WILKO JOHNSON – La sofferenza del blues
Nel 2013 Wilko Johnson, chitarrista di Canvey Island nato nel 1947, fondatore con Lee Brilleax dei seminali Dr. Feelgood, band di pub-rock apprezzata sia dagli appassionati di blues che dai punk-rockers, sembrava spacciato. Gli era stato diagnosticato un tumore terminale al pancreas, incurabile con la chemioterapia e non operabile. Wilko reagì da vero guerriero, continuando a suonare e pubblicando nel marzo 2014 un album con Roger Daltrey, Going Back Home, salito al n.3 in Gran Bretagna, il suo più grande successo dopo il clamoroso n.1 di Stupidity, il disco dal vivo dei Dr. Feelgood del 1976. L’anno dopo un oncologo gli disse che forse, con un’operazione invasiva di dieci ore, sarebbe sopravvissuto. Wilko ha affrontato l’operazione, gli è stata asportata una parte rilevante di stomaco e intestino oltre al pancreas, ha superato un lungo periodo di convalescenza e poi ha ripreso a suonare, ovviamente con qualche pausa in più, ma con immutato entusiasmo, passione e amore per la sua professione, pubblicando Blow Your Mind nel 2018.
Influenzato da Mike Green, il chitarrista di Johnny Kidd & The Pirates, il mancino dell’Essex ha perfezionato uno stile che gli ha consentito di suonare ritmica e solista allo stesso tempo, emergendo nei Dr. Feelgood con un suono semplice, energico, secco ed essenziale ravvivato da assoli brevi e rabbiosi, muovendosi di continuo sul palco. Lasciata la band nell’aprile del ’77 per dissidi musicali con il cantante e armonicista Lee Brilleaux, ha formato i Solid Senders, diventati Wilko Johnson Band, ha suonato con i Blockheads di Ian Dury, poi è tornato alla carriera solista con un altro Blockhead, il bassista Norman Watt-Roy. La sua attività è proseguita senza squilli, ma la stima e il rispetto nei suoi confronti sono rimasti inalterati da parte di un fedele zoccolo duro di appassionati.
Il concerto di sabato 23 marzo a Castelceriolo nel Cinema Macallè, un locale a due passi da Alessandria che ricorda gli anni sessanta e che l’anno scorso ha ospitato i Blasters grazie alla dedizione di Salvatore Coluccio, animatore di una realtà di provincia che resiste miracolosamente in questa Italia in cui le istituzioni ignorano la cultura, è stato un evento per gli appassionati delle zone limitrofe e non solo. Piemontesi, lombardi e liguri hanno riempito il locale per ascoltare Wilko, il fedelissimo Watt-Roy e il batterista Dylan Howe (figlio di Stevie, chitarrista degli Yes).
L’attesa è stata premiata quando il trio è salito sul palco un po’ tardi (come al solito), ma la serata ha avuto sviluppi imprevedibili. Vestito di nero, magro ed elegante, il chitarrista è apparso in buona forma con la sua Fender Telecaster rossa e nera (anche Mike Green suonava questa chitarra), senza l’ausilio dei pedali. La prima mezzora è filata liscia, a parte qualche problema tecnico, con una manciata di brani recenti come That’s The Way I Love You, Take It Easy e Marijuana e riprese da dischi più datati, If You Want Me You Got Me (da Barbed Wire Blues) e la reggata Dr. Dupree (da Solid Senders), mentre il pubblico si è scaldato particolarmente con il classico Going Back Home dei Feelgood, Wilko ha sfoggiato la solita essenzialità, più fermo di una volta (e ci mancherebbe…), ma sempre vivace e presente, seguito da una sezione ritmica pulsante con Howe puntuale e Watt-Roy che seguiva un suo copione mosso e sgraziato. A un certo punto il chitarrista è impallidito e si è accasciato lentamente, facendo segno di non stare bene. E’ accorso il manager, ci sono stati momenti di paura, lui ha cercato di tranquillizzare tutti mantenendo la calma, ma il concerto è stato sospeso per una ventina di minuti. Un’iniezione di insulina ha avuto l’effetto sperato…Johnson ha ripreso la chitarra, applaudito con affetto e la crisi è sembrata superata. Una certa stanchezza è emersa in Keep On Loving You e Roxette, la dilatata When I’m Gone e I Love The Way You Do non hanno sfigurato, ma alla fine della jammata Everybody’s Carrying A Gun, in cui il leader ha lasciato spazio alla sezione ritmica, Wilko si è appoggiato al suo manager visibilmente provato. Si è capito che questa volta non avrebbe ripreso il concerto, chiuso dopo un’ora di musica. Nessuno si è lamentato o ha fischiato, nessuno ha scattato foto dell’artista seduto sul lato destro del palco, solo tanto rispetto e un lungo applauso quando è tornato nel backstage.
Nonostante la parziale delusione non possiamo che ringraziare questo guerriero orgoglioso, il suo coraggio e la sua passione, sperando di poterlo rivedere in un’occasione più propizia.
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