Posts Tagged ‘Rolling Stones’

ROLLING STONES – Blue & Lonesome

di Paolo Crazy Carnevale

27 agosto 2018

rolling stones blue and lonesome[920]

ROLLING STONES – Blue & Lonesome (Promotone/Rolling Stones Records 2016)

Vecchio grande amore… I Rolling Stones… devo ammettere che li avevo lasciati per strada da un pezzo. Mi correggo, non ho mai smesso di ascoltarli, ma i dischi recenti – e voglio dire dagli anni ottanta in poi, dopo Tatto You – mi erano sembrati via via sempre più fiacchi, talvolta anche suonati senza voglia, con canzoni qualunque. Non mi erano piaciuti né Voodoo Lounge né A Bigger Bang, tantomeno il resto, esclusi naturalmente i live. Quella è un’altra storia. Su tutti Stripped e il DVD quadruplo 40 Licks.

Il fatto che stessero facendo un disco nuovo dopo undici anni dal precedente non mi aveva quindi coinvolto più di tanto, nonostante si trattasse di un disco blues. E poi, preoccupante quanto mai, c’era il fatto che a produrre avessero chiamato l’invadente e ridondante Don Was.

Poi, più per caso che per altro, mi è capitato tra le mani Blue & Lonesome, con qualche giorno d’anticipo rispetto all’uscita prevista per giunta, ed è stato un colpo di fulmine: giuro che ormai ero convinto che il vecchio Keith e soci avessero esaurito la benzina, almeno per quanto riguarda l’approccio allo studio di registrazione. Certo, questo è un disco di cover, di vecchi blues malati e vibranti, grondanti torride atmosfere; ma i Rolling Stones non erano nati proprio come cover band? E allora che male c’è?

Blue & Lonesome è bello da morire e anche se è uscito da quasi due anni – ho voluto lasciarlo decantare e riascoltarlo periodicamente per essere sicuro di confermare la prima impressione – è giusto, giustissimo dirne.

Dischi blues ne vengono prodotti a decine ogni mese, alcuni notevoli, e su queste colonne se ne parla abbondantemente. Ne vengono prodotti anche di più dozzinali, o quantomeno di meno ispirati. I Rolling Stones danno ancora la birra a parecchia gente quando tornano a questo loro vecchio amore.

Sempre di vecchi amori si tratta: loro per me, il blues per loro.

E i vecchi amori, se sono veri vanno rispettati e trattati con i guanti: Jagger, Richards, Wood e Watts (più i soci non titolari) si accostano al blues con la stessa freschezza (e inevitabilmente un po’ di mestiere in più) di un tempo, infilando una dozzina di brani che potremmo definire classici minori, suonando come se si trovassero di nuovo negli studi Chess, o in quelli della Vee Jay, dove i loro idoli degli esordi hanno scritto la storia del genere.

Sarebbe stato troppo facile andare a rifare quei brani che tutti ricordano, facile e scontato, l’intelligenza degli Stones invece sta proprio nell’aver scelto oculatamente altre canzoni.

Così ecco scorrere una dietro l’altra le composizioni di Chester Burnett, Walter Jacobs, Magic Sam e Willie Dixon (per dire solo quelli più noti).

Grande, subito, l’inizio, affidato a Just Your Fool, poi tocca a Commit A Crime, immensa, e alla title track, che è tra le cose migliori della raccolta. Wood e Richards macinano blues con le chitarre, Jagger oltre a cantare rispolvera l’armonica, ricordandoci quanto bravo fosse con questo strumento, Watts sui tamburi è essenziale come sempre. Poi ovviamente c’è il bassista Daryl Jones e al piano l’inestimabile Chuck Leavell. Anche All Your Love è torrida, mentre I Gotta Go vira verso il boogie, prima di cedere il passo a Everybody Knows About My Good Thing che ospita Eric Clapton alla slide, inconfondibile: bel brano, bella scelta e bella esecuzione, col piano di Leavell in evidenza.

Ride ‘Em Down è ripescata dal repertorio di Bukka White, Have To See You Go contiene un altro bell’intervento dell’armonica e Hoodoo Blues di Lightnin’ Slim è interpretata con gran gusto e con le percussioni aggiunte di Jim Keltner. Little Rain è di Jimmy Reed ed ha tutta la tensione delle dodici battute, lenta, con l’armonica vibrante ed un suono delle chitarre che ci ricorda quanto Ron Wood sia molto di più che un gigione sparring partner per Keith “the human reef”.

In chiusura due brani di Willie Dixon, la movimentata Just Like I Treat You e la più nota – forse l’unico brano leggermente più celebre della raccolta – I Can’t Quit You Baby, in una bella esecuzione, di nuovo con Clapton ospite a dialogare con le sei corde di Wood e Richards, e con Jagger che canta più nero che mai.

