CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD – If You Lived Here, You Would Be Home By Now

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CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD – If You Lived Here, You Would Be Home By Now (Silver Arrow 2016)

Lo dico? Magari qualcuno si offende… ma lo dico ugualmente: rimpiango i Black Crowes, non solo quelli degli esordi (intesi come i primi due dischi, non certo il sopravvalutato Amorica e i suoi successori), e mi mancano anche i Black Crowes con Luther Dickinson, che trovavo molto interessanti e stimolanti. Non ho mai stravisto per Rich Robinson come solista, e non ho ancora ascoltato i Magpie Salute. Inoltre, le cose che avevo ascoltato fino ad ora della Chris Robinson Brotherhood le avevo trovate interessanti a metà. Ben suonate, certo, ma in certo qual mutilate, tronche, incomplete.

Credo fosse colpa della mia eccessiva nostalgia per i Black Crowes.

Poi sono incappato in questo vinile dello scorso anno, un EP molto extended visto che dura una buona mezzora, uscito a ridosso di un acclamato album di studio indicato come il migliore della CRB, probabilmente pubblicato per mettere su supporto qualcosa di quelle session che era rimasto fuori. Ed è stato colpo di fulmine. Questo disco mi piace molto più del suo incensato predecessore e trovo che il connubio tra Robinson e Neal Casal (più interessante in questa veste che quando faceva il musicista in proprio) sia perfetto, di Adam MacDougall non se ne parla, era già una colonna portante nei Black Crowes e il batterista Tony Leone riesce ad aggiungere al suo strumento anche un insospettabile mandolino. Il basso, in assenza di un titolare, è suonato da Ted Fecchio.

Il risultato sono cinque tracce che sembrano ricalcare territori molto vicini a quelli battuti dagli intramontabili Grateful Dead a cavallo tra anni sessanta e anni settanta, quando al blues e alle lunghe jam cominciavano a dare spazio anche ad una vena compositiva perfettamente collocata tra country/rock e cantautorato californiano. Ma soprattutto, questo If You Lived… è un disco che vive di un sound pienamente convincente, con tutte le caratteristiche del gruppo che emergono con uguale predominanza: non c’è nessuno che primeggia, tutti hanno il loro spazio, proprio come dovrebbe essere in una fratellanza che non sia quella ariana!

La prima traccia, New Cannonball Rag già dal titolo richiama alla mente suggestioni di una musica del passato mai defunta, è un brano lungo e diluito con sapienza, Robinson canta ispirato e la chitarra di Casal s’intreccia perfettamente con le tastiere di MacDougall; il secondo brano della prima facciata è una piacevole canzone molto country, con ospite la pedal steel di Barry Sless (lo ricordate nella David Nelson Band?), il brano è immediato e piacevole, forse ricorda troppo qualcosa di The Band (per l’esattezza la dylaniana I Shall Be Released) ma d’altra parte non si dice che per quanto riguarda questa musica tutto è già stato scritto?

Giriamo il 33 giri e ci troviamo al cospetto di Roan County Banjo, il brano più lungo e forse anche il più bello, potrebbe essere benissimo un’outtake di American Beauty, invece la voce di Robinson ci dice che siamo altrove, molto altrove, c’è ancora Sless che fa cantare la sua chitarra e naturalmente Casal fa la sua bella parte mentre MacDougall s’intrufola col piano e l’rogano divenendo protagonista del crescendo finale. From The North Garden è uno strumentale a cavallo tra oriente e psichedelia con le tastiere ed un flauto (Charles Moselle) che tessono un tappeto su cui lavorano molto bene le chitarre acustiche.

Il finale è affidato al valzerone intitolato Sweet Sweet Lullaby, condotto di nuovo dalla pedal steel di Sless e con il mandolino di Leone che sfoggia un suono struggente e appassionato, a suggello di un disco perfettamente riuscito.

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