BEN GREENBERG – Son Of The Hills

Ben Greensberg (1)

Ben Greenberg – Son Of The Hills (Ben Greenberg Music /Atomic Disc 2021)

Parlare di cantautorato puro, a proposito di questo sconosciuto songwriter americano, è più che mai lecito vista la molteplicità dei suoi punti di riferimento (da Bon Iver a James Taylor) ed al tempo stesso la vena originale della sua ispirazione.

Con un piede ben piantato nell’ambito più decisamente indie vicino alla sua situazione anagrafica, Greenberg, di cui questo disco dovrebbe essere l’esordio (l’aveva preceduto solo un EP), ha comunque imparato bene la lezione dei padri fondatori del genere e dimostra di saperla mettere a frutto.

Il vinile in questione – perché sì, Greenberg, pur essendo il disco acquistabile tramite download su Spotify, ha anche pensato alla copia solida del suo disco e l’ha rigorosamente voluta in formato 33 giri – profuma di legno, perché ci sono tanti strumenti acustici, gestiti dal titolare col producer losangelino Jordan Ruiz, con un paio di archi da camera e poco altro, e perché c’è in esso tutto l’amore delle cose fatte in casa, siano esse la marmellata di mirtilli o una sedia a dondolo lavorata a mano.

Certo, c’è anche un pizzico di elettricità che non guasta, ma in punta di piedi e mai fuori luogo.

End of The Line, il brano d’apertura ha un approccio molto indie rock, con la bella voce di Ben che si mette in evidenza, c’è una chitarra elettrica che dà sostanza alla canzone, le successive River e Northern Pines sembrano ricondurci al miglior Gene Parsons, anche se non siamo sicuri che Greenberg sia un frequentatore dei suoi dischi: non solo per la presenza di pedal steel guitar e banjo ma, particolarmente nel secondo dei due titoli, per l’uso armonico che Ben fa della voce, davvero vicina a quella dell’ex polistrumentista dei Byrds.

Il tipo di sonorità si fa meno bucolico con Let You Down in cui i riferimenti sono più moderni, sia per il cantato che per la strumentazione, inclusa l’elettrica e il suono della batteria.

Sparrow, sostenuta da mandolino e chitarra ci rimanda invece alla musica del James Taylor delle origini: essenziale nelle liriche e nella struttura, la canzone chiude un lato A da ricordare.

Pianistica e intima, la breve Milk And Honey apre il lato B in bilico tra Taylor e Nick Drake, poi i sapori indie alla Bon Iver si accentuano in Our Lady con l’elettrica che gioca con gli archi.

For Nick suona come un brano di Nick Drake, cui guarda caso è dedicata. Chitarra arpeggiata, piano, archi e leggere percussioni ci fanno pensare a Bryter Layter; a seguire la title track, con di nuovo la lezione di James Taylor in mente, soprattutto nella parte cantata e una pedal steel sognante che fa capolino con discrezione nel refrain. La chiusura è affidata a Mirror, Mirror, brevissima composizione sorretta dal mandolino che sembra coniugare Richard Thompson con Taylor, a duettare con Greenberg ci sono Simòn Wilson e Eve Elliot.

Paolo Crazy Carnevale

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