RICHARD SHINDELL – Careless

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RICHARD SHINDELL – Careless (Amalgamated Balladry/Continental Song City 2016)

Richard Shindell, una dozzina di dischi di varia ispirazione alle spalle, è molto orgoglioso di questa sua ultima produzione, una produzione che gli ha richiesto parecchio tempo per la messa a punto.

Una messa a punto fin troppo meticolosa che per il sottoscritto snatura un po’ il risultato finale dividendolo tra alti e bassi evidenti. Non che sia un brutto disco, per carità, è solo un disco troppo diverso. Da sé stesso.

Nelle poche cose che avevo ascoltato di Shindell in precedenza avevo riscontrato lo stesso problema, differenze di generi, tanto da sembrare opere di autori differenti. Ed è la stessa cosa che mi capita di avvertire ogni volta che riascolto questo Careless.

Registrato tra lo stato di New York e l’Argentina il disco emana diversi umori, diverse ispirazioni, diverse voci.

La stessa voce di Shindell è differente da un brano all’altro, talvolta sembra voler correre dietro a Michael Stipe o a qualche altro idolo pop degli anni novanta, in altri momenti evoca – con maggior successo – la grande scuola del songwriting rurale americano: ne è prova esemplare il brano con cui il disco si apre, un brano molto riuscito intitolato Stray Cow Blues, cantato con voce forte e sostenuta, supportato da un adeguato accompagnamento musicale in cui brilla la chitarra elettrica di David Spinozza, per contro la seguente title track segue piste opposte, è un brano urbano e notturno, distante anni luce, come lo è Infrared, uno di quelli che mi piacciono di meno.

Meglio la struttura di Deer In The Parkway, dall’inizio blues quasi solitario che si evolve poi in un trionfo di sonorità che dal blues si distaccano parecchio.

Una delle composizioni migliori è Abbie, solido brano che molto deve alla chitarra di Larry Campbell e al bel supporto vocale di Sara Milonovich, entrambi anche ai violini in questa canzone, e, forse per il fatto che ci sia Campbell, il brano non cela un qualche richiamo a certe sonorità di The Band. Buona anche Atlas Choking che ha vaghe e curiose rimembranze di certe Bond-songs, quasi fosse stata prodotta per un film di 007 ambientato nelle campagne americane. In chiusura Shindell torna al cantato intimista con Before You Go, non male, e a Michael Stipe con Satellites.

Poco convincente la conclusiva The Dome, eseguita in solitudine, soporifera e con troppi effetti fuori luogo.

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