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RICK ESTRIN & THE NIGHTCATS – Contemporary

di Paolo Crazy Carnevale

20 ottobre 2019

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RICK ESTRIN & THE NIGHTCATS – Contemporary (Alligator 2019)

Nuovo nonché quinto disco per questa formazione blues della Bay Area guidata dall’armonicista e cantante Rick Estrin, di nuovo su etichetta Alligator e all’insegna di un blues talvolta, forse, troppo moderno.

Estrin, sulla breccia da diverso tempo e vincitore di premi per il suo strumento e per il suo genere musicale non è forse il migliore tra i cavalli della scuderia Alligator, che ultimamente ha dato il meglio di sé con altri artisti come Kingfish, Tommy Castro, Curtis Salgado o Shemekiah Copeland, tanto per citare quelli più entusiasmanti usciti negli ultimi tempi; si tratta comunque di un professionista apprezzabile e il suo gruppo può contare sulla chitarra del produttore Kid Andersen (un po’ prezzemolo nelle produzioni della blues label per eccellenza), sulle tastiere di Lorenzo Farrell e sulla batteria di Derrick D’mar Martin.

Il sound è un blues nervoso, vibrante, che può contare soprattutto sulle prestazioni di Farrell che quando si dedica all’organo riesce a caratterizzare molto bene il sound del quartetto. Per il resto, se Estrin con l’armonica è assolutamente indiscutibile, come cantante pare piuttosto qualunque, spesso i brani sono quasi dei talking, soprattutto quando attaccano, anche quando lo stile vira verso certe atmosfere funky in cui gran parte hanno il drumming di Martin e il bassista ospite Quantae Johnson, o addirittura jazzate (con tanto di batteria spazzolata come in the Main Event).

Particolarmente riuscite sembrano Resentment File, New Shape, con un bel piano elettrico e una base ritmica intrigante, o la title track, con la moglie del chitarrista che ci mette un po’ di voce in più.

House of Grease, brano strumentale firmato da Andersen è la dimostrazione che questa band potrebbe provare ad abbandonare le canzoni in quanto tali e dedicarsi appunto alla musica strumentale: qui infatti lo sviluppo della composizione e i gran lavori della sezione ritmica e delle tastiere emergono più che bene, e lo stesso Andersen riesce a ritagliarsi più spazio rispetto ad altri momenti del disco. Va da sé che il leader del gruppo è però l’armonicista/vocalist e quindi non farlo cantare lo relegherebbe ad un ruolo da comprimario, anche se la successiva Root Of All Evil torna a confermare i limiti della sua voce e dello scombinato coro ad opera dei compagni di viaggio.

A testimonianza di quanto detto poc’anzi arriva la composizione di Farrell Cupcakin’, di nuovo senza la voce, e con bei guizzi intriganti di tutti gli strumenti, armonica inclusa. Poi via via il CD scivola verso la fine con un altro paio di trascurabili brani cantati ed un conclusivo boogie strumentale al di sotto dei tre minuti tutto ad appannaggio dell’armonica.

Il disco comunque ha già avuto un’ottima accoglienza, a dimostrazione che il popolo del blues sa andare oltre, piazzandosi in buone posizioni di classifica all’indomani della pubblicazione, sia in classifiche radiofoniche che in quelle più specializzate, come testimonia la decima posizione nella sezione blues di Billboard.

RICK ESTRIN & THE NIGHTCATS – Groovin’ In Greaseland

di Paolo Crazy Carnevale

23 novembre 2017

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RICK ESTRIN & THE NIGHTCATS – Groovin’ In Greaseland (Alligator 2016)

L’Alligator di Chicago da label di nicchia, quale era nata all’inizio degli anni settanta, ha acquisito, pur mantenendosi indipendente dalle deprecabili politiche discografiche delle majors, un consistente status di etichetta imprescindibile e fondamentale per quanto riguarda la musica blues contemporanea.

Il disco di Rick Estrin e dei suoi gatti notturni ne è la testimonianza: forse non si tratta di blues allo stato puro, tanto meno è blues conterraneo dell’etichetta (Estrin e soci sono di base a San Francisco), ma pur sempre di un bel disco si tratta, non irrinunciabile ma assolutamente godibile.

Estrin e la sezione ritmica del gruppo hanno inciso per anni come Little Charlie And The Nightcats, poi dopo un cambio di formazione che ha visto l’ingresso del chitarrista scandinavo Kid Andersen (davvero molto bravo) il gruppo è divenuto Rick Estrin & The Nightcats, riconoscendo a Estrin, voce, armonica e principale penna del gruppo la meritata leadership.

Estrin per la verità non è certo un pivellino, ha sessantotto anni e – se la voce non è delle più tipiche e belle in ambito blues – come armonicista e come autore è davvero notevole, tanto che le sue canzoni hanno avuto l’onore di venire incise da gente come Robert Cray e John Hammond Jr..

Questo quarto disco inciso dalla formazione attuale vede oltre ad Estrin e Andersen il batterista Alex Pettersen ed il tastierista/bassista Lorenzo Farrell, qui poco bassista (c’è una schiera di ospiti che supplisce) e molto impegnato con delle insinuanti tastiere che sono uno dei punti forti del prodotto.

Si inizia con il boogie blues The Blues Ain’t Goin’ Nowhere, solido e riuscito veicolo per l’armonica del leader e si prosegue con l’altrettanto interessante Looking For A Woman, mentre Dissed Again pare meno all’altezza della situazione. Molto meglio Tender Hearted, ballata notturna sorretta da un organo da brivido. MWAH! È l’exploit che non ti aspetti, uno strumentale a metà tra surf e garage, molto sixties ma col vantaggio di una produzione moderna, gran bel pezzo, non sarà molto in tema col blues, ma chi se ne frega!

Il blues per altro è dietro l’angolo e torna a farsi sentire subito con I Ain’t All That (con Farrell che suona il piano, Andersen alla chitarra ruvida mentre l’armonica s’infiltra benone nel mix) e con la seguente Another Lonesome Day, lenta e pianistica, di nuovo ottimo veicolo per dimostrare l’abilità di Estrin all’armonica.

Hands Of Time è più furbetta, accattivante con l’organo che tinge di funk la composizione e la chitarra che rifinisce; Cool Slaw è un altro strumentale, stavolta in chiave Booker T, non a caso l’autore è Farrell ma l’armonica è sempre presente. Più routinarie Big Money e Hot In Here mentre piacciono Living Hand To Mouth che ha un bel lavoro di Andersen e la conclusiva So Long (For Jay P.), altro strumentale, stavolta tutto ad appannaggio dell’armonica di Estrin che domina dall’inizio alla fine.