Posts Tagged ‘Nils Lofgren’

MOLINA, TALBOT, LOFGREN, YOUNG – All Roads Lead Home

di Paolo Crazy Carnevale

9 maggio 2023

All Roads Lead Home

Molina, Talbot, Lofgren, Young – All Roads Lead Home (NYA Records 2023)

Questo strano disco era stato annunciato erroneamente come il nuovo disco dei Crazy Horse, forse cercando di fare leva sull’interesse che il gruppo ha sempre destato in virtù della sua collaborazione cinquantennale con Neil Young. Del resto il disco è pubblicato dalla NYA (Neil Young Archives), etichetta creata alla bisogna dal canadese per supportare gli amici e collaboratori di una vita.

In realtà, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ha nulla a che vedere con le recenti session del gruppo per gli ultimi dischi di Young, il fatto poi di uscire accreditato a quattro cognomi messi uno di seguito all’altro, semplicemente, chiarifica un po’ il tutto.

All Roads Lead Home è innanzitutto un buon disco, onesto, ben fatto; non un must ma sicuramente un disco che si lascia riascoltare più e più volte, il che non è poco.

Talbot, Molina e Lofgren hanno sempre scritto canzoni in proprio, hanno avuto carriere artistiche sia sotto la denominazione Crazy Horse che (almeno Talbot e Lofgren) a proprio nomi.

Nessuno dei tre è un cantante indimenticabile, ma il risultato complessivo si fa apprezzare, indipendentemente dalla presenza di un brano scritto, cantato e suonato da Neil, una lunga versione acustica della recente Song Of The Seasons, di cui preferiamo senza se e senza ma la versione full band che apriva Barn.

Il disco è figlio della pandemia, uno dei moltissimi: confinati a casa, i tre musicisti hanno avuto modo di mettere mano sulle canzoni che avevano scritto e mai portato compimento, tre ciascuno, che col brano ricevuto in omaggio da Neil vanno a comporre un album di dieci brani.

Il fatto che ciascuno suoni i propri brani senza che siano presenti gli altri, lascia qualche perplessità, fugata però dall’ascolto che brilla incredibilmente per unitarietà. Lofgren fa tutto da solo, giovandosi solo dell’aiuto del fratello Tom (da sempre al suo fianco) per i cori, e dal prodigioso Kevin McCormick al basso (CSN, Jackson Browne). Billy Talbot coinvolge la sua band al completo, con tanto di ospite di riguardo in Rain, che apre il disco: si tratta di quel Matt Piucci che dopo essere stato la chitarra dei Rain Parade negli anni ottanta ha poi fatto parte dei Crazy Horse per un disco non disprezzabile. Il batterista Ralph Molina per i suoi tre brani si avvale invece di uno stuolo di musicisti.

La già menzionata Rain ha subito l’approccio giusto, Talbot è forse quello più vicino a Neil a livello di scrittura e lavora bene anche con la voce rispetto a certi suoi dischi di qualche anno fa. I suoni delle chitarre (oltre a Piucci ci sono Tommy Carns, Michael Hamilton, Mark Hanley e Ryan James Holzer) sono ben costruiti. Non è male nemmeno You Will Never Know, il primo contributo di Lofgren, paga un po’ dazio al fatto di essere suonata e sovraincisa in solitudine e un po’ alla lunga militanza del nostro nella E Street Band e ai suoni di Springsteen, lontani dall’approccio younghiano e da quello dei Crazy Horse. Non è ben chiaro – le note di copertina devono essere sbagliate – chi suoni in It’s Magical, cantata in punta di voce dal batterista, fatto salvo che le chitarre dovrebbero essere opera di Jan King e Joshua Sklair e il piano di Marco Cecilia. A questo punto s’inserisce la canzone di Young, di cui ho già detto; Cherish è di nuovo opera del bassista, un brano più introspettivo rispetto al suo contributo precedente, Lofgren è invece l’autore della sostenuta Fill My Cup, più younghiana del suo brano precedente ma un po’ ammazzata da una brutta tastiera.

