fusione tra musica tradizionale e un certo modo di fare jazz abbastanza in linea con i titoli del catalogo della label newyorchese. A condurre le danze sono soprattutto il chitarrista Tohpati, titolare di una parallela carriera come solista o leader di altre band, ed il pianista/tastierista Riza Arshad , ispirato musicista che col suo Fender Rhodes tesse le intelaiature della musica del gruppo: i due, entrambi indonesiani, hanno unito le forze a quelle di Endan Ramdan e Cucu Kornia, specialisti di percussioni tipiche della zona di Java, realizzando un prodotto dalle mille sfaccettature, come il live testimonia.

Alcune composizioni nella dimensione live subiscono dilatazioni molto evidenti, come dimostra 5,6 che sul precedente disco di studio durava meno di cinque minuti mentre qui supera ampiamente gli undici, altre erano già lunghe suite nella versione di studio, ma dal vivo acquistano una dinamica più coesa. Throwing Words ha qua e là persino spunti zappiani, Lain Parantina forse un po’ troppo rumoristica, ma Once Has To Be (in origine sul CD Patahan del 2007) è un’autentica forza. Sul secondo disco This Spirit rasenta i venti minuti e spazia con la chitarra di Tohpati che scorre fluida su un tappeto di percussioni rafforzato da Erlan Suwardana passando da atmosfere molto jazz-rock di stampo classico a momenti più free meno digeribili.

Il disco è stato registrato a Baltimora nel settembre 2013, all’Orion, durante il tour promozionale di The 6th Story.

Rock & Pop, le recensioni di LFTS/29

di Paolo Crazy Carnevale

5 novembre 2013

ry cooder corridos

RY COODER AND CORRIDOS FAMOSOS

Live

Nonesuch/Perro Verde 2013

Non è il nuovo disco di Ry Cooder, nel senso che non si tratta di una registrazione di quest’anno, però è un grande live della storia recente di Cooder, risalente alla promozione del suo penultimo lavoro di studio. Ascoltandolo si ha la sensazione che Ry abbia perso del gran tempo per tutti gli anni ottanta e novanta, dedicandosi quasi esclusivamente alle colonne sonore e alla ricerca etnica, mentre fin dalle prime note del disco si ha la certezza che il vero Cooder sia qui, dentro le atmosfere che gli sappiamo care fin dagli anni settanta. Non so se sia un caso che la registrazione sia effettuata proprio nello stesso teatro dove era stato inciso il suo unico altro disco dal vivo così cpme non so se sia un caso che ben quattro tracce coincidano con quello storico, adorabile Showtime del 1977. Qualcosa però vorrà pur dire.

E come se non bastasse, in questa nuova produzione, ci sono anche due comprimari in comune con quella del 1977: il cantante Terry Evans e il fisarmonicista Flaco Jimenez.  Quello che conta comunque è il risultato, il gruppo che accompagna Ry in questo nuovo disco è senza dubbio più compatto ed energico (ci sono il figlio Joachim alla batteria e Robert Francis al basso che pompano come stantuffi) e in alcune composizioni si aggiungono i fiati della Banda Juvenil, combo di ottoni che riesce a rendere ancor più esplosivo il risultato finale.

A vincere è comunque il repertorio scelto dal chitarrista californiano, un mix azzeccato come pochi di brani del suo passato, a cui si aggiungono due delle composizioni del disco che aveva in promozione all’epoca di questo concerto – superlativa El corrido de Jesse James, dal testo ironico e con i fiati finali che spaccano.

I brani in comune col live degli anni settanta sono la pimpante School Is Out, Do Re Me di Woody Guthrie (come nel vecchio disco preceduta dall’intro di fisarmonica di Jimenz), ideale anello di congiungimento tra il vecchio Cooder che pescava nella tradizione e quello nuovo che scrive da sé le sue canzoni i cui temi sono però molto legati a quelli del suo illustre ispiratore, c’è poi una splendida Dark End Of The Street, non chiedetemi se migliore di quella che figurava su Showtime, ho amato troppo quel disco per dover ora decidere se questo sia più bello. Il quarto brano in comune è la messicana Volver Volver affidata – ahinoi! – alle corde vocali di Juliette Commagere, per conto mio un passo falso: la cantante, pare nuora di Cooder e sorella del bassista, poco ha a che vedere col brano, lo canta con accento terribilmente yankee e voce poco consona (l’originale la cantava Flaco) e lascia davvero il tempo che trova. Il resto del disco è però tutto notevole, ci sono Crazy ‘bout An Automobile, Why Don’t You Try Me e Boomer’s Story, due delle canzoni di Cooder che preferisco, c’è un omaggio a Domingo Samudio con Wooly Bully e, soprattutto ci sono le conclusive Vigilante Man ancora di Guthrie, con la chitarra di Ry che impazza e cancella tutte le versioni del brano che abbiamo conosciuto in precedenza, e Goodnight Irene di Leadbelly con l’inserimento finale della Banda Juvenil che è pura dinamite.

 

simakdialog-6th-story-2013

Simak Dialog

The 6th Story

Moonjune Records 2013

 

Questo gruppo condiviso col tastierista Riza Arshad (di fatto il leader del gruppo) è uno dei cosiddetti “side-projects” del chitarrista indonesiano Tohpati, insieme allo statunitense Dennis Rea uno dei più prolifici artisti della Moonjune Reocrds.

Ma se nei dischi a proprio nome e nei progetti in cui il suo nome è co-titolare Tohpati imperversa totalmente, in questa formazione – pur imperversando con la sua sei corde – lascia comporre tutto ad Arshad.

Naturalmente siamo sempre in territori in cui jazz e fusion si mescolano dando origine ad un composto in cui le composizioni si dilatano lasciando spazio ai due musicisti per dialogare, Tohpati con una serie di interventi che potremmo definire hard jazz  ma che in brani come Lain Parantina richiama addirittura certi passaggi della chitarra geometrica e liquida di tale Jerry Garcia, Riza Arshad con un pianismo molto sciolto che riporta alla menta le sonorità elettriche degli anni settanta. Alle loro spalle, oltre al basso di Adhitya Pratama c’è un trio di percussionisti che imprime alla produzione una sorta di elemento etnico che la fa diventare un prodotto caratteristico, che pur realizzato da artisti asiatici occhieggia decisamente ai gusti degli ascoltatori occidentali.