THE SUMNER BROTHERS – The Hell In Your Mind

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THE SUMNER BROTHERS
THE HELL IN YOUR MIND
Sumner Brothers Records 2015

Ennesimo prodotto del roots rock di un paese come il Canada che offre un contributo finanziario ai musicisti per aiutare le produzioni locali, The Sumner Brothers provengono da Vancouver e sono in attività da più di dieci anni. I fratelli sono Brian e Bob che si occupano della composizione, delle voci soliste e delle chitarre, affiancati da Mike Ardagh alla batteria, Mike Agramovich al basso e Elba Crumar alle tastiere. Cresciuti nel mito di Townes Van Zant, Neil Young, Johnny Cash e Bruce Springsteen, mischiano country e rock con un impeto e una rabbia che si ispira anche al punk e al grunge. Brian ha una voce profonda che si adatta alle tracce più aspre e rocciose, Bob tonalità più morbide che ricordano Chris Martin dei Coldplay o gli Avett Brothers, perfette per i brani più melodici. E proprio su questo doppio binario si esprimono i fratelli, giunti al terzo disco dopo l’omonimo del 2008 e I’ll Be There Tomorrow del 2012, quinto se consideriamo anche i due volumi di demos In The Garage vol. 1 e 2. Musica onesta, diretta, che risente positivamente dell’unione e della vicinanza tra i due protagonisti principali, molto considerati nell’ambito della scena alternativa dell’ovest canadese. Con The Hell In Your Mind cercano di ampliare la loro popolarità anche al di fuori del Canada, pur sapendo che l’impresa non è agevole. Per farlo si allontanano in parte dal country più ruspante e dalle tracce di old time music del passato, approdando ad un roots rock indurito che intende valorizzare la canzoni rispetto alle parti strumentali. Ci riescono in parte, specialmente nei brani più ritmati come l’ipnotica Last Night I Got Drunk che apre il dischetto, un brano trasformato rispetto alle versioni dal vivo di qualche anno fa, nel quale la voce melodica di Bob contrasta l’impianto musicale ripetitivo e sinistro, la lunga e cadenzata Ant Song, con un’introduzione strumentale che precede l’entrata della voce di Bob, la potente Giant Song, contraddistinta dal timbro aspro di Brian e da una base poderosa e Go This One Alone, quasi una versione accelerata di Maggie’s Farm. In contrasto si inseriscono la ballata country It Wasn’t All My Fault, interpretata con malinconia dal fratello e la morbida Lose Your Mind, mentre I’m Not Ready incrocia melodia e rabbia con risultati interessanti. My Dearest Friends chiude il disco con una base elettronica e un suono sparso, lasciando l’impressione di una band ancora alla ricerca di un equilibrio.

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