Molina è quindi autore di Look Through The Eyes Of Your Heart, brano consistente e ben strutturato in cui è accompagnato al completo dai romani Raw (Francesco Lucarelli e Marco Cecilia alle chitarre, Marco Molino alla batteria e Fabrizio Settimi al basso) e da Anthony Crawford (veterano younghiano a sua volta) alla chitarra acustica. Meno accattivante Talbot con The Hunter, arricchita da un breve assolo di elettrica.

Go With Me sembra la migliore delle tre composizioni di Lofgren, anche se come le precedenti soffre a sua volta dell’incisione solitaria con Lofgren che si duplica a tutti gli strumenti (il problema sembra essere il mix più che altro). Just For You è una ballata pianistica (di nuovo Marco Cecilia), suggestivo suggello al disco firmato da Ralph Molina e con un solo di sax di Dave Becker.

Paolo Crazy Carnevale

Rock & Pop, le recensioni di LFTS/2

di Roberto Anghinoni

29 dicembre 2009

Nuovo appuntamento con le recensioni di dischi più o meno nuovi arrivate in redazione e curate da Sonia Cheyenne Villa, Ronald Stancanelli e Paolo Crazy Carnevale. A tutti buona lettura, ma soprattutto tantissimi auguri per il prossimo anno da parte di tutti noi. E che il vinile invada i vostri scaffali e vi rimanga per sempre!

 

 

 CHEAP WINE
Spiritscheapwine
2009 Venus CD

I Cheap Wine sono un gruppo di Pesaro che ha deciso di acquisire un sound americano, una scelta probabilmente costata molto cara per potere andare avanti. È sicuramente più facile cantare in italiano e fare musica più commerciale, piuttosto che continuare su questa linea, forse solo per pochi, ma sicuramente affezionati fan a cui, a ogni album, se ne aggiungono di nuovi. Il primo lavoro è un mini di cinque tracce uscito nel 1997. La loro carriera inizia però dal loro secondo lavoro A Better Place del 1998. Il disco ricorda le atmosfere dei Green On Red (da una loro canzone prendono infatti il loro nome) e la voce di Marco sembra quella di Steve Wynn dei Dream Syndicate. Segue nel 2000 Ruby Shade, e da quest’album iniziano a inserire nel booklet interno i testi con la traduzione in italiano. Nel 2002 esce Crime Stories con copertina e artwork del batterista Francesco “Zano” Zanotti il quale, avendo scelto altre strade, non fa più parte della band ed è stato sostituito nell’ultimo album da Alan Giannini. Nel 2004 tocca a Moving che è, a mio parere, uno dei lavori migliori della band. Dal primo pezzo all’ultimo non ha un attimo di cedimento, la chitarra di Michele, soprattutto nel brano che chiude l’album, è a dir poco struggente. Si arriva poi a Freak Show del 2007, e finalmente giungiamo al superbo lavoro del 2009, Spirits, che è stato pubblicato verso la fine di settembre in confezione digipack e che, ovviamente, ho comprato il giorno stesso in cui è uscito. Appena preso il disco in mano, mi sono soffermata a osservarlo e ho subito notato sulla copertina la moltitudine di bottiglie impolverate le quali mi hanno fatto supporre che si trattasse di qualcosa di diverso, di più profondo. Apro la custodia, metto il CD nel lettore e iniziano a fuoriuscire dalle casse i primi accordi di Just Like Animals e successivamente gli ultimi di Pancho & Lefty. Sono sembrati una manciata di secondi, da tanto sono piacevoli e orecchiabili, invece degli effettivi quarantanove minuti e rotti per undici tracce! Il commento comune di tutti quelli a cui mi sono rivolta è stato: “un album che non ha niente da invidiare ai dischi dei più stimati artisti, forse meno rock, ma più intimista e maturo degli ultimi lavori, un vera svolta, uno tra i migliori album del 2009!”. La sera stessa decido di riascoltarlo, ma questa volta per approfondire con i testi in mano. Man In The Long Black Coat di Bob Dylan e Pancho & Lefty di Townes Van Zandt sono le due cover dell’album e sono eseguite divinamente, in particolar modo la prima. Infatti, sostengo che siano davvero in pochi quelli che sono riusciti a interpretarla con tale trasporto e sentimento. Poi c’è Alice, bellissimo pezzo strumentale e Dried Leaves a parer mio uno dei brani più belli dell’album. Per quanto mi sia subito piaciuto, penso non si possa completamente comprendere fino a quando non si ha davvero bisogno di riorganizzare la propria mente e se si mette, come ho fatto io, come colonna sonora ai propri pensieri, il melodico suono coinvolgerà mente e spirito, entrambi questa volta. Lo si assimila in tutti i suoi aspetti più nascosti e da quell’ascolto sembrerà quasi un altro disco. Penso che per cogliere la vera essenza di questo album si debba essere soli, seduti con un buon bicchiere di vino, quando si ha bisogno di riflettere. Con questo disco credo si siano davvero superati, il genere è chiaramente sempre il loro, ma il livello che hanno raggiunto non può certo lasciare indifferenti. Sinceri complimenti a questo gruppo italiano/ americano che riesce a coinvolgere con sempre più passione il proprio pubblico.

