HAYSEED DIXIE – Hair Down To My Grass

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HAYSEED DIXIE – Hair Down To My Grass (HD 999 2015)

Gli anni ottanta ci hanno consegnato del pattume musicale mica da ridere. Sono stati gli anni della musica plasticosa e, per quanto riguarda quella non plasticosa, delle produzioni ad hoc per le stazioni radiofoniche FM che hanno messo il rock più genuino in naftalina per diverso tempo, lasciando campo libero ad heavy metal e pop annacquato.

Gli Hayseed Dixie, capitanati dal vulcanico John Wheeler sono una di quelle band i cui componenti sono cresciuti con quella musica ma sono al tempo stesso legati profondamente alla musica delle origini, e la loro genesi sta proprio in questo: appassionati di heavy metal ad oltranza, fin dall’esordio risalente ormai a quindici anni fa, hanno cercato di coniugare il loro orgoglio redneck con i gusti musicali degli adolescenti della loro generazione. Il risultato è incredibile: se infatti all’inizio la loro missione era omaggiare gli AC/DC coverizzandoli in chiave bluegrass (e il nome Hayseed Dixie è un chiaro richiamo a quello della loro band preferita), con gli anni il progetto si è evoluto e affinato, non più solo AC/DC ma anche altri mostri sacri del rock, tutto suonato impeccabilmente come se fossero alle prese con il repertorio del miglior Peter Rowan o di Flatt & Scruggs, ma cantato col piglio da rock songs. Nel corso della loro carriera, gli Hayseed Dixie hanno “ripassato “ mostri sacri come Beatles (per altro non estranei alla rivisitazione secondo il verbo bluegrass), Aerosmith, Who, Queen, Ted Nugent, Status Quo, Alice Cooper.

Non storcete il naso, il risultato è davvero interessante e soprattutto in questo ultimo prodotto, che rivisita proprio alcune delle più becere composizioni degli anni ottanta, ci si riscopre ad ascoltare divertiti alcune canzoni che davvero fino a questo momento avevamo ascoltato per forza perché le trasmetteva la radio o perché magari eravamo in macchina con qualcuno che le ascoltava volontariamente.

Prendete per esempio Eye Of The Tiger, quella del film “Rocky”, io non l’ho mai sopportata, nemmeno quando la rifacevano i Big Daddy in chiave fifties, eppure qui, rivestita di banjo e mandolino è tutta un’altra cosa, con tanto di citazioni che vanno da Morricone a Ghost Riders In The Sky.

E che dire del violino quasi da musica classica che introduce la becera Final Countdown (detto per inciso una delle più inutili canzoni della storia) e che domina nella cover di Wind Of Change degli Skorpions qui cantata nella sua versione in tedesco. Ottima anche Summer Of ’69, proprio il grande successo di Bryan Adams, e fantastica Pour Some Sugar On Me dei Def Leppard. E poi ci sono Living On A Prayer di Bon Jovi, Dont’ Feel The Reeper dei Blue Oyster Cult (col banjo che conduce le danze e un break di violino da Deutsche Grammophon) e un’intensa rilettura, abbastanza fedele all’originale ma rigorosamente acustica, della pinkfloydiana Comfortably Numb, tra le migliori canzoni di The Wall.

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