Mick, Keith e…la festa di compleanno

di admin

5 aprile 2011

Più che una recensione questo è il racconto di un’iniziazione, del battesimo nel fiume sacro (o profano?) del rock’n'roll di una ragazzina che, per i suoi dieci anni, non ha ricevuto la solita bambola…

Per questo, a insindacabile giudizio della redazione, si è deciso che meritasse un posto tutto suo…Long May You Run, Sonia Cheyenne…  

A_bigger_bang   

Sono cresciuta in una famiglia dove i Rolling Stones sono sempre stati considerati i mostri sacri del rock ‘n’ roll per antonomasia, ma alla tenera età di 10 anni per me non erano altro che un costante sottofondo musicale in casa, e poi, per fortuna o sfiga, mia madre arrivò un giorno dicendomi: “il 25 agosto (correva l’anno 2005) saremo a Boston al concerto degli Stones e ci sarai anche tu, questo è il tuo regalo di compleanno. Fidati, ti cambieranno la vita“. In quel momento non seppi che dire! Io, ma proprio io, sarei andata a un concerto a Boston, a vedere quelle tanto venerate divinità di cui non mi ero mai sinceramente interessata; il mio unico pensiero fu: e adesso? Passai giorni e giorni a studiare i libri contenenti i testi e ad ascoltare tutti, ma dico tutti i CD e facendo quindi una full-immersion. Alla fine, dopo tutto questo sforzo, arrivò quel tanto aspettato giorno. Non lo scorderò mai, penso. Ricordo ancora la caoticità della città e il subbuglio poche ore prima dell’inizio attorno allo stadio dei Red Socks; si sudava, nonostante il freschino che c’è costantemente a Boston, per la sovreccitazione. Fu la mia prima volta in quella città, la prima volta in uno stadio di baseball, la prima volta che vidi gli Stones e anche la prima data americana del tour di Bigger Bang, quindi potete immaginarvi quanto fossi felice. Fu un concerto che, come mi aveva preannunciato mia madre, mi cambiò la vita, non la credevo una cosa possibile eppure successe. Ricordo che quando finì il concerto dissi: “voglio andarli a vedere anche a Milano“. E ci andai. Un anno dopo li rividi, l’11 luglio 2006, il giorno dopo la vittoria dei mondiali di calcio da parte dell’Italia e fu anche la prima data europea del tour. Penso che la concatenazione dei piccoli e grandi eventi attorno a queste due indimenticabili date mi fecero entrare nel cuore l’album A Bigger Bang più di qualsiasi altro loro disco. Per alcuni forse non è niente di speciale, ma per me è  qualcosa che mi rimarrà per sempre incastonato nel cuore, è per questo che ho deciso di scrivere riguardo il loro ultimo album. Per cui ora direi che sia il caso di parlare un po’ di alcuni pezzi dell’album. La prima canzone è Rough Justice, decisamente d’impatto, forse addirittura la sua potenza la rende ruvida (rough) ed è anche una delle hit: questo album ne contiene parecchie e sono dell’idea che un po’ tutte le canzoni suonino così, ma le più conosciute sono, oltre a quella sopracitata, ad esempio la bellissima Rain Fall Down, il cui videoclip che è stato mandato in onda nei canali musicali, la rende ancora più incisiva. Quella che è rimasta più impressa nei fan, e non, dell’Italia è Streets Of Love: il contratto con la Vodafone l’ha fatta canticchiare a milioni di persone. A parer mio è si molto carina e orecchiabile, ma la preferita rimane sempre Let Me Down Slow, un po’ una ballata, un po’ una scarica di elettricità ed è la canzone che mi ha maggiormente toccato il cuore. Back Of My Hand è un pezzo blues che riporta gli Stones un po’ forse alle origini e Jagger ci rapisce con la sua armonica. Infine, vorrei dedicare due righe anche alle canzoni di Richards, This Place Is Empty e Infamy: la prima è una splendida ballata strappalacrime, Keith è riuscito ancora una volta a emozionarmi e a emozionare. Dell’altra, che dire, forse non era la canzone migliore per chiudere l’album, lo reputo infatti l’unico errore che abbiano fatto in Bigger Bang, personalmente ho iniziato ad apprezzarla dopo parecchio tempo, anche perché d’impatto non risulta un pezzo così buono. Molte delle persone alle quali ho chiesto un parere mi hanno risposto: “Infamy è appunto un pezzo infame”, ma forse bisogna solo imparare ad assimilarla. A Bigger Bang è stato riempito di critiche e sinceramente non riesco a capirne il perché, forse le persone non riescono  a vedere più nulla al di fuori di Exile On Main Street, io reputo questi soggetti non degli intenditori, ma null’altro che degli ottusi, incapaci di aprirsi alle novità. Posso comprendere delle critiche per l’album Undercover ma non per A Bigger Bang.

 Sonia Cheyenne Villa