Sonia Cheyenne Villa

 

 FELICE BROTHERS
Yonder Is The Clockyonder
2009 Team Love Records CD

Tra le note liete di questo fine anno, sicuramente un posto d’onore lo hanno occupato i Low Anthem ma, vorrei aggiungere un altro gruppo recentemente scoperto, anche se hanno già pubblicato vari CD. Il crinale è quello dei Low Anthem anche se i Fratelli Felici sono ancora qualche curva indietro. La prima cosa che salta agli occhi, curiosando nel libretto, è che appunto i primi tre musicisti del gruppo si chiamino appunto Felice essendo senza ombra di dubbio fratelli ma è col quarto che ci viene da sorridere essendo il suo nome di battesimo Christmas. Di conseguenza Felice Natale a tutti e andiamo ad ascoltare e riascoltare il CD. La cover è molto spartana, su carta riciclata, e ricorda tantissimo, ancora direte voi, quella dei Low Anthem. La strumentazione adottata dal gruppo non è citata nella copertina del disco, comunque si tratta di strumenti acustici con fisarmonica e piano a tessere. Tutti i pezzi sono accreditati a i fratelli Felice escluso un traditional che da loro stessi è comunque arrangiato. Le canzoni sono molto minimali, troviamo anche qualche strumentale, e si trascinano con scarno abbellimento musicale che ha dalla sua un certo fascino, sicuramente non hanno la potenzialità intellettuale di un gruppo come i Cowboy Junkies o la grinta dei Low Anthem, ma in questa loro strada del dolore percorsa con affanno ma ricercatezza gettano le basi per catturare con immediatezza un loro pubblico. Sailor Song sussurrata come un lamento d’oltreoceano o del mondo perduto si lascia traversare da una incipiente fisarmonica e quando la voce si fa giungere all’ascoltatore par un Tom Waits entrato nell’ade che manda un canto, un messaggio dal mondo dei defunti. Strascicatamente vetrosa una voce ci narra di Katie Dear in modo così realista che par di vederla di fronte a noi con la sua mappa stradale persa nel diluvio della sue esistenza, mentre giunge a noi che pendiamo da questo racconto che ci porta al successivo, quello del pollo che corre ma che deve correre di più, con l’inasprimento dei toni che non sono quelli dei Pogues ma la direzione sicuramente si. Introdotta da un cappello strumentale Run Chicken Run sveglia l’incauto ascoltatore che magari s’era perso tra i meandri anestetici di questo inizio dei Fratelli Felice che sin’ora di felice ben poco aveva. Meno male che è arrivato il chicken che ci sveglia tutti, attenti o distratti che fossimo. Sicuramente si può dire tanto di questo disco, con idee indubbiamente contrastanti, ma non che non sia un lavoro fascinoso e che ogni ascolto lo renda più palesemente vicino a noi. All When We Were Young nasconde tra i solchi le prime soffici e acustiche elucubrazioni di un Neil Young giovanissimo e come il brano vira e s’arricchisce ci si rende conto che ci troviamo dinanzi a un lavoro che col tempo avrà la sua collocazione e, se ci siamo chiesti qualcosa, avremo anche la sua risposta. Boy From Lawrence County la risposta la da, è un bel disco, invernale, intimo, interiore, interno, scavato dentro e a fondo. Con una trama dipanata tra viottoli riottosi e bugigattoli nodosi ecco un album straordinariamente in tema coll’oggi che ci sovrasta, non sai da dove venga ne dove vada, ma ti piace seguirlo.

