TIM GRIMM – The Little In-Between

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TIM GRIMM – The Little In-Between (Appaloosa/IRD 2023)

Tim Grimm, dalla sua fattoria in Oklahoma torna a consegnarci una manciata di nuove composizioni: anche stavolta per il pubblico nostrano arriva tramite l’Appaloosa, nella consueta confezione con i testi in inglese e tradotti ad uso e consumo del nostro pubblico. È vero che l’inglese, a spanne, dovrebbe essere ormai di dominio pubblico, ma i testi delle canzoni spesso necessitano di una traduzione più puntualizzata e accorta, proprio come quelle dei dischi Appaloosa.

Rispetto agli ultimi ottimi lavori, Grimm rinuncia qui all’apparato strumentale ad opera dei componenti della sua famiglia, la genesi del disco è molto semplice: in una giornata il nostro ha messo giù le tracce base in Oklahoma, nel febbraio dello scorso anno, poi ha spedito il malloppo alla cellista Alice Allen che nel suo eremo scozzese ha aggiunto il suo strumento nel mese di luglio.

Infine, nello studio del grande Jono Manson in New Mexico, lo scorso ottobre sono state inserite le chitarre elettriche, il basso e la batteria, neppure in tutti i brani.

Il risultato è un breve disco (sotto i quaranta minuti) da consumare dalla prima all’ultima nota, sorretto dalla voce di Grimm che mette sul piatto nove brani di diversa ispirazione, spesso legati ai ricordi familiari e alle proprie sensazioni.

Non aggiunge certamente nulla di nuovo a quanto già sappiamo di questo artista, ma è una conferma del suo talento e della sua ispirazione: canzoni d’autore umili, sorrette dalla chitarra acustica pizzicata o arpeggiata, con essenziali inserti del violoncello (Alice Allen), dell’elettrica o della pedal steel (Sergio Webb).

Echi di un altro campagnolo, Greg Brown, immancabili rimandi a Bruce e a McDermott, rispetto ai quali però Grimm pecca nella mancanza di epicità, puntando più sul quotidiano.

L’iniziale The Leaving è eseguita in quasi solitudine, The Lonseome All The Time vede invece entrare la band al completa con Webb efficace alla pedal steel. I Don’t Know This World è uno dei brani in cui l’influenza dello Springsteen più interiore si fa sentire maggiormente, echi del Tom Russell di Man from God Knows Where emergono in Stirrin’ Up Trouble. Il cello della Allen in The Breath Of Burnin’ suona un po’ come il violino di David Lindley nei vecchi dischi di Jackson Browne.

Una delle cose migliori, anche per il bel testo in ricordo della figura paterna, è New Boots, che forma una gran doppietta con la seguente Twenty Years Of Shadows, altra bella composizione in cui Grimm gioca all’autocitazione costruendo il riuscito ritornello usando i titoli di sue vecchie canzoni guardando bene di farle diventare una frase compiuta. Forse il punto forte del disco, con l’interplay tra cello e chitarra elettrica che dà la sensazione che i musicisti fossero in studio insieme e nello stesso posto.

Il disco si chiude in punta di piedi con Bigger Than The Sky.

Paolo Crazy Carnevale

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