RICK ESTRIN & THE NIGHTCATS – Groovin’ In Greaseland

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RICK ESTRIN & THE NIGHTCATS – Groovin’ In Greaseland (Alligator 2016)

L’Alligator di Chicago da label di nicchia, quale era nata all’inizio degli anni settanta, ha acquisito, pur mantenendosi indipendente dalle deprecabili politiche discografiche delle majors, un consistente status di etichetta imprescindibile e fondamentale per quanto riguarda la musica blues contemporanea.

Il disco di Rick Estrin e dei suoi gatti notturni ne è la testimonianza: forse non si tratta di blues allo stato puro, tanto meno è blues conterraneo dell’etichetta (Estrin e soci sono di base a San Francisco), ma pur sempre di un bel disco si tratta, non irrinunciabile ma assolutamente godibile.

Estrin e la sezione ritmica del gruppo hanno inciso per anni come Little Charlie And The Nightcats, poi dopo un cambio di formazione che ha visto l’ingresso del chitarrista scandinavo Kid Andersen (davvero molto bravo) il gruppo è divenuto Rick Estrin & The Nightcats, riconoscendo a Estrin, voce, armonica e principale penna del gruppo la meritata leadership.

Estrin per la verità non è certo un pivellino, ha sessantotto anni e – se la voce non è delle più tipiche e belle in ambito blues – come armonicista e come autore è davvero notevole, tanto che le sue canzoni hanno avuto l’onore di venire incise da gente come Robert Cray e John Hammond Jr..

Questo quarto disco inciso dalla formazione attuale vede oltre ad Estrin e Andersen il batterista Alex Pettersen ed il tastierista/bassista Lorenzo Farrell, qui poco bassista (c’è una schiera di ospiti che supplisce) e molto impegnato con delle insinuanti tastiere che sono uno dei punti forti del prodotto.

Si inizia con il boogie blues The Blues Ain’t Goin’ Nowhere, solido e riuscito veicolo per l’armonica del leader e si prosegue con l’altrettanto interessante Looking For A Woman, mentre Dissed Again pare meno all’altezza della situazione. Molto meglio Tender Hearted, ballata notturna sorretta da un organo da brivido. MWAH! È l’exploit che non ti aspetti, uno strumentale a metà tra surf e garage, molto sixties ma col vantaggio di una produzione moderna, gran bel pezzo, non sarà molto in tema col blues, ma chi se ne frega!

Il blues per altro è dietro l’angolo e torna a farsi sentire subito con I Ain’t All That (con Farrell che suona il piano, Andersen alla chitarra ruvida mentre l’armonica s’infiltra benone nel mix) e con la seguente Another Lonesome Day, lenta e pianistica, di nuovo ottimo veicolo per dimostrare l’abilità di Estrin all’armonica.

Hands Of Time è più furbetta, accattivante con l’organo che tinge di funk la composizione e la chitarra che rifinisce; Cool Slaw è un altro strumentale, stavolta in chiave Booker T, non a caso l’autore è Farrell ma l’armonica è sempre presente. Più routinarie Big Money e Hot In Here mentre piacciono Living Hand To Mouth che ha un bel lavoro di Andersen e la conclusiva So Long (For Jay P.), altro strumentale, stavolta tutto ad appannaggio dell’armonica di Estrin che domina dall’inizio alla fine.

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