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MARCUS KING – El Dorado

di Paolo Crazy Carnevale

7 giugno 2020

Marcus King Eldorado 01[233]

Marcus King – El Dorado (Fantasy 2020)

Marcus King, che colpo di fulmine! Il giovanissimo chitarrista e cantante del South Carolina è stato una delle più belle sorprese degli ultimi anni, un personaggio dalle grandi possibilità che a dispetto dei suoi 24 anni (compiuti un paio di mesi dopo l’uscita di questo disco) dimostra una maturità non indifferente, capace di lavorare bene in studio, affidandosi a Produttori con la P maiuscola, e di entusiasmare quando calca un palco a capo della sua strepitosa band.

Dopo tre dischi, imperdibile il terzo, a nome Marcus King Band, il biondo longocrinuto e paffuto sudista ha deciso di lasciare a riposare il gruppo e di debuttare temporaneamente come solista. Poteva essere una scelta pericolosa, perché non era affatto scontato fare un bel disco, e poteva finire col farne uno che non avesse differenze riscontrabili con i precedenti. Lui se n’è fregato e questo El Dorado è la dimostrazione che la stoffa c’è tutta e che nonostante sia ancora un pischello (quanto ad anagrafe) Marcus ha le idee chiare su cosa sia un disco di southern rock con un gruppo e cosa sia invece un disco da solista.
Per registrare (a Nashville) questa nuova fatica si è affidato a Dan Auerbach e per sintetizzare quello che è riuscito a fare diremo che la differenza con i dischi con la band è la stessa che intercorre tra i dischi dell’Allman Brothers Band e il debutto solista di Gregg Allman, Laid Back.

Ecco, laid back (che in inglese significa rilassato) è proprio quello che viene in mente all’ascolto di El Dorado, non un disco da cantautore o rocker in solitaria, un gruppo c’è chiaramente, ma sono proprio le atmosfere ad essere differenti: c’è il sud ovviamente, c’è il blues, c’è tanto soul e Marcus mette particolarmente in mostra le sue doti come cantante. Anzi le prestazioni vocali con canzoni come quelle scritte appositamente per il disco, spesso in società col producer, sono davvero gigantesche.

Maturità e ispirazione sono alla base del disco e fin dalla primissima traccia, un brano acustico intitolato Young Man’s Dream il sentore è di trovarsi al cospetto con quello che potrebbe essere uno dei migliori LP di quest’anno. Un arrangiamento in punta di piedi principalmente sorretto da voce, chitarra acustica, piano e dalla pedal steel di Paul Franklin (proprio quello che suona nella band di Mark Knopfler) con qualche coro e una parte centrale con assolo di elettrica, fanno di questa composizione un highlight immediato. Non da meno la successiva The Well (scelta come anticipatrice del disco) che invece è un solido brano rock venato di possente elettricità, forse più in linea con il Marcus King dei dischi precedenti. Wildflowers And Wine è un’ottima slow ballad sorretta dall’organo e dal piano (Mike Rojas), molto soul, con enorme prestazione vocale di Marcus, accompagnato da un trio di rodate coriste, e con un solo di chitarra centrale semplicemente bello. Molto soul anche One Day She’s Here, soul anni settanta, con un leggero andamento funky, con tastiere orchestrali e suoni di chitarra studiati minuziosamente per ricreare atmosfere lontane. In Sweet Mariona fanno capolino vaghe atmosfere latin/bossanova, appena una spolverata, perché in realtà oltre alla voce a sorreggere la struttura sono gli intrecci delle chitarre di King e Auerbach con la pedal steel ineccepibile di Franklin e le tastiere di Rojas. A chiudere il primo lato del disco c’è Beautiful Stranger, brano dalla rilassatezza totale con Frankin di nuovo protagonista, quasi un brano soul di casa Stax quando gli artisti dell’etichetta andavano a registrare a Muscle Shoals negli studi di Rick Hall.

La seconda parte è inaugurata dal pop soul di Break, un po’ meno convincente, ma il disco riprende subito quota col nervoso rock Say You Will, dalla ritmica moderna e dall’elettricità devastante indotta da un assolo centrale di quelli che spettinano (ma in tutto il brano le chitarre elettriche spaziano e si rincorrono). Molto briosa e ritmata è anche Turn It Up, a cavallo tra rock sudista e rhythm’n’blues con un arrangiamento per nulla datato. Too Much Whiskey è invece un ottimo country-rock in chiave southern, molto orecchiabile, con le solite fantastiche chitarre che sfoderano suoni ben distinti, peccato che nelle note di copertina si siano scordati di menzionare l’armonicista che prende parte alla registrazione, perché è una delle caratteristiche del disco.

Il soul rilassato torna nella struggente Love Song con Marcus che duetta con le coriste Ashley Wilcoxson, Leisa Hans e Ronnie Bowman e il tastierista che ci piazza anche un azzeccato intervento di glockenspiel; a mettere la parola fine la lenta e ispirata No Pain, ulteriore trionfo di sonorità (c’è pure l’harpsichord) con un’inattesa chitarra acustica e un gran cantato del titolare.