JONO MANSON – Silver Moon

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Jono Manson – Silver Moon (Appaloosa/IRD 2020)

Sono trascorsi quattro anni dall’ultima produzione di Jono a proprio nome, il che non vuol dire naturalmente che il nostro se ne sia stato con le mani in mano tutto questo tempo, ci sono state produzioni per altri artisti (i nostrani Gang su tutti), ci sono stati tour (l’ultimo dalle nostre parti con John Popper dei Blues Traveller meno di un anno fa) e naturalmente c’è stato il tempo di mettere insieme uno dei suoi lavori migliori, il secondo su label Appaloosa. Silver Moon è uscito proprio poco prima della pandemia, cosa che non aiuta, tutti coloro che si sono trovati con dischi in uscita in questo periodo hanno dovuto fare i conti con i negozi chiusi e con l’impossibilità di fare una promozione adeguata.

Un peccato, perché il disco di Jono merita di essere tenuto in considerazione. Il rocker/songwriter di stanza in Nuovo Messico, a Taos per la precisione, dove trascorse i suoi ultimi anni il trapper Kit Carson.

Per il nuovo disco Jono ha messo insieme una bella serie di composizioni e si è dato da fare nel coinvolgere un sacco di colleghi e amici per farsi dare una mano. Innanzitutto diciamo che il disco comunque reggerebbe bene anche senza guest star, perché la bontà del materiale e le doti di Jono in sede di produzione sono ormai ben assodate, certo che sentire far capolino tra le tracce la voce di Joan Osborne o la slide di Warren Haynes non può che far piacere. Silver Moon si regge comunque soprattutto sul solido suono creato da Jono (chitarre elettriche ed acustiche, banjo e naturalmente voce), dai fidi Jason Crosby (organo e piano), Ronnie Johnson (basso), John Graboff (ogni genere di chitarra) e Paul Pearcy (batteria). Senza dimenticare le harmony vocals di Hillary Smith e Myrrhine Rosemary.

Il disco comincia bene con il brano che lo apre, un’orecchiabile e piacevole Home Again To You, seguita dall’altrettanto azzeccata Only A Dream in cui troviamo anche la voce del compagno di scuderia James Maddock. È evidente che con la title track, in cui è ospite Haynes (per altro presente anche in altri dischi di Manson), il disco decolli definitivamente, una bella canzone, ben ordita e con un gusto southern inevitabile, conferito dall’intervento di Warren. In Loved Me Into Loving Again ci mette sul piatto il duetto con Joan Osborne, decisamente riuscito, la canzone sembra costruita appositamente per il duetto, non solo, oltre al botta e risposta tra Jono e Joan, c’è la terza voce, quella della sezione fiati che s’inserisce con sapienza, e di meno non ci si poteva aspettare da un produttore dall’orecchio fino come il titolare. I Have A Heart è una canzone breve caratterizzata dall’inconfondibile suono dell’ospite chitarrista Eric Ambel, poi c’è la lenta I Believe, dalla melodia che ricorda vagamente quella del traditional Shenandoah. I’m A Pig, sono un ingordo, non un maiale come verrebbe da pensare, è rock allo stato brado, con la chitarra di Eric Shenkman, un brano dal testo ironico, rispetto agli altri del disco che sono più tipicamente canzoni d’amore. La chitarra del brano successivo, Shooter, è quella di Paolo Bonfanti, già collaboratore in passato di Jono (i due hanno anche un disco cointestato risalente al 2003). The Christian Thing è una bella riflessione sul cristianesimo visto da un non cristiano, con le voci di Terry Allen e Eliza Gilkyson che danno una bella mano cantando una strofa ciascuno e un bel sottofondo di pedal steel a cui provvede John Grabhoff, la melodia è debitrice di qualcosa alla dylaniana Titanic, ma Dylan si sa, è di per sé debitore (e creditore) nei confronti di tutti… Rock’n’roll alla Stones invece per Face The Music dal testo amaro sulla vita e gli stravizi di certe rockstar, col pianoforte indiavolato di Jason Crosby e la chitarra di Eric McFadden.

Everything That’s Old (Again Is New) è una lenta canzone riflessiva, mentre Every Once In A While, già ascoltata nel recente tour italiano, è una canzone guidata dalla slide di Jay Boy Adams che trae lo spunto dalla gatta dei vicini portata via da un rapace e che poi si evolve in una serie di altre considerazioni sul fatto di poter avere una seconda possibilità nella vita per sistemare le cose.

Il finale, The Wrong Angel, è un ironico blues swingato col sound dell’organo in evidenza ed una storia tragicomica, nel miglior stile di Manson.

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