Ronald Stancanelli

 

GIULIO REDAELLICONNEMARA
Connemara
2008 F-Net CD

Questo è decisamente un ottimo disco per coloro che amano i suoni acustici con un orientamento verso le sonorità nord-americane o irlandesi. Giulio Redaelli, musicista lecchese di grande talento e già autore nel 2001 dell’album Blue Eyed Duckling si ripresenta con un lavoro dal titolo appunto decisamente irlandese. Connemara è un disco prevalentemente acustico- strumentale ove spiccano le chitarre suonate ordinatamente da Redaelli. Il Connemara è un massiccio montuoso dell’Irlanda occidentale con una limitata altitudine, non supera i mille metri, ma con un aspetto montuoso molto intenso dovuto sia al modellamento glaciale sia all’inesistente vegetazione. Il CD si avvale della collaborazione di ottimi musicisti come Socrate Verona al violino e viola, Dario Tanghetti alle percussioni, Nicola Oliva al basso e chitarra ritmica, Gisella Romeo al violoncello, Franco D’Auria alla batteria e delle voci di Elisabetta Rosa e Marco Gallo. Redaelli ci tiene a far sapere che nel CD non vi sono parti campionate ma tutto è genuinamente dal vivo. Per aiutare il lettore possiamo dire che lo stile del dischetto ricorda musicisti come il talento genovese Beppe Gambetta e anche, ma in minor misura, il didascalico toscano Untemberger o artisti stranieri quali Stefan Grossman o Leo Kottke. Tanto per non essere smentiti, tra le cover del disco una è proprio un brano di Kottke, la piacevole The Ring Stealing. Le altre tre sono What A Wonderful World di Armstrong, Maple Leaf Rag di Scott Joplin e Doc’s Guitar di Doc Watson, non Wotson come segnato sull’ultima di copertina. Il resto è a firma dello stesso Redaelli, così come gli arrangiamenti delle cover succitate. Molto suggestiva, Puzzle mentre evoca nostalgia la bella riproposizione del brano di Armstrong cantato da Elisabetta Rosa. Il dischetto della media e giusta durata, ovvero circa cinquanta minuti, è il trionfo del fingerpicking ove si esalta la grande produzione acustica musicale in un susseguirsi di brani uno più piacevole dell’altro e dai quali si evince la splendida padronanza allo strumento dell’artista lombardo. Arrangiato dallo stesso Redaelli, è stato registrato mixato e masterizzato all’Acoustic Design Studio di Milano ed è lavoro meritorio di notevole conoscenza e diffusione. Consigliato vivamente. Vi ricordo anche l’ottimo For Guitars Clan che Redaelli assieme ad altri musicisti ha inciso nel 2007 e che noi abbiamo recensito sul numero 92 di “Late for the sky” a pagina 48. Per erudirvi maggiormente vi consiglio una puntatina su www.giulioredaelli.com.

Ronald Stancanelli

 

