LUCIANO FEDERIGHI e DAVIDE DAL POZZOLO – Viareggio And Other Imaginary Places

luciano federighi

LUCIANO FEDERIGHI e DAVIDE DAL POZZOLO – Viareggio And Other Imaginary Places (Appaloosa 2020)

Appaloosa Records da quando è rinata a nuova vita sta decisamente muovendo passi più interessanti e arditi che non ai tempi dei suoi pionieristici ma pur sempre indispensabili esordi.

Soprattutto ha cominciato a dare significativamente spazio anche agli artisti di casa nostra che si cimentano con generi musicali affini a quelli degli artisti stranieri trattati dall’etichetta, vale a dire rock, cantautorato, americana, country-rock, folk-rock, blues.

Quest’ultimo disco uscito nel bel mezzo della pandemia però non ci convince appieno come era accaduto con altre produzioni di nostri connazionali (pensiamo a Francesco Piu o a Fabrizio Poggi, o a certe cose di Charlie Cinelli, non tutto però): il pianista, scrittore, giornalista, illustratore viareggino Luciano Federighi non è nuovo in casa Appaloosa e questo suo disco condiviso col sassofonista Davide Dal Pozzolo sembra più che altro un momento di musica condivisa in maniera informale che un progetto discografico vero e proprio, e la produzione a livello di ascolto poteva essere molto meglio (tanto per fare un esempio, la terza traccia del CD, Darkness Will Never Hurt You, ha la voce che nei primi versi è molto più bassa rispetto al resto). Non siamo amanti della musica troppo leccata e perfettina, ma qui un po’ di lavoro al mixer e un po’ di attenzione alla mescola dei suoni non avrebbe fatto male.

Federighi dimostra comunque una grande padronanza, del piano, dell’inglese per la scrittura dei testi e, soprattutto di una voce arrochita che non può non fare venire in mente certe cose di Tom Waits: ma badate, non si tratta di uno scopiazzamento, il timbro di Federighi è personale: nell’iniziale Lather Than You Think e in Mr. Lonesome sfodera addirittura sfumature sinatriane assolutamente azzeccate e, sempre a proposito del cantato, in A Sabbatical From The Blues tornano in mente certe cose di David Bromberg.

Il sax di Dal Pozzolo (talvolta impegnato anche al flauto) non è sempre azzeccato, è mixato troppo alto ed è troppo virato al jazz per un genere cantato in cui i testi sembrano avere particolare rilievo, troppo sofisticato al punto da finire per distrarre l’ascoltatore dai testi, che sono tra l’altro molto lunghi, talvolta verbosi e nel booklet sono riportati solamente in lingua inglese. Peccato, visto che l’Appaloosa di solito brilla per le belle e intelligenti traduzioni dei testi acclusi agli album di artisti americani.

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