MARTY STUART & HIS FABULOUS SUPERLATIVES – Altitude

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Marty Stuart & His Fabulous Superlatives – Altitude (Snakefarm 2023)

C’è voluto qualche anno per avere il seguito dell’ottimo Way Out West, inciso da Stuart e soci sotto la guida di Mike Campbell: finalmente però il nuovo disco può girare nei nostri apparecchi stereofonici, giradischi o lettori CD che siano, ed è un degno seguito del disco prodotto dall’ex Heartbreaker.

Nel frattempo, Stuart i Superlativi favolosi non hanno certo dormito, hanno suonato molto in giro, Europa (ma non Italia) inclusa, hanno fatto un tour insieme a Roger McGuinn e Chris Hillman per celebrare i 50 anni del byrdsiano Sweeteheart Of The Rodeo e altrove hanno anche ospitato sul palco Gene Parsons, costruttore del primo prototipo di Stringbender, posseduto ora proprio da Marty Stuart.

E proprio attorno alla storica Fender Telecaster già di Clarence White ed ora di Stuart gira il nuovo disco, attorno a quella chitarra e alla musica dei Byrds che Marty ascoltava da ragazzo e che fondamentale è stata per la sua formazione musicale a cavallo tra rock e country.

Marty è un chitarrista e mandolinista straordinario, ma nel suo gruppo c’è anche un altro chitarrista ancor più straordinario, Kenny Vaughn, e i due insieme riescono a far uscire scintille e lampi dai loro amplificatori. Aggiungiamoci poi un batterista essenziale e preciso come Harry Stinson e un bassista con un pedigree da favola come Chris Scruggs, senza dimenticare che sono tutti abili armonizzatori in fase cantata…

Altitude, come dicevamo, gira intorno ai suoni del country spaziale basato sugli intrecci delle chitarre, Scruggs è qui anche in veste di chitarrista di pedal steel e provoca nell’ascoltatore un’autentica sbornia sonora irrinunciabile.

Fin dalla copertina è evidente la volontà di omaggiare i Byrds, il titolo del disco sembra poi un richiamo alle mitiche otto miglia di altezza: Lost Byrd Space Train (Scene 1). lo strumentale che apre il disco è da solo un capolavoro, un paio di minuti di pura poesia chitarristica in cui lo stile, il sound, la tecnica, la creatività fanno quasi pensare che ci sia ancora Clarence White a toccare le corde di quella Telecaster “truccata”. Si sfocia poi in Country Star, quasi una prosecuzione del brano strumentale in cui Stuart canta le sue aspirazioni ispirate dalla musica dei Byrds, e non da meno è la solida Sittin’ Alone con un bel lavoro di dodici corde elettrica (guarda caso). A Friend of Mine ha un’andatura sixties, molto surf con chitarra e tamburi come si deve e echi che riportano alla mente i temi principali dei Bond Movies, come curiosamente avevamo riscontrato anche nel recente album di Rhiannon Giddens; Space dice tutto fin dal titolo, Stuart è impegnato al sitar, il cui suono si intreccia con le chitarre di Vaughn e sembra di ritrovarsi in un disco dei Byrds del 1966 (non sarà un caso che in occasione del tour del 2022, Stuart e soci si fossero fatti ritrarre su sfondo nero a bordo di un tappeto volante!).
La bellezza del disco sta però nel fatto che al di là di tutte le volute citazioni sonore e iconografiche, si tratta di un disco originale in tutto e per tutto, probabilmente da tenere presente nel fare le classifiche del meglio a fine anno: la title track è country rock del più classico, uno dei pochi brani con ospiti, vale a dire Gary Carter alla pedal steel, Pig Robbins al piano e Aubrey Hayne al violino. Per il resto il quartetto fa quasi tutto da solo, con i risultati che vi abbiamo detto.

Ancora country rock nella seguente Vegas con un interessante stacco nel bridge e assolo di chitarra micidiale; la breve The Sun Is Quietly Sleeping sembra far riferimento alla psichedelia colta di scuola britannica, armonie vocali accurate e quartetto d’archi ad accompagnare un arrangiamento in punta di piedi, segue a ruota lo strumentale che riprende il titolo del brano iniziale, in versione virata leggermente verso la latin music, con le percussioni in primo piano e gli archi usati in coda in maniera sperimentale.

La ritmica di Nightridin’ sembra quasi un boogie blues di John Lee Hooker, le chitarre fanno però la differenza con sonorità quasi garage e echi surf. Tomahawk ha il testo concepito come un talking blues adattato ad un ritmo veloce sorretto da Stinson e Scruggs su cui le chitarre, ritmiche e soliste, si rincorrono. Rock duro e puro è invece, fin dal riff, la successiva Time To Dance, forse il brano che si stacca maggiormente a livello musicale dal concept byrdsiano: le parti di chitarra sono comunque sempre a livello strepitoso, l’affiatamento tra il leader e Vaughn è davvero fantastico, la loro bravura non è virtuosismo fine a sé stesso, in ogni nota che suonano ci sono anima e cuore, come direbbero a Napoli.

The Angels Came Down ha qualcosa del tardo Johnny Cash (non dimentichiamo che Stuart è stato per anni al servizio dell’uomo in nero): sicuramente molto è dovuto allo scarno arrangiamento tutto costruito su un arpeggio di chitarra acustica, solo sull’ultimo minuto si innestano le fantastiche armonie vocali dei Superlatives; poi i trenta secondi di Lost Byrd Space Traine (Epilogue) chiudono elegiacamente il disco.

Paolo Crazy Carnevale

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