 GREG HARRIStherecord
The Record
2009 Autoprodotto CD

I più se lo ricorderanno tra le file dei Flying Burrito Brothers a cavallo tra anni ‘70 e anni ‘80, periodo in cui Greg Harris ci ha consegnato anche alcuni dischi come solista che si erano fatti notare (soprattutto i primi due Acoustic e Electric) per la loro bontà. Harris in quegli anni ha girato anche in Italia, col chitarrista piemontese Ricky Mantoan e con il gruppo di cui facevano parte anche Skip Battin e Gene Parsons, ma la sua carriera discografica è andata poi via via inaridendosi e al momento della pubblicazione di questo nuovo disco, prodotto e distribuito in modo assolutamente indipendente, erano almeno dieci anni che non si sentiva parlare di lui. Si tratta di un ritorno graditissimo, soprattutto alla luce del fatto che il disco ci riconsegna Harris al top della forma, alle prese con un repertorio ispirato e con una serie di sonorità che ci confermano la grandezza di questo artista quando impugna una chitarra, elettrica o acustica che sia. Unico altro chitarrista del disco infatti è suo figlio Jesse Jay, quello dei Rancho Deluxe, che ricambia qui il favore al padre che aveva preso parte all’ottimo, secondo CD del gruppo, recensito in questo stesso sito. Quello che entusiasma maggiormente in questa produzione sono i bei suoni di chitarra che gli Harris sanno mettere insieme, al servizio di un gusto musicale che sta in bilico tra il country rock di matrice californiana e certe atmosfere più vicine allo swing. Personalmente preferisco i brani country-rock, con la voce di Harris sempre bene in mostra, quella voce che mi aveva conquistato fin da primo ascolto quando avevo comprato il live giapponese dei Flying Burrito Brothers, in cui cantava alcuni brani in maniera vibrante. Tra i brani si fanno subito apprezzare The Gilded Palace Of Sin, brano che fin dal titolo fa capire dove Greg stia andando a parare, e l’intro di chitarra è una citazione che conferma le promesse dal titolo, siamo in piena atmosfera FBB. Un altro gran brano è The Long Road To Nowhere, in cui Greg duetta alla chitarra col figlio. Tra le cose più d’atmosfera, con batteria spazzolata, c’è The Sunday News, country jazz in cui Harris snocciola una serie di assoli con l’acustica che ne confermano la statura come chitarrista. C’è anche una lenta ballata, Mexico, scritta in tandem con Rick Danko, ai tempi del Byrds Tribute Tour a cui i due presero parte nel 1985, con Gene Clark. Murriettas Gold è un altro bel brano acustico, su cui Harris interviene col mandolino, altro strumento di cui è maestro. All’amico Skip Battin, scomparso ormai da alcuni anni, è dedicata Evergreen Blueshoes, notevole composizione ispirata al gruppo in cui Skip suonava prima di entrare nei Byrds. Il disco, quaranta minuti di durata, si conclude con lo strumentale Dale’s Tune. E a confermare il buono stato di salute del nostro, le ultime notizie riguardano l’intenzione di Harris di venire a suonare in Italia l’anno venturo, probabilmente nientemeno che insieme a Gene Parsons!

Paolo Crazy Carnevale

 

 MORAINE
Density
2009 Moonjune Records CDmoraine

Interessante questo disco, che si discosta notevolmente dai miei ascolti abituali: si tratta di una nuova produzione della casa discografica newyorkese diretta da Leonardo Pavkovic, sempre attenta, oltre alle ristampe di interessante materiale d’archivio riguardante la famiglia Soft Machine, alle nuove tendenze musicali. È il caso di questo disco strumentale del quintetto Moraine, capeggiato dal chitarrista Dennis Rea, che si propone con una bella miscela di suoni che qualcuno ha definito, a ragione, “heavy chamber music”. Il disco offre una manciata di composizioni eseguite da un’anomala formazione in cui chitarra elettrica, basso e batteria si fondono con violoncello e violino, dando origine ha un sound originale, a volte sperimentale (Uncle Tang’s Cabinet Of Dr. Caligari e Staggerin’), a tratti orientato verso il jazz-rock di stampo zappiano (Nacho Sunset), con improvvise virate verso la psichedelica di stampo western (Disillusioned Avatar), e assunzione di toni talvolta epici infusi dal cello di Ruth Davison e dal violino di Alicia Allen (Kuru) che provvedono anche alle influenze cameristiche (Reveng Grandmother), il tutto sempre senza perdere di vista il sound caratterizzante le mosse del gruppo. Ogni brano potrebbe essere parte di una ideale colonna sonora che ha l’apprezzabile qualità di lasciarsi ascoltare senza costringere l’ascoltatore a torturanti sforzi mentali spesso associati a questo genere musicale.

Paolo Crazy Carnevale

 

NILS LOFGREN
Sings Neil YoungLOFGREN
2009 Hypertension CD

Avevamo precedentemente recensito il tributo dei Rusties a Neil Young, ci accingiamo adesso a presentarvi quello operato dal fido Nils Lofgren, una vita col canadese e un’altra vita con Bruce Springsteen. Quindici canzoni in fase delicatamente acustica che abbracciano, e su questo non nutrivamo dubbi alcuni, il primo periodo o repertorio del musicista canadese ormai naturalizzato per usucapione yankee. Il disco è semplicemente suonato o al piano o alla chitarra acustica da Lofgren in modo pacato, sereno e decisamente suggestivo, e registrato in perfetta calma e solitudine in quel di casa sua. Fanno capolino tra i solchi, e la sua voce si trova notevolmente a suo agio con detto repertorio, splendidi tasselli della nostra esistenza che amammo e mai perdemmo come Birds, Long May You Run, The Loner, Winterlong e Like A Hurricane che in veste spoglia e acustica ci delizia oltre l’immaginabile. In effetti, un brano leggermente più recente l’abbiamo e si tratta di Harvest Moon. Fa piacere che in questo splendido celebrativo lavoro di passione e amore sia verso Young che verso una musica, anzi delle canzoni senza tempo, Lofgren abbia recuperato un reale capolavoro come Don’t Be Denied, brano facente parte dell’unico album che Neil Young per le sue solite paturnie non ha mai fatto pubblicare su CD, ovvero quel Time Fades Away che è uno dei capisaldi della sua discografia. Molto bella la riproposizione di World On A String ove ancora una volta si evidenzia la bravura di Lofgren allo strumento mentre un plauso sincero alla sua voce che a volte un po’ fuori luogo nei brani elettrici qua si trova meravigliosamente a suo agio. Teneramente bluesy la versione di Mr. Soul che appiana ricordi di lontana misura e proseguendo nell’ascolto del dischetto ci rendiamo conto che questo omaggio è opera non solo di mero e puro tributo a un amico, ma anche un album decisamente bello, ben suonato e ben cantato. Sicuramente uno dei suoi migliori lavori da un po’ di tempo a questa parte. Bella e suggestiva la copertina cartonata. Solare e afrodisiaca come sempre Winterlong, uno dei brani più soavemente profumati che ci sia stato dato di sentire nella nostra lunga carriera di musicofili un po esterofili. Produzione a cura di David Briggs e dello stesso Lofgren il tutto su Hypertension, etichetta minore degna di ovvia lode.

Ronald Stancanelli

 

URIAH HEEP

Celebration

2009 Edel CD+DVD

 

Per celebrare il quarantesimo  anniversario della pubblicazione del primo Huriah Heepstupendo album  “Very Heavy … Very Umble”, famoso non solo per il suono innovativo della band, ma anche per una delle copertine piu’  macabre ed inquietanti nella storia della musica rock , gli Huriah Heep, guidati da sempre dal chitarrista e mente del gruppo Mick Box, pubblicano questo “Celebration”, una vera sorpresa anche  per uno come il sottoscritto che li ha sempre  amati alla follia.

Completano la formazione attuale Bernie Shaw, vocals, Phil Lanzon, keys, Trevor Bolder, bass e Russell Gilbrok, drums che ha sostituito il batterista storico Lee Kerslake, che aveva lasciato per motivi di salute un paio di anni or sono; il nucleo è lo stesso da anni, ottimi strumentisti che hanno pubblicato “I Wake The Sleeper”, il buon album di studio inciso nel 2008 dopo oltre dieci anni dal precedente. Il  cantante David Byron, grande  front man, è purtroppo scomparso da anni; dopo una breve carriera solista, Ken Hensley, lo stupendo  tastierista, arrangiatore e coautore delle piu’ belle e famose canzoni della band, continua una prestigiosa carriera ricca di soddisfazioni .

Ma se il suono è cambiato rivolgendosi a sonorità più corpose ed avvolgenti, lo spirito degli Huriah Heep non è mai venuto meno, basta ascoltare questo lavoro che ci offre ben quattordici brani. Un paio di inediti,  “Only Human” e “Corridors Of Madness”;  mentre gli altri brani ci ripropongono canzoni immortali come  “Sunrise”, “Stealin”, “The Wizard”, “Easy Livin”, “Lady In Black”, “Gypsy”   e “Free And Easy”, tutte riproposte in una nuova versione .

Stupenda la confezione  in digypack del dischetto con un booklet ricco di foto , notizie   e con i testi delle canzoni; il DVD ci offre uno splendido concerto registrato al The Sweden Rock Festival dello scorso anno , con la band in forma smagliante  che ci offre quarantacinque minuti di musica che continua e continuerà a farci sognare .

 Daniele Ghisoni